I Luglio | July first

1 luglio 2024

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July first. It parts the year like the part in a head of hair. I had foreseen it as a boundary marker for me – yesterday one kind of me, tomorrow a different kind. I hd made my moves that could not be recalled. Time and incidents had played along, had seemed to collaborate with me. I did not ever draw virus down to hide what I was doing for myself. No one made me take the course I had chosen.


John Steinbeck, The Winter of Our Discontent, 1961

Primo luglio. Divide l’anno come la scriminatura divide una testa di capelli. Lo avevo previsto come un segno di confine: ieri un me, domani un me diverso. Avevo fatto le mie mosse, irripetibili. Tempo e incidenti erano entrati nel giuoco, erano parsi collaborare con me. Non avevo nemmeno cercato di nascondere a me stesso quel che stavo facendo. Nessuno mi aveva spinto a prendere la strada che avevo scelto

John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento, 1961, tr. it. L.Bianciardi, Mondadori ed. cons. 1991, p. 264

Il primo luglio del 1960 è una data spartiacque per Ethan Hawley, discendente di una famiglia di balenieri, un tempo proprietario di un negozio di alimentari nella cittadina di New Baytown e ora commesso nel negozio gestito da Marullo, immigrato negli Stati Uniti dalla Sicilia. Scontento della sua condizione, Ethan è ossessionato dal motto che i soldi fanno i soldi, poco importa che vengano da speculazioni, quiz televisivi truccati o bravura negli affari. Per tutto l’inverno ha meditato su come cambiare la vita sua e della sua famiglia, progettando addirittura una rapina in banca per i primi di luglio. La rapina non avrà luogo, ma molte cose cambieranno a partire da quella giornata estiva, quando “il confine orlato di luce a oriente era luglio, perché giugno se n’era andato via quella notte”.

 

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6 Giugno | June 6

6 giugno 2024

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We ripped away some wallpaper in the kitchen by the fridge and found that underneath the various stratum of paper (daisies; Peel n’Stick pepper-mills), in condition just as fresh as the day they were written, the words: one mellow day June 6, 1974 I’m long gone but my idea of peace now remains with you d.b.
Hippie stuff, but I lost my breath when I read the words. And I felt like for a moment, that maybe an idea is more important than simply being alive, because an idea lives a long time

Douglas Coupland, Microserfs, 1995

Abbiamo strappato via un bel po’ di carta da parati in cucina vicino al frigorifero e abbiamo scoperto che sotto vari strati di carta (margherite; aggeggi adesivi Peel’n Stick per deodorare il frigo) c’erano, in condizioni perfette come il giorno in cui erano state scritte, le parole:

Un giorno radioso 

6 giugno 1974 

Sono lontano ma la mia idea di pace rimane con voi 

d. b.

Roba da hippy, ma mi è mancato il fiato quando l’ho letta. E per un attimo ho avuto la sensazione che un’idea sia più importante del semplice fatto di essere vivi, perché un’idea vive molto tempo dopo che te ne sei andato

Douglas Coupland, Microservi, 1995, tr. it. N. Vallorani e E. Guarneri, Feltrinelli, 1998, p. 68

La vita nella sede della Microsoft a Redmond, nei primi anni Novanta, è raccontata da Daniel Underwood, ventiseienne “individuatore di bug”, uno dei tanti giovani “Micro-servi”, impiegati  nella grande industria informatica di Bill Gates. I ritmi di lavoro pressanti e la costante concentrazione sul linguaggio di programmazione stravolgono anche il senso del tempo, che “non è necessariamente lineare”, ma sembra scorrere “in strani mucchi, fasci e mazzetti”, mentre la vita procede giorno per giorno, “una riga di codice senza bug alla volta”. Ogni tanto c’è il bisogno di guardare indietro ed è quello che Daniel fa un giovedì, fra libri e riviste degli anni Settanta. Proprio una data di quegli anni – 6 giugno 1974 – è emersa su una parete della cucina, in un messaggio di pace e serenità lasciato da un precedente abitante della casa e su cui si sono posati strati di carta da parati e di tempo. 

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5 Giugno | June 5

5 giugno 2024

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At three-thirty A.M. on the night of June 5, 1992, the top telepath in the Sol System fell off the map in the offices of Runciter Associates in New York City. That started videophones ringing. The Runciter organization had lost track of too many of Hollis’ psis during the last two months; this added disappearance wouldn’t do.
“Mr. Runciter? Sorry to bother you.” The technician in charge of the night shift at the map room coughed nervously as that massive, sloppy head of Glen Runciter swam up to fill the vidscreen

Philip K. Dick, Ubik, 1969

Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciteralle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

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Frottage del tempo: Xu Bing a Roma

Tutti e tutte, da piccoli abbiamo praticato, senza conoscerne il nome, la tecnica del frottage (strofinamento), passando pastelli e matite morbide su fogli di carta appoggiati a superfici e oggetti diversi, per vedere emergere forme, macchie e dettagli. Reso famoso negli anni Venti dalle pratiche surrealiste di Max Ernst, il frottage, in inglese rubbing, ha una lunga tradizione in Cina, dove è stato usato come dispositivo di copia e duplicazione, con scopi didattici e documentali, sin dalla dinastia Han. Uno dei più significativi artisti cinesi contemporanei, Xu Bing (1955), ha usato il frottage in modo monumentale, poetico e innovativo in due grandi imprese creative. La prima risale al periodo 1988-1991, quando l’artista applicò la tecnica dello strofinamento a una torre della Grande Muraglia (Ghost Pounding the Wall). Per trasferire la texture della muratura sulla carta, insieme con i suoi collaboratori, Xu Bing ha ricoperto la superficie con un sottile strato di materia plastica, poi con un’ampia stesa di carta Xuan su cui sono stati pressati tamponi di cotone imbevuti di inchiostro. “Fragile e vulnerabile” – scrive Ilaria Puri Purini – il risultato di questo processo, che incorpora il presente e gli strati del passato rendendo “portatili” monumenti inamovibili,  ha bisogno di molto lavoro per essere condotto a termine, esposto e conservato. 

Dopo più di trent’anni dal frottage realizzato in Cina, la tecnica è stata applicata alla regina delle strade romane, la via Appia. Invitato dall’American Academy di Roma per un periodo di residenza nel 2024, Xu Bing ha replicato lo straordinario procedimento su un tratto della via Appia nei pressi di Marino. Con il team di studenti e studentesse, il selciato della strada è stato esplorato, ripulito, ricoperto di carta e tamponato di inchiostro. Il rotolo di 22 metri che ne è risultato riporta il pattern dei basoli, gli interstizi terrosi, le tracce vegetali. 

La mostra all’America Academy accoglie nella prima stanza il lavoro antico fatto sulla torre della Muraglia, riunito sulle pareti con invisibili puntine e nella seconda quello recente sulla via Appia, che cade da una parete al pavimento come una pelle minerale.  Il muro (the Wall) e la strada (the Road), sono così messi in dialogo in due ambienti contigui, a mostrare la circolarità di una ricerca decennale che accosta classico e contemporaneo, orientale e occidentale, matrice e ripetizione, comunicazione e archeologia.
All’ingresso delle sale, un video illustra l’esecuzione del lavoro, restituendo anche il suono che i tamponi inchiostrati fanno sul terreno a seconda della pressione e del ritmo di chi li usa. Ogni frottage cattura la forma umbratile dell’oggetto sottostante in maniera diversa, mentre l’oggetto stesso cambia nel flusso del tempo. Ogni frottage, essendo venuto in contatto diretto con gli oggetti originali, conserva per osmosi le informazioni materiche, le tracce temporali e le forme visibili di una cultura, immettendole in una rete comunicativa che trapassa i confini. 

Il 29 maggio:  conversazione di Xu Bing con Ornella de Nigris (Studi orientali, Università di Siena).

A Moment in Time: Xu Bing in Rome
A cura di Ilaria Puri Purini con Lexi Eberspacher
American Academy in Rome, via Angela Masina, 5
22 Maggio – 27 giugno 2024

10 Maggio | May 10

10 maggio 2024

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He had reached the end of the house. A washing machine, mop hanging from a rack, package of Dash soap, a stack of magazine and newspapers. Reaching into the stack he dragged out a handful, dropping them, opening them at random. The date on a newspaper made him stop searching: he stood holding it. May 10, 1997. Almost forty years in the future. His eyes took in the headlines.Meaningless jumbo of isolated trivia: a murder, bond issue to raise funds for parking lots, death of famous scientist, revolt in Argentina. And, near the bottom, the headline: Venusian ore deposits object of dispute

Philip K. Dick, Time is out of Joint, 1959

Era arrivato al termine della casa. Una lavatrice, uno spazzolone appeso a un gancio, un fustino di Dash, una pila di riviste e giornali.
Pescando nel mucchio, ne tirò su qualcuna e l’aprì a caso.
La data di un giornale gli fece interrompere la ricerca; restò lì a fissarla.
10 maggio 1997.
Quasi quarant’anni nel futuro. Scorse i titoli. Un miscuglio insignificante di banalità senza relazione tra loro: un assassinio, un’emissione di buoni del tesoro finalizzata alla raccolta di fondi per la costruzione di aree di parcheggio, la morte di un famoso scienziato, una rivolta in Argentina. E, in taglio basso, un altro titolo: Contesi i giacimenti minerari di Venere.

Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, 1959, tr. it. G. Pannofino, Sellerio, Palermo, 1999, pp. 194-95

In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni Cinquanta, le giornate di Ragle Gumm trascorrono in una routine stressante: entro la fine di ogni pomeriggio deve inviare la soluzione di un gioco a premi indetto da un giornale, per rimanere così in cima alla classifica dei solutori. Grazie al suo intuito e a un complesso sistema di calcolo, Ragle riesce a indovinare, con minimi errori, in quale zona di una mappa quadrettata apparirà l’omino verde del gioco. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi fanno dubitare Ragle e la sua famiglia che la normalità della loro vita quotidiana (compreso il concorso a premi) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici. Quando Ragle si imbatte nella copia del giornale datato 10 maggio 1997, comincia ad avvicinarsi a una spiegazione di quello che sta accadendo (sulla terra e non solo) e in cui lui – con il suo talento per la decrittazione – ha un ruolo centrale.

 

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9 Maggio | May 9

9 maggio 2024

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Song to accompany The Book of Memory, Solitude, as sung by Billie Joliday. In the recording of May 9, 1941, Billie Holiday and Her Orchestra. Performance time: three minutes and fifteen seconds. As follows: In my solitude you haunt me / With reveries of days gone by. / In my solitude you taunt me / With memories that never die… Etc. With credits to D. Ellington, E. De Lange, and I. Mills

Paul Auster, The Invention of Solitude, 1982, Faber & Faber

Canzone per accompagnare Il libro della memoria. Solitude, interpretata da Billie Holiday. Registrazione del 9 maggio 1941, di Billie Holiday e la sua orchestra. Durata del brano: tre minuti e quindici. Fa così: In my solitude you haunt me / With reveries of days gone by. / In my solitude you taunt me / With memories that never die… ecc.  Si ringraziano anche D. Ellington, E. De Lange e I. Mills

Paul Auster, L’invenzione della solitudine, 1982, tr. it. M. Bocchiola, Einaudi, Torino, 1997, p. 124

Nell’affollata stanza della memoria, dove si muove il protagonista – indicato con la sola iniziale del nome A. -, tutto sembra collegato per affinità, per coincidenza o per necessità. Le cose accadute a lui o ad altri, le cose lette e viste, si connettono in un mosaico di pensieri sui difficili temi del caso, del destino, del rapporto padre-figlio, della solitudine. Le date non mettono ordine nel tempo del racconto, ma si presentano anche loro casualmente, trovate in una lettera, in un appunto o  – come in questo caso – su un disco di Billie Holiday, che il 9 maggio del 1941 registrava la canzone Solitude, perfetta colonna sonora, in anticipo, dei ricordi di A. 

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Se nel Ritratto di un uomo invisibile, la prima parte de L’invenzione della solitudine, Paul Auster veste i panni del figlio, nella seconda, Il libro della memoria, la sua attenzione si sposta sulla sua identità di padre. E attraverso un mosaico di immagini, coincidenze, associazioni, ‘A’ riflette su come il caso impercettibilmente governi le nostre vite, sulla natura solitaria dello scrivere e l’inevitabile distacco che lo separa dal figlio David”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

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Tempo e computer science: un convegno a Montpellier

C’è tempo fino al 21 giugno 2024 per presentare una proposta di partecipazione al 31° Simposio dedicato ai rapporti fra tempo e informatica. Time. Temporal Representation and Reasoning, organizzato dal Laboratoire d’Informatique, de Robotique et de Microélectronique de Montpellier (LIRMM), si svolge dal 28 al 30 ottobre al Campus Triolet dell’Université de Montpellier.
TIME, si legge nel sito, è un evento internazionale multidisciplinare annuale dedicato al tema del tempo in informatica.
“Lo scopo del simposio è quello di riunire ricercatori attivi in diverse aree di ricerca che riguardano la rappresentazione e il ragionamento temporale. Il simposio accoglie anche lavori di ricerca sui temi correlati della rappresentazione e del ragionamento spaziale e spazio-temporale. Nei primi anni, la maggior parte dei contributi proveniva dalla comunità dell’Intelligenza Artificiale, ma negli ultimi anni è aumentato il numero di contributi provenienti da altre aree come la Logica Temporale e la Verifica e anche dalle Basi di Dati Temporali”.
La lista degli argomenti sui quali si può intervenire è questa:
Spatial and temporal reasoning; Time in natural language processing; Reasoning about action and change; Complex event recognition and forecasting; Planning and planning languages; Ontologies of time and space-time; Belief and uncertainty in temporal knowledge; Temporal learning and discovery; Temporal data models and query languages: Temporal query processing and indexing; Temporal data mining; Stream data management; Spatio-temporal data management, including moving objects; Data currency and expiration; Indeterminate and imprecise temporal data; Temporal constraints; Specification and verification of systems; Verification of software and web applications; Synthesis and execution; Model checking algorithms and implementations; Temporal logics for infinite-state systems; Runtime verification of temporal properties; Temporal aspects of agent- and policy-based systems; Temporal networks; Temporal argumentation frameworks, Automata-theoretic techniques for temporal reasoning; Temporal knowledge graphs; Time-series data management; Events and time series explanations in healthcare. 

Questo l’indirizzo del sito con tutte le informazioni.

Time’s News 2024

È uscito in stampa, come ogni anno, il magazine dell’International Society for the Study of Time, con una panoramica delle attività svolte dall’associazione nel corso del 2023-24. Curato dall’artista e ricercatrice Emily DiCarlo, “Time’s News” di quest’anno, dopo una introduzione della sociologa Carmen Leccardi, presidente attuale dell’ISST, documenta la 18ma Conferenza triennale, svoltasi a Yamaguchi (Giappone) e presenta contributi multidisciplinari di Paul Harris (“Yellow Bird Artscape Residency: The Time of Limestone”), di Stephen Pike (“Brouwers’ Epiphany”), di Richard Uribe (“Women, Clocks and Portraits”), gl “Spolight” di Walter Schwidler e Sonia Front e, in chiusura, un ricordo del Jane Fraser, moglie e sodale del fondatore dell’ISST James T. Fraser. 
Come ogni anno, una sezione è poi dedicata a un’antologia di opere d’arte recenti che hanno affrontato temi temporali, curata da Laura Leuzzi e Antonella Sbrilli.
Ne fanno parte: i paesaggi stratigrafici di Pietro Ruffo, esposti nella mostra Anthropocene; le meridiane in ceramica policroma di Emma Hart, intitolate 
Big Time; l’omaggio verbovisivo di Alice Guareschi alla misura del tempo quotidiano,  Giorno; la scrittura sonora del tempo nell’opera di Maja Zećo , For the Time Being: Sarajevo Soundtrack; il film Cotidal di Tania Kovats, della durata di un giorno lunare (24 ore e 50 minuti),Footsteps di Fiona Tan, per cui “editing is like sculpting in time”;  le carte stellari dell’artista neozelandese  Locust Jones, Back in Time.

28 Marzo | March 28

28 marzo 2024

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“Look at the date of the magazine issue”.
He pointed to the top heading, just to the left of the page number. It read March 28, 1932. Harlan said, “That scarcely needs translation. The numbers are about those of Standard Intertemporal and you see it’s the 19.32nd Century. Don’t you know that at that time no human being who had ever lived had seen the atomic mushroom cloud. No one could possibly reproduce it so accurately, except…”
“Now, wait. It’s just a line pattern,” said Twissel trying to retain his equilibrium. “It might resemble the mushroom cloud only coincidentally. “Might it? Will you look at the wording again?” Harlan’s fingers punched out the short lines: “All the— Talk— Of the— Market. The initials spell out ATOM, which is English for atom. Is that coincidence, too? Not a chance”

Isaac Asimov, The End of Eternity, 1955

“Leggi la data in cima alla pagina”. Indicò la scritta che diceva: 28 marzo 1932. “Non c’è bisogno di traduzione, vero? I numeri sono quasi uguali a quelli dell’Intertemporale Standard. Non sai che a quell’epoca nessuno aveva mai visto un fungo atomico? Nessuno avrebbe potuto riprodurlo con tanta accuratezza, tranne…” “Aspetta un momento, è solo uno schizzo” disse il Calcolatore, cercando di ritrovare il suo equilibrio. “Può darsi che la somiglianza col fungo atomico sia casuale.” “Ah, sì? Guarda di nuovo le parole, allora.” Harlan indicò la scritta in maiuscolo, All the Talk Of  the Market. “Le iniziali formano la parola Atom, che in inglese vuol dire atomo. Me la chiami coincidenza? Direi proprio di no”

 Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, 1955, tr.it. G. Lippi, Mondadori, 1987, p. 202

L’Eternità gode di un equilibrio estremamente delicato, nel mondo immaginato da Asimov in questo romanzo, dove si può viaggiare attraverso i secoli e la storia muta a ogni cambiamento della Realtà effettuato da tecnici del Tempo. Dove si rischia, tornando a un momento già attraversato, di incontrare se stessi. E dove diverse Realtà alternative possono esistere.
Ma c’è stata un’epoca in cui il passato era irreversibile, “la Realtà fluiva ciecamente lungo la linea della massima probabilità”, per esempio il Ventesimo secolo. Lì è finito uno dei personaggi di questo complicato racconto e da lì, dal 1932, sta mandando un messaggio in codice per essere rintracciato. Un messaggio affidato a un anacronismo: il disegno di un fungo atomico su una rivista del 28 marzo 1932.  

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“In un futuro ancora molto lontano l’uomo ha imparato a viaggiare nel tempo, spostandosi con disinvoltura da un secolo all’altro e organizzando traffici commerciali tra ere diverse. Il viaggio nel tempo permette anche di tenere l’umanità sotto rigido controllo, modificando tutti quegli elementi che potrebbero provocare gravi turbamenti nella storia. A effettuare i cambiamenti sono delegati gli analisti e i tecnici della rigida casta degli Eterni, gli unici in grado di manipolare passato e futuro”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

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14 Marzo | March 14

14 marzo 2024

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The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread-and-butter in the other. ‘I beg pardon, your Majesty,’ he began, ‘for bringing these in: but I hadn’t quite finished my tea when I was sent for.’
‘You ought to have finished,’ said the King. ‘When did you begin?’
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm-in-arm with the Dormouse.
‘Fourteenth of March, I think it was,’ he said.
‘Fifteenth,’ said the March Hare.
‘Sixteenth,’ added the Dormouse.
‘Write that down,’ the King said to the jury, and the jury eagerly wrote down all three dates on their slates, and then added them up, and reduced the answer to shillings and pence

Lewis Carroll, Alice in Wonderland, 1865

Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

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Montaggi di tempo: Fiona Tan a Bologna il 29.10.23

In una video intervista dal titolo Sculpting Time (Lousiana Art Channel, I July 2023), l’artista Fiona Tan presenta sé stessa, e la sua profonda ricerca sulla memoria, le identità, la natura, chiamando il causa il tempo come materia prima e strumento del suo lavoro.
Come artista e filmmaker, l’attività di editing – il montaggio e la manipolazione dei materiali che vengono allungati, schiacciati, compattati – è per lei una sorta di “sculpting with time”. L’antica espressione che esprime l’azione del flusso immateriale sulla materia, usata da Victor Hugo, ripresa da Marguerite Yourcenar nella raccolta Le Temps, ce  grand sculpteur, rievocata da Salvatore Settis per Giuseppe Penone,  “scolpire il tempo”, è l’incipit del discorso di Fiona Tan, che la restituisce variandola a suo modo, “scolpire con il tempo”.
Il suo discorso prosegue con un’altra osservazione in cui è implicito, quasi incarnato, un ulteriore pensiero sul tempo, ancora più antico: “n
on si può non pensare al tempo” e insieme esso “è una delle cose più difficili di cui parlare”, afferma nel video l’artista, in risonanza con Sant’Agostino e con sapienze che le vengono dalla rete delle sue origini, dalla Cina, dall’Indonesia, dal Nord Europa, dall’Australia.
Dotata della capacità di spiegare insieme le scelte tecniche, i nuclei tematici che la ispirano e il loro trasformarsi in opere, Fiona Tan racconta alcune opere recenti, in 
cui filmati d’archivio delle collezioni olandesi sono accompagnati dall’audio delle lettere che il padre dell’artista le scriveva nei tardi anni Ottanta. Frammenti di repertori pubblici, spezzoni di documentari provenienti dal passato, si mescolano con la corrispondenza familiare, che parla del quotidiano e del presente. Consapevole che la storia non può considerarsi mai conclusa, Fiona Tan rende  percepibile – col suo lavoro di connessioni, accostamenti, riprese multiple – il carattere aperto e rinegoziabile degli archivi stessi: “Time always moves on and we need to go with flow”. 

Il 29 ottobre 2023 Fiona Tan è la protagonista di un incontro al MAMbo di Bologna, nell’ambito della rassegna Archivio aperto 2023, durante il quale sono visibili due cortometraggi:

il primo è News from the Near Future (2003) cheesplora la memoria e il passare del tempo attraverso filmati d’archivio in bianco e nero provenienti dall’Eye Filmmuseum di Amsterdam, colorati in modo da creare una texture quasi pittorica. Il motivo ricorrente è l’acqua: il mare, su cui navigano imbarcazioni di ogni tipo, dai piccoli yacht ai piroscafi più grandi; le onde che bagnano la riva del mare; i paesaggi con enormi cascate e i disastri che lasciano dietro di sé le inondazioni ci ricordano l’ambivalenza del rapporto tra uomo e natura”;  

il secondo risale al 1998 e si intitola Linnaeus’ Flower Clock.
Come si legge nel sito dell’artista, una donna che teme che l’intensità della sua felicità presente si affievolisca col tempo, evoca ripetutamente immagini che incarnano l’appagamento fisico ed emotivo per prolungare l’adesso (‘now’) e inciderlo nella memoria. Per farlo, cerca di costruire un orologio personale che mostri il suo tempo interiore, in contrapposizione a un orologio meccanico. 

Il suo fallimento nel fermare il tempo è dimostrato dalla continuità temporale del video e dalla vista dei fiori che si aprono e si chiudono. Accettare che la vita continui perché tutte le cose passano costringe le persone a concentrarsi sul presente e dà vita ai loro ricordi (Midoti Matsui)”.

Il titolo Linnaeus’ Flower Clock fa riferimento all’orologio floreale (horologium florae) proposto alla metà del Settecento da Linneo: osservando come ogni fiore si apra e chiuda in momenti precisi, il naturalista svedese ipotizzò di poter utilizzare i momenti delle fioriture per indicare le ore e i minuti. Impossibile da realizzare in un giardino reale, è stato allestito dall’artista inglese Anna Ridler con l’aiuto di sistemi di Intelligenza artificiale. 

Qui le informazioni sull’incontro Dearest Fiona, MAMbo, sala conferenze, 29 ottobre 2023

(a.s.)

 

Time and Measure at Yamaguchi University

La diciottesima conferenza triennale dell’ISST (International Society for the Study of Time) si è svolta dal 2 al 7 luglio 2023 in Giappone, presso la Yamaguchi University.
Il tema scelto per questo incontro interdisciplinare è stato Time and Measure, un tema cruciale che riporta – nella prospettiva storico-filosofica – ad Aristotele e che si confronta con enormi cambiamenti scientifici, tecnologici, psico-linguistici, artistici, tanto che, nella Call for Papers del convegno, una delle domande a cui rispondere era “Is time (exclusively) defined by its measure?“.
Nel sito dell’ISST si possono leggere gli abstract degli interventi, che toccano il tempo della terra, la crisi climatica, la cronobiologia, gli aspetti cognitivi dell’elaborazione temporale, le comparazioni fra modi di rappresentare il tempo in oriente e occidente, l’esperienza del tempo nella musica e nell’ascolto, nel teatro, nella prigione, nell’attesa, nel camminare, affondi storici (filosofia antica e medievale) e incursioni creative (delle artiste Emily DiCarlo e Sarah Morawetz), senza tralasciare recenti ricerche connesse alla percezione del tempo durante il lockdown del 2020 e al rapporto con il futuro delle generazioni più giovani.
La Memorial Lecture dedicata al fondatore dell’ISST J. T. Fraser è stata tenuta dalla ricercatrice Ritsuko Matsumura a proposito di Molecular genetic study of the Circadian Clock. Molti i contributi di studiose e studiose giapponesi, in connessione con la Japanese Society for the Study of Time e il Research Institute for Time Studies che proprio a Yamaguchi ha la sua sede dal 2000.

Tutti gli abstract degli interventi nel sito dell’ISST.

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Un anno arriva, un anno va: Time’s News n. 53

Come tutti gli anni, l’International Society for the Study of Time (ISST) pubblica un report sulle iniziative che questa associazione, dedicata allo studio del tempo in tutte le sue forme, ha svolto durante l’anno appena trascorso. Time’s News 2022 – curato da Emily DiCarlo – presenta una selezione di ricerche, pubblicazioni, simposi, interventi e opere d’arte che hanno avuto come focus il tempo. 
“Time is what there is. Whatever there is, is also time” / “Il tempo è ciò che c’è. Qualunque cosa ci sia è anche tempo”: una citazione del maestro Zen Dōgen (13° secolo) apre l’introduzione del presidente dell’ISST Raji Steineck, che la connette al pensiero di JT Fraser, il fondatore dell’ISST nel 1969. Per Fraser, il tempo non è una forza esterna, ma qualcosa di “intrinseco al modo in cui le cose (dalle particelle elementari alle società umane) ottengono la loro identità e mantengono la loro integrità”.
Dalla cultura giapponese alla scienza, dal pensiero alla scrittura, una delle caratteristiche dell’ISST è  proprio quella di mettere in dialogo persone esperte e interessate che provengono dai più disparati campi, la fisica, gli studi orientali, la filosofia, l’orologeria, la musica e via elencando: ogni tre anni gli iscritti e le iscritte si ritrovano in un convegno (il prossimo sarà a Yamaguchi, Giappone, sul tema Time and Measure) e scambiano idee sui canali editoriali e web dell’ISST (il sito: studyoftime.it).
Fra i contributi sul tempo pubblicati nel 2022, Time’s News segnala fra gli altri  i volumi Time and Identity in Ulysses and Odyssey di Stephanie Nelson (University of Florida Press), Narrative Worlds and the Texture of Time: A Social Semiotic Perspective di Rosemary Huisman (Routledge), Stravinsky, God, and Time di Helen Sills (Brill), il saggio di Jo Alyson Parker su Ted Chiang’s Time Travel Narratives in “Science Fiction Studies”, il simposio annuale dell’Association of Watch and Clock Collectors, svoltosi a New York nell’ottobre del 2022, la ricerca cross-culturale in corso dal titolo TIMED: TIMe experience in Europe’s Digital age.
Come ogni anno, una sezione di Time’s News è dedicata a una antologia di opere d’arte che hanno affrontato il tempo: Visualizing Time. A Recent Survey of Time-Focused Art (a cura di A. Sbrilli e L. Leuzzi) presenta opere di artisti e artiste di diversa origine e formazione, realizzate con media disparati che vanno dall’analisi dei dati (Ani Liu) all’uso delle reti neurali (Anna Ridler), dal collage di immagini quotidiane (Beeple) alla realtà virtuale (Niya B), dal gioco percettivo (Lahav Halevy) alla installazione potente di Katie Paterson (Requiem); nella raccolta c’è anche l’artista bolzanina Claudia Corrent con la sua serie di immagini dal titolo Neanche il futuro purtroppo è più quello di una volta.

Come raccolta la stessa artista, si tratta di immagini di famiglia trovate in un archivio; tramite un movimento dello scanner con cui vengono acquisite prendono “nuove forme nelle quali si crea un’immagine completamente nuova. I ritratti e il paesaggio intorno risultano trasformati, i volti diventano fluidi, in divenire”; con i loro allungamenti, le sovrapposizioni, le moltiplicazioni, tentano, insomma, “di rappresentare il fluire del tempo”.

 

L’anno dei petali appuntiti: l’orologio floreale di Ridler

L’immagine statica che si vede riprodotta non restituisce se non in minima parte la natura dell’opera dell’artista Anna Ridler dal titolo Anno oxypetalum: il titolo è traducibile comel’anno dei petali appuntiti”, con riferimento al nome di un cactus a fioritura notturna, i cui petali hanno una tipica forma a punta, acuta (in greco ὀξύς ).
Si tratta di un’opera d’arte generativa che si muove – come sempre nella ricerca dell’artista britannica – intrecciando i temi del tempo, dei fenomeni naturali (in particolare botanici) e le occasioni che digitale e Intelligenza artificiale offrono nell’esplorazione e nella generazione di nuove forme miste di arte, calcolo, durata, interazione.
Per vedere l’opera nei suoi effetti mobili e vibratili, ci si può collegare tramite questo link al sito di Sotheby’s, che ha messo all’asta l’NFT (Non Fungible Token) collegato ad essa (2022).
Nel video, il ritmo della fioritura annuale di questo cactus che fiorisce di notte  è compresso in tre minuti. Come si legge nella scheda tecnica dell’opera, ogni mezzo secondo rappresenta un giorno, i fiori si aprono e si chiudono, mentre la luce cambia con le stagioni. Il video è sincronizzato con il solstizio d’inverno del 2021 a Londra, ma la caratteristica sorprendente è che quando viene acquistato (come NFT)  il video si sintonizza con la stagione del passaggio di proprietà.

Non solo: come spiega l’artista “la tempistica codificata algoritmicamente è precisa fino all’anno 3000. L’opera diventa una forma di cronometraggio ad alta precisione, anche se fa riferimento a una forma più medievale di calcolo del tempo, legata al tramonto e all’alba”. L’intento  è dunque anche quello di riflettere su come le capacità di calcolo, montaggio, sincronizzazione offerte dalla tecnologia attuale entrino in risonanza con una materia prima antica, ciclica, organica. Reti neurali e blockchain sono la forma attuale di un tentativo antichissimo di categorizzare tempo e natura. 
Anno oxypetalum si inserisce nella ricerca di Ridler sugli orologi crono-biologici delle piante, avviata con il progetto dal titolo Circadian Bloom, ispirato all’orologio floreale che Carlo Linneo propose nel 1751 nella sua Philosophia Botanica. Osservando come ogni fiore si apra e chiuda in momenti precisi e ricorrenti, il naturalista svedese ipotizzò  di poter utilizzare i momenti delle fioriture per segnare le ore e i minuti di quello che sarebbe stato un “horologium florae”. Sulla scorta di questa idea, Anna Ridler nel 2021 ha utilizzato la tecnologia più avanzata per realizzare una sorta di sistema di misurazione del tempo scandito dalle fioriture, un sistema che fa incontrare e reagire meccanismi naturali e artificiali, aspettative umane e algoritmi, istanti e stagioni. 

(a.s.)

The Age/L’Età

The Age/L’Età è il titolo di una mostra dell’artista inglese Emma Talbot (Stourbridge, UK, 1969), vincitrice dell’ottava edizione del Max Mara Art Prize for Women, nato dalla collaborazione fra Whitechapel Gallery, Max Mara e la Collezione Maramotti di Reggio Emilia.
Proprio alla Collezione Maramotti l’artista  presenta  un’opera complessa, realizzata con varie tecniche e materiali (dal disegno su seta all’animazione), frutto di ricerche sui temi intrecciati dell’invecchiamento, della crisi climatica, con uno sguardo al concetto di “permacultura” e alla sopravvivenza del  sostrato mitico e artigianale delle culture antiche nel presente.
Il  titolo  – come si legge nel comunicato stampa – “assume come punto di partenza il dipinto Le tre età della donna (1905) di Gustav Klimt”, studiato da Emma Talbot durante la sua residenza in Italia e di cui l’artista reinterpreta la figura della vecchia. 
Uno dei nuclei dell’esposizione è un’animazione in dodici capitoli, durante i quali la protagonista affronta una serie di prove simili alle dodici fatiche di Ercole. “Invece di superare le prove attraverso la distruzione, il furto, l’inganno e l’omicidio (come fece Ercole), la protagonista adotta soluzioni pratiche, produttive e incentrate sulla cura ispirate ai dodici principi della permacultura, un metodo che permette di convivere in modo etico e sostenibile con la terra”. 
Un’altra tappa della mostra è costituita da due grandi pannelli di seta dipinti con paesaggi in rovina e terreni vulcanici, frutto della riflessione svolta dall’artista in Sicilia, in un soggiorno che l’ha portata a contatto sia con le rovine classiche sia con la Casa di Paglia Felcerossa, azienda agricola sull’Etna in cui si sperimenta la costruzione di un ambiente sostenibile.
Ai tanti fili di questa ricerca creativa si aggiunge la competenza sul riciclo di materiali tessili e l’utilizzo di tessuti particolari per l’elemento culmine della mostra The Age/L’Età: una figura tridimensionale di donna anziana a grandezza naturale, per le cui rughe “sono stati utilizzati materiali ideati dall’artista in collaborazione con Imax, la divisione maglieria di Max Mara”.

A questo link le informazioni nel sito della Collezione Maramotti.

 

 

IDEA: visualizzare la storia

IDEA è l’acronimo di Interdisciplinary Discourses, Education and Analysis, una pubblicazione annuale del London Centre for Interdisciplinary Research. Animato da studiose e studiosi accademici e indipendenti, il Centro promuove confronti nelle aree interconnesse che interessano “memory studies, historiography, migration studies, gender studies, anthropology, narratives, creativity, media and film studies, and medical humanities”.
Dopo un primo numero sul mito (Myth: Intersections and Interdisciplinary Perspectives, 2021), il fascicolo uscito nell’estate del 2022 si focalizza sul tema multisfaccettato della Visual History, con una sezione speciale dedicata a Life, Narration and Storytelling.
Introdotti dall’editoriale del direttore Gabriele Biotti, e da un affondo di Florian Brody su come i media digitali stanno cambiando la nostra percezione e interazione con la storia e con la memoria (The Digital Penumbra of Memory), i contributi toccano episodi della storia recente riverberati, smontati, riassemblati nei linguaggi del cinema, dei media, dell’arte concettuale e performativa, del discorso storico e narrativo, con un focus finale sul racconto biografico e autobiografico. Ecco l’indice:

Maria Duarte Furtado Marques and Elena Stanciu – Horrors of History and Colonial Imaginaries. The Construction and Representation of Black Embodiment in Them (2021)

Louise Francezon – (Re)building Women’s War Memory in Biographical Cinema: the Case of Female Spies’ Films in Post-war Britain

Elisa Oliver and Jonathan Whitehall – ‘The Past Dreams the Future Present’: Dream as Political Visual Historiography in the work of Artist and Film Maker Derek Jarman

Steve Ostovich – Visualizing Historical Trauma in Claude Lanzmann’s ‘Shoah’ (1985)

Stefania Guglielmo, Tiziana Lentini and Barbara Priolo – Contemporary Migrations Between Cinematographic Representation and Historical Reconstruction: the Cases of ‘Human Flow’ (2017) and ‘Fuocoammare’ (2016)

Edoardo Rugo – Representation and Dismissal of the Past in Pasolini’s Cinema

Aurélia Gafsi – Representing the Last Military Dictatorship in Argentina: The Example of the Graphic Novel ‘ESMA’ (Juan Carrá, Iñaki Echeverría)

Ewa Grajber – Representations of the Past in Visual Form as a Tool in Educational Process. An Example of History of Spain Till XIX Century

Antonella Sbrilli – A Wall of Dates: How a Work of Art Can Make the 20th Century Readable, Audible and Traversable

Tiziana Lentini – Life Narration and Storytelling

Chiara Corazza – ‘The Eternal Paradox of History’: An Analysis of W.E.B. Du Bois’s Autobiographical and Fictional Writings

Wolfgang Büchel – The Biographical Darkness. On the Fragmentation of Life Narratives

Il numero 2 del 2022 di IDEA – Interdisciplinary Discourses, Education and Analysis si può scaricare gratuitamente a questo indirizzo.

L’immagine in apertura: Daniela Comani, dettaglio dell’installazione My Diary – Your News, OSA Archivum and Goethe Institut Budapest, 2016

(a.s.)

What Day is Today?

La perdita di orientamento nel tempo provocata dal lockdown avrà portato molti a pronunciare la frase “Che giorno è oggi?”.
Ora quella frase è diventata un libro che raccoglie le 49 cartoline inviate alla Fondazione VOLUME! da altrettanti artisti e artiste legate allo storico spazio di ricerca e sperimentazione situato a Roma, in via San Francesco di Sales.
“Tra marzo e maggio 2020, durante il lockdown, la cassetta della posta di VOLUME! si è riempita di cartoline da parte dei nostri artisti e amici. Provenienze diverse, orari diversi, giorni diversi. Ognuno racconta la sua quarantena”, si legge nell’incipit della pubblicazione. 
I giorni di marzo, aprile, maggio 2020 sono incastonati in queste immagini – cartoline: ognuna di esse, con la sua tecnica e la sua grafia, invita a fermarsi sulla pagina dove è riprodotta, a collegare ciò che si vede al luogo di partenza, alla data, talvolta anche all’ora (come fa il collettivo Polisonum, nella Registrazione muta da finestra, Roma, 20 marzo 2020, ore 00:43).
Ogni cartolina è uno specimen dell’artista che l’ha inviata (bello ritrovare stili, tecniche, invenzioni compositive) e insieme un affaccio sul tempo e ogni lettore può cercare e trovare affinità, risonanze, tracce, inquietudini, cronofilie e cronofobie.
Per diconodioggi, le attrazioni sono tante, dal termine TIME stampigliato nella cartolina di H. H. Lim, alla pagina dell’artista iraniana Avish Khebrehzadeh che ripete Che giorno è oggi in tante lingue e colori, a Reverie che squaderna la frase Il / virus / del / tempo  nella sua cartolina da Milano (Cambiando l’ordine dei fattori la malattia del mondo non cambia), al Journal d’exile di Monica Biancardi, al cruciverba di Mutsuo Hirano e via sfogliando.
Le cartoline sono state raccolte da Francesco e Daniela Nucci, Marianna De Vita, Antonella Liucci, Silvano Manganaro, Roberta Pucci.
Gli artisti e le artiste (e i collettivi) mittenti sono:
Mimmo Paladino, Stefano Cerio, Claudio Martinez, Sauro Radicchi, Avish Khebrehzadeh, Andrea Branzi, Myriam Laplante, Guido Gazzilli, Bruno Ceccobelli, Giuseppe Gallo, Bizhan Bassiri, Arcangelo, Giovanni Albanese, Valentina Palazzari, Maurizio Savini, Guido Laudani, Alessandro Bulgini, Polisonum, Francesco Viscuso, Thomas Lange, Reverie, Mutsuo Hirano, Sandro Mele, Alfredo Pirri, Flavio Favelli, Carlo De Meo, Nahum Tevet, Rui Chafes, Giulio Telarico, Sissi, Renzogallo, Federico Ridolfi, Daniele Villa Zorn, Dario D’Aronco, Monica Biancardi, H.H. Lim, Roberto Pietrosanti, Roberto Fellicò, Petr Davydtchenko, 2A+P/A, Katrina Haikala, Mariella Bettineschi, Gregorio Botta, Mario Rizzi, Vincenzo Marsiglia, Michele De Lucchi, Michele Welke, Federico Cavallini, Sofia Ricciardi

L’antologia è sfogliabile a questo link.

(as)

Tim Etchells TimE.

L’arrivo del 2021 è stato salutato a Roma da una notevole serie di interventi artistici in cui il tema del tempo emerge con forza. Fra le opere scelte (qui le informazioni), c’è quella visibile nell’immagine di apertura: l’installazione dell’artista britannico Tim Etchells. Una imponente scritta al neon – montata al Circo Massimo – dice “This precise moment in time as seen from the future”.
Un pensiero sul tempo, come molti che l’artista-performer-scrittore ha elaborato negli anni (e del resto se leggiamo di seguito il suo nome e l’iniziale del cognome, il tempo – TimE. – appare immediatamente).
Come riporta nel suo accuratissimo sito, le scritte sono una sorta di “open-ended thought-experiment”, un esperimento aperto, in cui chi legge è sollecitato a muoversi sottilmente nel tempo e nel linguaggio.
In particolare, “Questo preciso momento nel tempo, come se fosse visto dal futuro” viene da un’opera del 2016, As Seen, in cui si chiede a chi guarda “di considerare l’istante esatto, in cui vede l’opera, come se quell’istante fosse osservato da un momento successivo nel tempo”.

Nel loop che si crea in questa esperienza, lo spettatore è preso simultaneamente all’interno di due incontri,  “uno con l’opera in sé e l’altro con l’immaginazione del momento futuro in cui guarderà indietro a quell’incontro”.
Etchells invita così a un esercizio di ginnastica temporale, memore di Borges e dei tanti tesori concettuali accumulati nella psicologia e nella filosofia del linguaggio: fermarsi a guardare il presente come se quel presente fosse già nel futuro.
Una situazione aperta e incompletabile, un dispositivo per entrare in risonanza con minime frazioni di tempo, che ci sfuggono, ma di cui l’esca visiva creata dall’artista ci rende, per un preciso momento, consapevoli. 

Qui il sito dell’artista 
Qui l’intervista di Exibart a Francesca Macrì e Claudia Sorace, curatrici artistiche del progetto Oltre tutto del Comune di Roma per il Capodanno 2021
(as)

La coerenza del tempo: Letizia Cariello

Nella sua pagina Instagram, l’artista Letizia Cariello accoglie con una scelta di immagini legate alla sua ricerca sul tempo: dettagli delle sue opere – fra cui spicca la serie dedicata ai calendari -, scorci di natura, incontri, letture significative. Gli hashtag che accompagnano le immagini sono selezionati con cura:  #dayafterday, #nulladiesinelinea,#listentotime e molti altri che raccontano nella forma della scrittura breve quello che le opere fanno con le loro materie e le loro forme.
Laureata in Storia dell’arte all’Università di Milano e in Pittura all’Accademia di Brera, docente di Disegno anatomico nella stessa Accademia, Letizia Cariello – come si legge nel suo sito – “intende intercettare la coerenza del tempo”, cercando di renderne percettibili le tracce. Il filo rosso, con cui lega oggetti quotidiani e trapunta fotografie è una delle espressioni di questo intento.

Così come la scrittura dei calendari, forme circolari riempite fittamente e ritmicamente di lettere e numeri, date sintetizzate in un codice alfanumerico personale che attira chi guarda nel cerchio ottico di una lingua da decifrare.
Artista dalle letture raffinate e multidisciplinari, votata alla riflessione, Letizia Cariello spiega con grande efficacia l’impulso alla creazione dei suoi calendari con un esempio: quando viene nominato un giorno nel futuro, lei inizia a cercarlo perché quel giorno non c’è ancora; entità inafferrabile e ansiogena, la porzione di futuro diventa addomesticabile nel momento in cui l’artista costruisce con le date un ponte nel tempo.
Ecco qui la sua spiegazione in un video dal titolo I calendari compulsivi.

A questo indirizzo il sito dell’artista e la sua  pagina Instagram

(as)

About Time: una mostra raccontata da Elena Lago

Lockdown: una parola che ormai è entrata a far parte del nostro vocabolario quotidiano. L’isolamento, la chiusura, la distanza hanno dilatato il tempo trascorso nelle nostre case e forse lo hanno reso più penetrabile. La White Cube Gallery di Londra ha organizzato una mostra on line negli spazi del suo sito web, per raggruppare una serie di artisti che hanno da sempre lavorato sul concetto di tempo.
About time è un incantevole percorso virtuale curato da Susan May, Global Artistic Director della White Cube. A cominciare dalla grafica del titolo, in cui le lettere di ABOUT TIME sono disposte a cerchio, la mostra offre subito una visione fluida e circolare del tempo, le cui molteplici sfaccettature ci vengono narrate da tredici artisti: Darren Almond, Olafur Eliasson, Hanne Darboven, Cerith Wyn Evans, On Kawara, Mona Hatoum, Agnes Martin, Christian Marclay, Josiah McElheny, Roman Opalka, Tatsuo Miyajima, Park Seo-Bo, Haim Steinbach.
 Come frase introduttiva alla mostra, la curatrice ha scelto le parole di George Kubler (1912-1996), autore, nel 1962, del libro La forma del tempo:
 «Le forme del tempo sono la preda che vogliamo catturare. Il tempo della storia è troppo grezzo e breve per costituire una lunghezza uniformemente granulare quale i fisici immaginano per il tempo della natura: esso è piuttosto come un mare pieno di innumerevoli forme di tipi numericamente limitati».
 
Lo spazio virtuale della White Cube ci fa leggere il tempo nella sua forma più liquida e mutevole, senza confini, attingendo dagli artisti che hanno raccontato il tempo dei numeri, delle stagioni, della ciclicità, dell’infinito ripetersi di immagini, il tempo visto come susseguirsi di momenti esatti all’interno di una griglia perfetta o come caos primordiale (e qui la memoria torna alla mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea, tenutasi al Macro di Roma nel 2016, a cura di Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo).
Immersi nella nostra tranquillità dello spazio-tempo domestico, scrollando la pagina della White Cube dedicata ad About Time, tra una presentazione e l’altra delle opere si dipana un universo simulato ed interstiziale, una galassia stellata che ci proietta in un tempo assoluto, silenzioso, dilatato. La mostra è divisa in due sezioni, ognuna dedicata alle due principali maniere di vedere il tempo, attraverso la precisa e calibrata scansione metrica e numerica, o mediante l’esperienza, il flusso e la percezione emozionante e riflessiva o istintiva della durata.
Parole e numeri: iIl primo artista che incontriamo è Darren Almond (1971), che nella mostra del Macro era presente con Tuesday (1440 minutes), del 1996 e su cui –  in diconodioggi – si può leggere questo testo.

Qui, invece, lo ritroviamo con una delle sue tipiche targhe in bronzo su cui è apposta la frase latina Noli Timere, che oggi ci suona più come un consiglio dettato dai tempi che corrono: “Non avere paura”, una versione più ispirata del mantra ripetuto in questi mesi “andrà tutto bene”. Ma l’ambiguità del messaggio sta nel gioco di parole che Almond ha costruito, operando l’obliterazione di alcune lettere per creare il suggestivo e laconico verso No Time: uno spazio della mente in cui il tempo non esiste, non ci trascina nella sua ineluttabilità e di conseguenza non ci fa temere.
Più avanti, Almond ritorna con un’opera veramente iconica della sua produzione, Perfect Time, del 2018. Composta da sei “flip clocks” le cui palette non seguono un andamento coerente tra le due metà, l’installazione non compone orari precisi, ma alfabeti sincopati e sconnessi, piccoli trattini bianchi su sfondo nero. Attraverso questo orologio paradossale, non possiamo controllare il tempo che passa, ma solo cogliere le sue infinite variabili che spesso risultano sfuggenti e impenetrabili, a tratti “interrotte”. Ma è questo il Tempo perfetto secondo l’artista, perché costruito da attimi e flussi che si incrociano, da costanti e variabili, da punti fermi e confini labili.
Roman Opalka (1931-2011), con la sua imperturbabile e costante precisione maniacale, compare poco dopo, lasciandoci, invece, un’idea di tempo che scorre e che ci appare come una progressione continua di numeri scritti a mano a partire dal 1965 fino al momento della sua morte. Ogni piccola tela di questo intero sistema numerico prende il nome di Détail e nella mostra virtuale della White Cube è stato esposto il DÉTAIL 2345774 – 2347926, del primo anno, il 1965. È un inchiostro su carta, non acrilico su tela: questo ci suggerisce che Opalka ha composto questo frammento durante un viaggio, quando ha la consuetudine di continuare il suo ossessivo lavoro non sulle tele, ma sulle più pratiche e maneggevoli Cartes de voyages. Quella di Roman Opalka è una narrazione lineare del tempo, che corrisponde a quell’idea di ripetizione e di riproposizione che contraddistingue anche il messaggio artistico di On Kawara (1933-2014), che incontriamo poco dopo e di cui viene presentata una tela dalle Today Series con la data MAY 26, 1994. Questo progetto quotidiano inizia nel 1966 e si interrompe solo con la morte dell’artista: quello contenuto nella serie dei giorni è un tempo personale e quotidiano, lento nella realizzazione di ogni singola tela, ma anche stringato e ripetitivo proprio per il carattere stesso del progetto: una testimonianza evidente, rigorosa e schematica del tempo che passa. Spesso l’artista ha l’abitudine di aggiungere una scatola con alcuni oggetti legati a quella specifica data scritta sulla tela nera. In questo caso, compare il titolo del “New York Times” che recita «Space Telescope Confirms Theory of Black Holes».
Luci e numeri, display di orologi digitali e piccoli codici fanno parte della poetica dell’artista giapponese Tatsuo Miyajima (1957) che, attraverso i suoi led che variano in continuazione le loro cifre dall’uno al nove, esprime il carattere circolare e fluido del tempo, che sempre cambia. Ciò
stabilisce una costante connessione, derivata dalla sua fede buddhista, tra la nascita, la vita e la rinascita, mentre lo zero, che rappresenta la fine e la morte, non compare mai tra i suoi numeri. Chiudono la serie dedicata alla misurazione e ai numeri Hanne Darboven (1941-2009), con una delle sue griglie di date, calcoli e poetici segni personali, la Dostojewki, Monat, Januar 1990 e Agnes Martin (1912-2004). Dell’artista canadese, la White Cube ci propone tre opere minimaliste, tra cui un Untitled del 1959, in cui ogni elemento viene portato ai minimi termini: un cerchio nero su sfondo bianco di lino, diviso in piccoli spicchi imprecisi, ricorda semplicemente la forma e l’aspetto di un orologio; un modo per appresentare «non ciò che si vede, ma ciò che si conosce per sempre nella mente».
Esperienza, flusso e durata: la seconda sezione della mostra si concentra sugli aspetti più fluidi ed esperienziali del tempo. La sua contingenza, il vissuto quotidiano, il concetto di durata e di flusso che sono stati decodificati dalla filosofia bergsoniana della durée. Il tempo soggettivo dell’esperienza procede come un getto ininterrotto ed indivisibile, intuibile attraverso la coscienza, capace, in questo modo, di ricongiungersi alla sua unità interna.
Christian Marclay (1955), autore del capolavoro The Clock, del 2010, è il primo artista che incontriamo. Con una serie di tre video ci trasmette la sua idea di durata: Look, Cotton buds e Lids and Straws (One minute), tutti realizzati tra il 2016 e il 2019, inquadrano minuscole porzioni delle strade londinesi, fotografate in diversi momenti della giornata e montate per creare un video loop, hanno la stessa funzione della serie delle Cattedrali di Monet. Le piccole variazioni di luce e di atmosfera prodotte sulla strada, così come i minimi dettagli della pavimentazione, forniscono un pattern irregolare e casuale al passare del tempo.
Questa incessante atmosfera di divenire e di cambiamento che viene fornita dal video in loop si riscontra ancora nel lavoro fotografico di Olafur Eliasson (1967) del 2006, The morning small cloud.

Attraverso una sequenza di nove fotografie, prese da una serie più ampia, ci mostra il passare del tempo attraverso l’apparizione mattutina di una piccola nuvola attorno ad una altura dell’Islanda. Ancora una volta, l’artista è capace di consegnarci una specifica idea di tempo atmosferico attraverso un legame indissolubile con il discorso cronologico, che si nota dalla lenta trasformazione ambientale delle foto.

Di questa seconda sezione colpiscono in particolare le opere dell’artista di Boston Josiah McElheny (1966). Le sue installazioni sono quasi sempre incentrate sulla lavorazione del vetro attraverso cui costruisce porzioni fragilissime di piccoli universi. Nel 2005, in collaborazione con il cosmologo David Weinberg, ha ideato il film Island Universe in cui inserisce l’idea dell’eterna inflazione dell’Universo. Questa costruzione fluida, frattale ed in continuo divenire del cosmo, data dalla creazione perpetua di nuova materia, ha portato al concetto di “multiverso”.

 

McElheny, da questo modello, ha tratto alcune sculture in alluminio, vetro e luce elettrica che, oltre ad essere meravigliosi oggetti di design, suggeriscono l’idea di un’energia temporale che si irradia mutevolmente. Frozen Structure, il pezzo di universo inserito nel percorso virtuale, incarna un mondo che ha avuto inizio con un’energia oscura che ha congelato la crescita e il raggruppamento delle galassie in strutture ghiacciate e cristallizzate in una sospensione atemporale.
Verso la fine del percorso espositivo della pagina della White Cube, compaiono le opere al neon dell’artista gallese Cerith Wyn Evans (1958). Prima il neon drawing ispirato al simbolo dell’infinito che si dipana nello spazio attraverso il semplice e lineare disegno del neon appeso al soffitto, poi il testo specchiato dell’installazione del Leadenhall Market di Londra: “Time here becomes space/Space here becomes time” un gioco semantico e visivo: il testo specchiato, costruito con il neon, delimita uno spazio sospeso e incantato del mercato londinese, creando una sorta di doppia entrata in cui, attraverso questa sorta di formula magica, da una parte il tempo si trasforma in spazio e dall’altra lo spazio diventa tempo.
Chiudono poeticamente la mostra virtuale le parole Going going gone formulate da Haim Steinbach (1944), in un’installazione del 1999. Lo stesso verbo coniugato in due tempi diversi, trasferiti sul muro nero su bianco, in verticale, quasi a testimoniare la fuggevolezza del tempo e l’assurda vanitas del presente: un attimo prima siamo immersi nella temporalità vibrante e attiva del gerundio, nel pieno dell’andare, e un attimo dopo ci ritroviamo nella dimensione chiusa e passata del participio, dell’andato. In altre parole, un moderno memento mori, che vede al posto del teschio e della clessidra un semplice e conciso sciorinamento di tre tempi verbali.
Elena Lago, giugno 2020

About Time, fino al 16 luglio 2020 > qui un video tour della mostra