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antropocene, metafora del tempo, Pietro Ruffo, tempo
Pietro Ruffo è un artista che sa raccontare lo spazio geografico e urbano, il tempo nelle sue scansioni minute ed epocali, i percorsi del genere umano sul pianeta, la scala delle foreste primordiali e l’hortus conclusus di un giardino. Summa eccezionale di queste capacità di Ruffo, e del suo interesse per il destino degli esseri viventi e del pianeta in cui co-evolvono, è la mostra dal titolo L’ultimo meraviglioso minuto, aperta al Palazzo delle Esposizioni di Roma (ottobre 2024-febbraio 2025), curata insieme con Sébastien Delot.
Il titolo si collega a un passo dell’archeologa e paleontologa Rebecca Wragg Sykes, in cui la metafora dei dodici mesi serve a visualizzare il momento dell’arrivo dell’homo sapiens sulla scena: se i dinosauri compaiono verso Natale, l’uomo si affaccia “allo scoccare della mezzanotte, l’ultimo minuto del 31 dicembre”.
La mostra si articola in diversi ambienti (Le Monde Avant la Création de l’Homme, L’ultimo meraviglioso minuto, De Hortus, Antropocene Preistoria, Il Giardino planetario) che amalgamano quadri, di dimensioni e forme multiple, oggetti-contenitori, video racconti. I grandi teli a parete, che riproducono in un azzurro azulejos le foreste primordiali, dialogano con la tecnica cartografica delle opere appese, in cui alcuni brani della città di Roma sono interpolati a visioni del passato remoto e del futuro, in un diorama spazio-temporale che è l’invenzione straordinaria di Ruffo.
Palazzo delle Esposizioni, Roma, via Nazionale; a cura di S. Delot
catalogo, edizioni Drago.
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Asimov, creazione, gioco del tempo, jeux de miroir du temps, memoria, souvenir, tempo, Yourcenar
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Un seul détail est décidément inventé: rien n’indique que le poète, ce 23 octobre 1875, fit à cheval la route d’Acoz à La Pasture. Mais il a à son crédit d’autres chevauchées plus longues. S’il fit ce jour-là ce trajet dans sa voiture, comme ce fut le cas dans les deux occasions suivantes, ses méditations en course de route n’en ont pas été changées.
Je me rends compte de l’étrangeté de cette entreprise quasi nécromantique. C’est moins le spectre d’Octave que j’évoque à près d’un siècle de distance qu’Octave lui-même, qui, un certain 23 octobre 1875, va et vient accompagné sans le savoir par une “petit-nièce” qui ne naîtra que vingt ans après sa mort à lui, mais qui, en ce jour où elle à rétrospectivement choisi de le hanter, a environs l’âge qu’avait alors Madame Irénée. Tels sont les jeux de miroirs du temps.
Marguerite Yourcenar, Souvenirs pieux, 1974
Un solo particolare è decisamente inventato: nulla indica che il poeta, quel 23 ottobre 1875, abbia percorso a cavallo la strada da Acoz a La Pasture. Ma si è a conoscenza di altre sue cavalcate ancora più lunghe. Se quel giorno egli fece il tragitto in carrozza, come nelle due occasioni successive, le sue meditazioni durante il percorso non furono certo diverse. Mi rendo conto della stranezza di questa operazione quasi negromantica. A un secolo di distanza, più che lo spettro di Octave, sto evocando Octave in persona, il quale quel certo 23 ottobre 1875 va e viene, senza saperlo, in compagnia di un “pronipote” che nascerà soltanto vent’anni dopo la sua morte, ma che il giorno in cui ha deciso di frequentarlo retrospettivamente ha circa l’età che aveva allora madame Irénée. Tali sono i giochi di specchi del tempo
Marguerite Yourcenar, Care memorie, 1974, tr. it. G. Cillario, Einaudi, 1981, p. 167
Il viaggio a ritroso lungo i rami della sua famiglia, in parte francese e in parte belga, conduce la scrittrice Marguerite Yourcenar a ricostruire la rete di esistenze e di relazioni che hanno condotto fino alla sua nascita, nel 1903. Ai dati storici documentati e ai ricordi di famiglia, vengono intercalate immaginazioni e deduzioni su quello che i suoi antenati – bisnonni, nonni, prozii – hanno fatto e provato durante le loro vite. In questa ricostruzione, si incontrano anche giorni inventati – come questo 23 ottobre. Un giorno nella vita del suo parente Octave Pirmez, scrittore e poeta, che la Yourcenar immagina in quei dettagli persi per sempre, impossibili da verificare, ma che forse si sono verificati, in una giornata di fine ottobre del 1875, nella campagna belga, proprio come lei li scrive.
Dicono del libro
Dicono del libro
“A vent’anni, Marguerite Yourcenar aveva tratteggiato un immenso romanzo storico che conteneva, trasformate dalla fantasia, tutte le generazioni della sua famiglia, ma solo negli anni ’70 questo progetto prese forma. Care memorie inizia dal racconto della sua nascita per dilatarsi, indietro nel tempo, fino al XIV secolo, tessendo la storia di un gruppo di famiglie che copre, come una rete, tutto un territorio: le Fiandre”.
(Dalla bandella dell’ed. Einaudi, op. cit.)
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giornale, Murakami, tempo, tempo parallelo
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Poteva trattarsi di una coincidenza casuale, ma le coincidenze casuali non convincevano Aomame. Era possibile che fra i due fatti ci fosse un collegamento. Anche l’espressione usata dalla signora, quel “grave incidente”, sembrava indicare l’esistenza di una connessione. Lo scontro a fuoco si era svolto il 19 ottobre di tre anni prima (secondo la teoria di Aomame, tre anni prima del 1Q84). I particolari sulla sparatoria li aveva già letti la volta precedente, scorrendo gli articoli di cronaca, quindi un’idea sufficiente dei fatti la possedeva. Quel giorno decise che avrebbe dato solo una rapida scorsa alle notizie, concentrandosi sugli articoli pubblicati in seguito e su quelli che analizzavano l’episodio da vari punti di vista
Murakami Haruki, 1Q84, 1 e 2, 2009, tr. it. G. Amitrano, Einaudi 2011, versione kindle, pos. 6258
Da quando – nel primo dei 24 capitoli del primo libro – la giovane Aomame è scesa dal taxi sulla tangenziale e ha imboccato la scala d’emergenza nella piazzola di sosta, si è ritrovata in una strana atmosfera, dove le cose – come le ha detto il tassista – “sono diverse da come appaiono”, anche se “la realtà è sempre una sola”. Uno degli indizi di una mutazione nello stato della realtà viene proprio dalle date. Consultando i giornali della biblioteca di quartiere, Aomame si accorge di non ricordare – lei così attenta alla storia – alcuni dei fatti accaduti nel 1981. In particolare la colpisce la notizia di un incidente avvenuto il 19 ottobre, uno scontro a fuoco fra la polizia e un gruppo estremista, nei pressi del lago Motosu. Non si tratta di una lacuna della sua memoria, ma di una variante nel corso degli avvenimenti, che conduce in un mondo parallelo, dove una cifra dell’anno corrente, il 9 di 1984, è diventata la Q del “question mark, il punto interrogativo”. Sui fatti del 19 ottobre, Aomame ritorna durante un’altra visita alla biblioteca, in cerca di notizie utili per orientarsi nel nuovo tempo in cui lei e la rete delle cose si trovano.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Aomame è spietata e fragile. È un killer che, in minigonna e tacchi a spillo, con una tecnica micidiale e impalpabile, vendica tutte le donne che subiscono una violenza. Tengo è un ghost writer che deve riscrivere un libro inquietante e pericoloso come una profezia.Entrambi si giocano la vita in una storia che sembra destinata a farli incontrare. Ma quando Aomame, sollevando gli occhi al cielo, vede sorgere una seconda luna, capisce che non potranno condividere neppure la stessa realtà. Mai come in 1Q84 Murakami ha esplorato le nostre ossessioni per dare vita a un mondo così personale, onirico e malinconico”.
(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)
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Oggi
data, Dick, giornale, percezione del tempo, tempo
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I have five thousands dollars in government high-denomination bills, he told himself. So I’m not completely helpless. And that thing is gone from my chest, including its feeding tubes. They must have been able to get ai them surgically in the hospital. So at least I’m alive; I can rejoice over that. Has there been a time lapse? he asked himself. Where’s a newspaper?
He found an L. A. Times on a nearby couch, read the date. October 12, 1988. No time lapse. This was the day after his show
Philip K. Dick, Flow My Tears, the Policeman Said, 1976
“Ho cinquemila dollari in banconote del governo di grosso taglio” si disse. “Quindi non sono del tutto inerme. E quella cosa è scomparsa dal mio petto, assieme ai suoi tubi di suzione. All’ospedale devono essere riusciti a rimuoverli chirurgicamente.
Quindi, se non altro, sono vivo; di questo posso rallegrarmi.
C’è stato un salto temporale? Dov’è un giornale?”
Trovò una copia del “Los Angeles Times” su un divano lì vicino, lesse la data: 12 ottobre 1988. Nessun salto temporale. Era il giorno dopo il suo ultimo show
Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto, 1976, tr. it. V. Curtoni, Mondadori, 1998, p. 26
Due “corridoi spaziali” – uno corrispondente alla realtà, l’altro a una “possibilità latente fra le molte”, concretizzata da una potente droga assunta dalla sorella del generale Buckman – sono accaduti contemporaneamente, confondendo le percezioni, la memoria, le relazioni delle persone coinvolte. L’11 ottobre il protagonista, il cantante Jason Taverner, è un celebre conduttore televisivo, con uno show seguito da milioni di spettatori. Il giorno dopo, il 12 ottobre si ritrova solo, senza documenti, in un hotel periferico, mentre tutti intorno sembrano non aver mai sentito parlare di lui. Nel corso di quel 12 ottobre entrerà in contatto con il sistema di controllo poliziesco e burocratico della società, con le psicosi e le allucinazioni degli abitanti, mentre la storia (e la lettura) oscillano fra metafore del tempo e della coscienza, ricerca di conferme sull’ora e sulla data.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Edito nel 1977 in Italia, con il titolo Episodio Temporale, questo romanzo rimase una lettura segreta, un libro per iniziati. Certamente il grande pubblico non era a conoscenza della fucina formidabile che Philip K. Dick alimentava in quegli anni con il suo genio”.
(Dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)
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Mann, Márquez, mesi, passaggio del tempo, tempo, tempo ciclico, Zeit
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Der Oktober brach an, wie neue Monate anzubrechen pflegen, – es ist an und für sich ein vollkommen bescheidenes und geräuschloses Anbrechen, ohne Zeichen und Feuermale, ein stilles Sicheinschleisen also eigentlich, das der Aufmerksamkeit, wenn sie nicht strenge Ordnung hält, leicht entgeht. Die Zeit hat in Wirklichkeit keine Einschnitte, es gibt kein Gewitter oder Drommetengetön beim Beginn eines neuen Monats oder Jahres, und selbst bei dem eines neuen Säkulums sind es nur wir Menschen, die schiessen und läuten. In Hans Castorps Fall glich der erste Oktobertag auf ein Haar dem letzen Septembertage; er war ebenso kalt und unfreundlich wie dieser, und die nächstfolgenden waren es auch.
Thomas Mann, Der Zauberberg, 1924
L’ottobre venne come sogliono venire i nuovi mesi; il suo è un arrivo modesto e silenzioso sotto tutti i rapporti, senza segni esteriori, un muto insinuarsi dunque, che sfugge facilmente all’attenzione se questa non mantiene un ordine severo. Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, ed anche a quello del nuovo secolo; siamo soltanto noi uomini che spariamo e tuoniamo. Nel caso di Giovanni Castorp, il primo giorno di ottobre fu identico agli ultimi giorni di settembre, fu altrettanto immusonito e freddo come quelli e come gli altri che lo seguirono
Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. G. Giachetti-Sorteni, Dall’Oglio 1930 (1976), vol. I, p.249
Sulla montagna incantata (o magica, secondo una recente traduzione), il tempo è chiamato continuamente in causa. Sia il tempo meteorologico, poiché su quella montagna delle Alpi svizzere si trova il sanatorio per le malattie dei polmoni, i cui ospiti sono i protagonisti del romanzo, sia – soprattutto – il tempo del calendario. Il soggiorno del giovane ingegnere Giovanni Castorp – in visita a un cugino – doveva durare meno di un mese, e invece – scopertosi malato – si prolunga per anni, trasformando abitudini e aspettative. Mentre le stagioni cambiano, i giorni avanzano come le lancette di un enorme orologio, e il tempo è sentito come una beffa, un mistero, un trucco senza spiegazione.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Così il gruppo di ricchi cosmopoliti del sanatorio di Davos, affetti da quella che era allora la malattia per eccellenza, la tubercolosi, diventa il simbolo della condizione umana per la quale il dolore sta a fondamento dell’amore e la morte è in sostanza un’iniziazione alla vita: tutto il romanzo diventa così, per usare le parole di Mann, un romanzo di iniziazione”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Dall’Oglio, op. cit.)
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Bolaño, orologio, tempo
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24 settembre
Mi sono svegliato tardi e senza appetito. Meglio così perché i soldi che mi restano sono pochi. La pioggia non è diminuita. Alla reception, quando chiedo di Frau Else, mi dicono che è a Barcellona o a Girona, al Gran Hospital, insieme al marito. Sulla gravità delle condizioni di quest’ultimo il commento è inequivocabile: sta morendo. La mia colazione è consistita in un latte e caffè e un croissant. Nel ristorante rimaneva solo un cameriere per servire cinque vecchi surinamesi e me.
L’Hotel del Mar, di colpo, si è svuotato. A metà pomeriggio, seduto sul balcone, mi sono reso conto che il mio orologio non funzionava. Ho cercato di caricarlo, gli ho dato qualche botta, ma non c’è stato niente da fare. Da quanto tempo è fermo? La cosa ha un qualche significato? Lo spero
Roberto Bolaño, Il Terzo Reich, 2010 (postumo), tr. it. I. Carmignani, Adelphi, 2010, p. 308
Il diario del giovane tedesco Udo Berger – in vacanza con la fidanzata in un albergo sulla Costa Brava – è cominciato il 20 di agosto e termina dopo poco più di un mese, insieme con la stagione balneare. Durante quel periodo si è dedicato a un wargame sul Terzo Reich, montato su un grande tavolo nella sua stanza. Oltre a Frau Else, la proprietaria dell’albergo, Udo conosce strani personaggi, con cui ingaggia partite piene di tensione, mentre il tempo del gioco si insinua in quello della vicenda. Fino alla fine del suo soggiorno, il 24 settembre, vigilia della partenza.
Dicono del libro
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“Appena mette piede nella sua stanza d’albergo sulla Costa Brava, il giovane Udo Berger ottiene, dopo molte insistenze, che gli venga portato un grande tavolo, sul quale piazza il wargame di cui è campione assoluto e di cui intende elaborare nuove e più audaci strategie: il Terzo Reich. L’atmosfera è delle più beatamente, ottusamente balneari. Eppure, quasi subito, sentiamo che non tutto è luce, e che nell’ombra sono in agguato fantasmi inquietanti”.
(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)
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Oggi
anno patafisico, Ballard, calendario, Jarry, metafora del tempo, paradosso temporale, tempo
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Perhaps Anne has another week before time stops for her. As for myself, three weeks? It’s curious to think that, say, precisely 3:47 P. M. September 8, time will stop forever. A single microsecond will flash past unnoticed for everyone else, but for me will last an eternity. I’d better decide how I want to spend it!
James G. Ballard, Memories of the Space Age, 1982
Forse Anne ha un’altra settimana prima che per lei il tempo si fermi definitivamente. Quanto a me, tre settimane, forse? È strano pensare che, diciamo alle 15:47 precise dell’8 settembre, il tempo si fermerà per sempre. Un unico microsecondo scorrerà senza che nessun altro lo noti, ma per me durerà un’eternità. Farei meglio a decidere come voglio trascorrerlo!
James G. Ballard, Ricordi dell’era spaziale, 1982, tr. it. L. Briasco, in Tutti i racconti, vol. 3 1969-1992, Fanucci, 2007, p. 446
C’è ancora qualche data nel mondo del dottor Mallory, ex medico della Nasa afflitto – come la moglie Anne – da strani attacchi durante i quali il tempo sembra rallentare. Arrivato da Vancouver a Cape Kennedy in cerca di Hinton – un astronauta che ha ucciso il co-pilota – e di una spiegazione del fenomeno, Mallory si accorge che tutto il centro spaziale e l’intera Florida è coinvolta nella deformazione del passaggio del tempo. Il tempo, “come una pellicola in un proiettore difettoso, si muoveva a ritmo irregolare, rallentando a tratti fino a fermarsi”. Nei grandi alberghi vuoti, fra le rovine del centro spaziale, fra pochi esseri viventi – gli animali di uno zoo, molti uccelli, la figlia del pilota ucciso, l’astronauta Hinton che sta cercando di fuggire dal tempo attraverso la competenza nel volo – Mallory si muove in un tempo “ agglutinato”. Fra la fine di agosto e i primi giorni del mese successivo, registra ancora gli effetti di questa esperienza su di sé e sulla moglie, in attesa del momento in cui il presente si sarebbe fermato su un unico istante, forse nella luce vivida del pomeriggio dell’8 settembre.
Dicono del libro
Dicono del libro
“I temi del tempo e dello spazio, che erano stati ampiamente affrontati da Ballard nella narrativa degli anni cinquanta e sessanta, giungono a una maturazione potente e convincente in tre dei racconti di questa antologia, pubblicati tutti nello stesso anno, il 1982: Ricordi dell’era spaziale, Notizie dal sole e Miti del futuro prossimo”.
(Dalla postfazione di A. Caronia all’ed. Fanucci, op. cit.)
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anniversari, Bontempelli, coincidenze, date, ricorrenze, ritorni, tempo
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– Niente è accaduto, i fatti sono sempre quelli. I fatti sono lì; – era tornato alla tavola e premeva con le palme aperte sullo scartafaccio del Diario – quel che importa, che mi sconvolge, non sono i fatti, tutti li sanno; sono i rapporti, le concorrenze, la interpretazione; è qui – e con l’indice, lungo e secco che pareva un bastone, picchiava sui margini coperti di note minutissime in inchiostro rosso.
Maurizio ricordò i vaneggiamenti sul ventisei di agosto, che a suo tempo Carmela gli aveva raccontati, e respirò. Carmela uscì in un riso ebete, ma l’abate la fulminò. Narcisa rimaneva fredda e attenta. Poiché ora lo sguardo febbrile dell’abate era arrivato su lei, ella disse rigidamente:
– Per conto mio, le prometto il più rigoroso segreto.
– Ecco; lo confesso, io m’ero ingannato allora, quando ho trovato quella coincidenza di date
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo, 1937, ed. cons. Mondadori 1942, pp. 114-115
“È a forza di anniversari che il tempo se ne va tanto presto, invece gli uomini ci hanno una vera passione”. Nella storia della famiglia Medici, le date hanno una fatale importanza, scandendo la successione della scomparsa dei componenti, a partire dalla nonna delle due protagoniste (le sorelle Nora e Dirce), la “Gran Vecchia”, morta il 26 agosto del 1900. È una suggestione collettiva che coinvolge, oltre alla famiglia, l’intero paese e soprattutto l’abate Clementi, che registra su un Diario il ritmo “astrale” delle date di famiglia, a partire da quel 26 agosto di inizio secolo, per poi ammettere che “non importa morire, importa non sapere quando”. “Se uno quando c’è ci pensasse forte, ma ben forte, mi pare che il tempo non dovrebbe andarsene a questo modo”.
Dicono del libro
Dicono del libro
“La storia ha inizio il 26 agosto 1900, a Colonna, una cittadina dell’entroterra ligure, alla villa La Coronata, il giorno della morte della Gran Vecchia, e si snoda seguendo le vicende di personaggi tutti appartenenti alla stessa famiglia, per chiudersi allo scadere del 1925, all’alba, nello stesso luogo della scena iniziale, sulla drammatica sorte di follia e di morte delle sorelle Nora e Dirce. Autentiche e straordinarie figure femminili, vittime e insieme artefici del proprio destino”.
(Dalla scheda dell’ed. SE sul sito Amazon)
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Borges, Gautier, Jensen, passato, ritorno, souvenir, tempo
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Mais à quelle époque de la vie de Pompéi était-il transporté? Une inscription d’édilité, gravée sur une muraille, lui apprit, par le nom des personnages publics, qu’on était au commencement du règne de Titus, – soit en l’an 79 de notre ère. – Une idée subite traversa l’âme d’Octavien ; la femme dont il avait admiré l’empreinte au musée de Naples devait être vivante, puisque l’éruption du Vésuve dans laquelle elle avait péri eut lieu le 24 août de cette même année ; il pouvait donc la retrouver, la voir, lui parler… Le désir fou qu’il avait ressenti à l’aspect de cette cendre moulée sur des contours divins allait peut-être se satisfaire, car rien ne devait être impossible à un amour qui avait eu la force de faire reculer le temps et passer deux fois la même heure dans le sablier de l’éternité.
Théophile Gautier, Arria Marcella. Souvenir de Pompéi, 1852
Ma in quale epoca della vita di Pompei era stato trasportato? Un’iscrizione edile scolpita su un muro gli fece capire, dal nome dei personaggi pubblici, che si era all’inizio del regno di Tito, cioè nell’anno 79 della nostra era. Un pensiero improvviso attraversò la mente di Octavien: la donna di cui aveva ammirato l’impronta al museo di Napoli doveva essere viva perché l’eruzione del Vesuvio nella quale era morta era avvenuta il 24 agosto di quell’anno. Poteva dunque ritrovarla, vederla, parlarle… Il desiderio folle che aveva provato vedendo quella cenere modellata su forme divine poteva essere soddisfatto, perché nulla doveva essere impossibile a un amore che aveva avuto la forza di far tornare indietro il tempo e di far passare due volte la stessa ora nella clessidra dell’eternità
Théophile Gautier, Arria Marcella, 1852, in Il vello d’oro e altri racconti, tr. it. L. Binni, Giunti 1993, p.155
In un anno dell’Ottocento, Octavien, un giovane francese in viaggio a Napoli con due amici, visita il Museo e s’incanta di fronte alla vetrina, dove è conservato un pezzo di lava nera che reca l’impronta di un seno e di un fianco femminili. Arrivato a Pompei e trovata la casa da cui proviene l’impronta, Octavien vive – o immagina di vivere – un’esperienza prodigiosa. Mentre i suoi amici dormono fra i fumi del vino Falerno, Octavien visita di nuovo, da solo, le rovine. Per lui “la ruota del tempo era uscita dalla sua carreggiata” , riportandolo a un giorno che precede di poco il 24 agosto del 79 dopo Cristo, data (peraltro contestata da rilevamenti recenti) dell’eruzione del Vesuvio che seppellì la città. Un’ondulazione del tempo, un ritorno del passato – o una sincope, come apparirà agli amici che lo ritrovano svenuto – gli permette di trovarsi di fronte ad Arria Marcella, in un punto nodale della storia antica.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Visioni, apparizioni, giochi di forme: nello specchio dell’Arte lo sguardo oggettivo di Gautier sottrae alla Morte e al vuoto cristalli e pietre preziose, antiche civiltà e bellezze perfette”.
(Dalla bandella dell’ed. Giunti, op. cit.)
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Hamsun, lettera, Lord Chandos, notte, notti di ferro, tempo
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Così arrivò il ventidue di agosto e così vennero le tre Notti di Ferro.
La prima Notte di Ferro. Alle nove il sole tramonta. Sopra la terra si stende un’ombra opaca, si vedono alcune stelle e, due ore dopo, appare un barlume di luna. Col fucile e col cane me ne vado nel bosco, accendo un focherello e il bagliore della fiamma si insinua fra i tronchi dei pini. Non c’è brina.
La prima Notte di Ferro! dico fra me. E una gioia violenta per il tempo e il luogo mi confonde e mi scuote stranamente
Knut Hamsun, Pan, 1894, tr. it. E. Pocar, in Pan. L’estrema gioia, Mondadori, 1941, p. 88-89
Il tenente Glahn ricorda l’estate del 1855 , quando “il tempo passava molto veloce, senza confronto più veloce di adesso”. Nella foresta norvegese di betulle, popolata di animali ma anche carica di silenzi, Glahn ha trascorso un tempo speciale, in ascolto della natura e di sé stesso. Più adatto alla vita solitaria che alle relazioni umane e amorose, Glahn è sensibile a ogni manifestazione della natura, alle lievi variazioni di luce e calore che accompagnano il cambiamento della stagione. La notte del ventidue agosto – la prima delle notti di agosto in cui comincia ad apparire il primo ghiaccio – il sole tramonta alle nove e Glahn si prepara a passarla all’aperto, mentre un aurora boreale “passa sopra il cielo del Nord”. Lo scrittore norvegese Knut Hamsun – premio Nobel nel 1920 – era nato nel 1859, il 4 agosto.
Dicono del libro
Dicono del libro
“… abbiamo raccolto in questo volume due delle opere più significative: il romanzo lirico Pan (1894) e il racconto polemico L’estrema gioia (1912). Nel primo il poeta ha fatto uso dell’arte di un Björnson nel descrivere la vergine natura nordica con l’acume di un Dostojevski nell’analizzare l’anima umana, ma creando nell’insieme una visione mistica in cui palpita e vive Pan, il Tutto”.
(Dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)
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Bufalino, metafora del tempo, spazio, tempo, Werfel
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Quella domenica 18 agosto è, fra i giorni della mia vita, uno dei tre o quattro che mi recito da cima a fondo, quando voglio cercare di raggiungere l’estasi di rivivermi. Mi spiego: io col passato ho rapporti di tipo vizioso, e lo imbalsamo in me, lo accarezzo senza posa, come taluno fa coi cadaveri amati. Le strategie per possederlo sono le solite, e le adopero tutt’e due. Dapprincipio mi visito da forestiero turista, con agio, sostando davanti a ogni cocciopesto, a ogni anticaglia regale; bracconiere di ricordi, non voglio spaventare la selvaggina. Poi metto da parte le lusinghe, l’educazione, lancio a ritroso dentro me stesso occhi crudeli di Parto, lesti a cogliere e a fuggire. Dagli attimi che dissotterro – quanti ne ho vissuti apposta per potermeli ricordare!- non so cavare pensieri, io non ho una testa forte, e il pensiero o mi spaventa o mi stanca. Ma bagliori, invece… bagliori di luce e ombra, e quell’odore di accaduto, rimasto nascosto con milioni d’altri per anni e anni in un castone invisibile, quassopra, dietro la fronte… Sento a volte che basterebbe un niente, un filo di forza in più o un demone suggeritore… e sforzerei il muro, otterrei, io che il Non Essere indigna e l’Essere intimidisce, il miracolo del Bis, il bellissimo Riessere
Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981, ed. cons. Bompiani, 1992, p. 75
I giorni dell’estate del 1946, al sanatorio della Rocca nei pressi di Palermo, passano come i gradini della “scala mobile di una Rinascente”, che si assottigliano inesorabilmente e spariscono uno dopo l’altro. Di tutti i giorni che il narratore trascorre nella casa di cura, in compagnia di altri ammalati di tubercolosi – ai quali è destinato a sopravvivere – uno, in particolare, torna nei suoi ricordi. Domenica 18 agosto è la data dell’incontro con la giovane Marta per una passeggiata in città, fra chioschi di granite, viali di palme e confidenze via via più intime, che porteranno ad altri rari ma intensi appuntamenti. Una giornata degna di essere rivissuta, richiamata al presente come un bis a teatro.
Vai a Cartolina per un 18 agosto
Dicono del libro
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“Iniziata in tempi remoti e riscritta più volte, Diceria dell’untore incontrò subito, quando fu data alle stampe, nel 1981, un unanime consenso di critica e pubblico, sanzionato dalla vittoria nel Supercampiello dello stesso anno. Stupiva l’esordio tardivo e riluttante dell’autore, la sua distanza dai modelli correnti, la composita ragione narrativa, tramata di estasi e pena, melodramma e ironia; non senza il contrappunto di una sotterranea inquietudine religiosa, come di chi si dibatte tra la fatalità e l’impossibilità della fede… Stupiva, infine, l’oltranza lirica della scrittura, disposta a compromettersi con tutte le malizie della retorica, senza per ciò vietarsi di accogliere con partecipe abbandono l’impeto dei sentimenti più ingenui. La vicenda racconta un amore di sanatorio, nel dopoguerra, fra due malati, un amore-duello sulla frontiera del buio”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)
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Borges, compleanno, eternità, éternité, Nothomb, Sanvitale, tempo
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Tout ce que vous voudrez, mais avant d’écrire cette prolongation, vous devrez raconter la fin de ce 13 août 1925.
Ce ne sera pas une prolongation, ce sera un flash-back! Comprenez-moi: les cartilages sont mon chaînon manquant, articulations ambivalentes qui permettent d’aller de l’arrière vers l’avant mais aussi de l’avant vers l’arrière, d’avoir accès à la totalité du temps, à l’éternité! Vous me demandez la fin de ce 13 août 1925? Mais ce 13 août 1925 n’a pas de fin, puisque l’éternité a commencé ce jour-là
Amélie Nothomb, Hygiène de l’assassin, 1997
Tutto quello che vuole, ma prima di scrivere questa continuazione, mi deve raccontare la fine di quel 13 agosto 1925.
Non sarà una continuazione, sarà un flashback! Mi comprenda bene: le cartilagini sono il mio anello mancante, articolazioni ambivalenti che permettono di andare dall’indietro in avanti ma anche dall’avanti all’indietro, di avere accesso alla totalità del tempo, all’eternità! Mi chiedeva la fine di quel 13 agosto 1925? Ma quel 13 agosto 1925 non ha fine, perché l’eternità è cominciata quel giorno.
Amélie Nothomb, Igiene dell’assassino, 1997, tr. it. B. Bruno, Ugo Guanda editore su licenza Voland, p. 148
Dicono del libro
Dicono del libro
“Al premio Nobel per la letteratura Prétextat Tach restano solo due mesi di vita. La stampa di tutto il mondo gli implora un’ultima intervista ma lo scrittore, feroce misantropo, si è chiuso da anni in un silenzio segreto. Solo cinque giornalisti riusciranno a incontrarlo. Dei primi quattro, il geniale romanziere si prenderà sadicamente gioco e con una dialettica in cui si mescolano logica e malafede riuscirà ad annientarli sia sul piano personale sia su quello professionale. Il quinto invece, una donna, riuscirà a tenergli testa e avere la meglio su di lui: l’intervista diventerà interrogatorio e poi duello senza respiro. Ne verrà fuori, poco a poco, un ritratto di Prétextat Tach del tutto inedito”
(dalla scheda del libro su ibs)
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mesi, Milorad Pavić, schema, tempo
“A giudicare dai primi 12 giorni di agosto si vede come saranno i 12 mesi dell’anno; per Vìtacia Milut scorrevano i 12 mesi in base ai quali si poteva indovinare come sarebbe stata la sua vita”.
È una delle tante osservazioni sui legami fra il tempo, i calendari, la vita degli individui e delle famiglie, che si leggono nel libro Paesaggio dipinto con il tè del grande scrittore serbo Milorad Pavić (1929-2009), autore, fra l’altro, del romanzo-lessico Dizionario dei Chazari (1984).
Scritto nel 1988, tradotto in italiano da Branka Ničija per Garzanti nel 1991, Paesaggio dipinto con il tè racchiude dimensioni linguistiche e dispositivi narrativi avvincenti e impegnativi per chi legge, a partire dal richiamo alle parole crociate: “Questo romanzo veramente può essere letto allo stesso modo in cui si risolve un cruciverba. Un po’ orizzontalmente, un po’ verticalmente” (p. 185). Due schemi di cruciverba in effetti sono stampati all’inizio del “libro secondo”, mentre a metà del volume l’autore offre degli indizi per la lettura incrociata e alla fine si trova una specie di “soluzione”, leggibile rovesciando il volume sottosopra.
Le azioni di rovesciare, di andare avanti e tornare indietro per incrociare i paragrafi alludono a un modo di leggere contro la corrente del tempo che trascina capitolo dopo capitolo, giorno dopo giorno, dall’inizio alla fine del racconto e di chi lo legge.
Il libro, come consigliò Alan Connor (Crossword book club: Landscape painted with Tea, “The Guardian”, 2022), andrebbe letto con qualche nozione della cultura enigmistica serba e con lentezza, perché i temi centrali e diagonali (la ricerca del padre da parte del protagonista, le metamorfosi del personaggi, i cambi di nome, i tratti fantastici ed esoterici) trovino il proprio posto nel puzzle.
Per diconodioggi, il libro si può attraversare facendo tesoro delle riflessioni sul tempo.
Eccone due fra le più consistenti:
La prima (p. 136) offre una simbiosi fra stagioni e lingue:
“Ormai erano cento anni che nella sua famiglia in autunno si parlava il tedesco, d’inverno il polacco o il russo, in primavera il greco, e soltanto d’estate il serbo, come si conviene a una famiglia di commercianti di grano. Tutte le stagioni dell’anno passate e future si fondevano così nella sua coscienza in un’eterna stagione, somigliante a se stessa come la fame alla fame” .
La seconda (p. 248) sulla “lingua del tempo”:
“Partiamo dalla domanda che cos’è il tempo. Il tempo è una specie di linguaggio che si impara insieme alla lingua madre, quindi impercettibilmente. Tuttavia, sembra che impariamo la lingua madre a spese di quest’altra lingua o almeno che utilizziamo la lingua madre più spesso, mentre quell’altra lingua, la lingua del tempo, viene dimenticata”.
(a.s.)
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appuntamento, carte postale, cartolina, data, date, Duras, futuro, tempo
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La jeune fille écrit sur la carte postale.
Sur la carte postale, du côté de l’écriture, il y a maintenant le nom de la jeune fille, la date, 30 juillet 1980, et la date et l’heure à laquelle il devra venir dans dix ans, le 30 juillet 1990, minuit.
Du côté de l’image il y a l’endroit de la plage de la veille, au croisement du chemin des tennis, de la promenade et de la rue de Londre, si belle, elle dit, la plus belle de toutes, sa préférée, belle comme un tunnel de lumière de soleil devant la mer
Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992
La ragazza scrive la cartolina. Sulla cartolina, dalla parte della corrispondenza ora c’è il nome della ragazza, la data, 30 luglio 1980 e la data e l’ora in cui lui dovrà tornare tra dieci anni, il 30 luglio 1990, a mezzanotte. Dalla parte dell’illustrazione c’è il punto della spiaggia del giorno prima, all’incrocio tra il sentiero per i campi da tennis, la passeggiata e la rue de Londres, così bella dice lei, la più bella di tutte, la sua preferita, bella come un tunnel di luce del sole davanti al mare
Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992, tr. it. L. Prato Caruso, Feltrinelli 1993, p.75
Estate del 1980: la storia della convivenza della narratrice con un giovane, Yann, che potrebbe essere suo figlio, è intrecciata con altre storie, immaginate o intuite nella stessa estate nella località delle Roches Noires, nel nord della Francia. In una di queste storie, la giornata del 30 luglio, una giornata in cui il cielo sembra “di lacca azzurra”, è richiamata due volte: nel presente del racconto (il 1980) e nel futuro 1990, in uno strano appuntamento nel tempo fissato su una cartolina comprata nel bazar.
Dicono del libro
Dicono del libro
“È una storia vera, come quella dell’Amante, la storia di un’altra passione ‘proibita’, l’amore che Marguerite Duras sta vivendo per Yann Andréa, un giovanotto che potrebbe essere suo figlio. Yann conosce Marguerite alla proiezione di India Song (uno dei film più importanti della Duras cineasta), le scrive per molto tempo, a volte due lettere al giorno. Poi le lettere si interrompono e solo allora, nel vuoto e nella solitudine in cui la mancanza di quelle lettere l’hanno lasciata, Marguerite si decide a rispondergli. Due giorni dopo, nell’estate del 1980, ‘un’estate di pioggia e di vento’, Yann arriva alle Roches Noires ed è questo incontro (da cui inizia la loro convivenza) che Marguerite descrive, intrecciandolo alla sua maniera, con altre due storie”.
(Dalla bandella dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)
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Benni, futuro, meteo, passato, tempo
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Il giorno 29 luglio dell’anno 2157 la temperatura esterna a Parigi era di meno undici gradi. Nevicava esattamente da un mese e sei giorni, e quasi tutti gli edifici della città vecchia erano sepolti. La vita proseguiva però regolarmente sottoterra nelle metropolitane, nelle vie-condotto, nei giardini botanici e nei forum a temperatura costante di otto gradi. Dall’ultimo piano dell’immensa piramide incastonata nel ghiaccio un uomo infreddolito guardava la distesa gelata e spoglia stendersi per chilometri e chilometri, interrotta solo dalla luce di qualche slitta
Stefano Benni, Terra!, 1983, Feltrinelli 1983, p.14
Dopo una serie di guerre mondiali e una crisi energetica, la terra è immersa in una nuova glaciazione. La popolazione di uomini, robot, cyborg, vive in un inverno perenne, in città verticali e paesaggi simulati, mentre il potere è spartito fra grandi alleanze e una piccola federazione. Il 29 luglio del 2157 è la data, a Parigi, di una riunione segreta di questa federazione: si decide l’avvio di una missione verso un pianeta simile alla terra – Terra due – scoperto proprio all’inizio di quel mese. In una gelida giornata di fine luglio, inizia la ricerca, che dai confini dello spazio s’intreccia con i segreti degli Inca, passando per i nodi del tempo: “Una è la vita / dal futuro / torna il passato / dal passato / torna il futuro”.
Dicono del libro
Dicono di oggi
“È l’anno 2156: da una Parigi sotterranea e da un mondo ghiacciato dalle guerre nucleari, parte un’incredibile corsa spaziale, verso una nuova Terra più vivibile. Contro la Proteo Tien, la scassatissima astronave sineuropea, e il suo ancor più scassato equipaggio, scendono in campo due colossali imperi: l’Impero militare samurai, con una miniastronave su cui un generale giapponese guida sessanta topi ammaestrati e la Calalbakrab, la reggia volante del tiranno amerorusso, il Grande Scorpione. Intanto a terra, per risolvere un mistero legato alla civiltà inca, si affrontano Fang, un vecchio saggio cinese, e Frank Einstein, un bambino di nove anni genio del computer. La chiave del mistero inca del “cuore della terra” è anche la chiave del viaggio nello spazio”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, cit.)
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Oggi
calendari, calendario de la antigüedad, date, imposizione del tempo, ricorrenza, Scorza, tempo
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De las funestas consecuencias que puede traer la creencia de que el 28 de julio llega el 28 de julio.¡ Isaac había convencido a su hermano Julio que el 28 de julio debía celebrarse el 28 de julio! Julio Carbajal dudaba.
– Estamos en diciembre de 2192, Isaac. Huarautambo se prepara para la Navidad. El mismo padre Chasàn arma un nacimiento en la iglesia de Yanahuanca.
Isaac consultò un calendario de la antigüedad.
– Estamos en julio de 1962. Dentro de quince días se celebrará la independencia. ¡Tú festeja en 28 el 28!
Manuel Scorza, Cantar de Agapito Robles (cantar quatro), 1977
Delle funeste conseguenze che può comportare il convincimento che il 28 luglio cada il 28 luglio.
Isaac aveva convinto suo fratello Julio che il 28 luglio doveva essere festeggiato il 28 luglio! Julio Carbajal esitava.
“Siamo nel dicembre 2192, Isaac. Huarautambo si prepara per il Natale. Lo stesso padre Chasán sta organizzando un presepio nella chiesa di Yanahuanca.”
Isaac consultò un calendario dell’antichità.
“Siamo nel luglio 1962. Fra quindici giorni si celebra l’indipendenza. Tu festeggia il 28 il 28!”
Manuel Scorza, Cantare di Agapito Robles, 1977, tr. it. A. Morino, ed. cons. Feltrinelli, 1983, p. 98
Durante la tirannia del giudice Montenegro, nella regione peruviana di Huanuco, anche il tempo è stato modificato. I mesi hanno durata variabile, i giorni vanno avanti e indietro secondo l’arbitrio del tiranno, per cui l’anno della vicenda, il 1962, è diventato il 2192. E il mese di luglio, nel quale ricorre l’indipendenza del Perù – 28 luglio 1821 – è diventato periodo natalizio. Mentre l’indio leggendario Agapito Robles prepara la rivolta, i due fratelli Carbajal – uno dei quali è maestro di scuola – consultano un calendario gregoriano, precedente quello imposto dalla dittatura, e con coraggio decidono di festeggiare l’anniversario dell’indipendenza nel giorno in cui cade, il 28 di luglio. Ci vorranno molte lotte per spodestare il tiranno Montenegro e riportare anche il tempo nei suoi binari, ridando a mesi e giorni i nomi consueti e alle date la loro storia.
Dicono del libro
Dicono del libro
“il Cantare di Agapito Robles mette a fuoco un particolare episodio della lotta condotta dagli indios. L’obiettivo è la conquista dell’immensa proprietà del giudice Montenegro, il tiranno della regione. Guidata da Agapito Robles, un personaggio già comparso nei romanzi precedenti, la lotta si conclude vittoriosamente: gli indios riescono a impadronirsi del baluardo dal quale il giudice Montenegro proiettava la sua ombra terrorizzante sulla contrada”.
(Dalla quarte di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)
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arte contemporanea, tempo, Villa Panza
La straordinaria villa Panza, donata al FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) nel 1996 dai collezionisti d’arte contemporanea Giuseppe e Giovanna Panza di Biumo, ospita una mostra che raccoglie le opere di 23 artisti della collezione, collegate da una profonda relazione col tema del tempo.
Curata da Gabriella Belli con Marta Spanevello, Nel Tempo – questo il titolo che spazializza la dimensione temporale – si articola “in due registri narrativi” il tempo eterno e il tempo della realtà, che introducono i visitatori nelle 5 sezioni dell’esposizione: “il senso (del tempo), la durata (del tempo), i luoghi (del tempo), il rumore (del tempo) e l’esperienza (del tempo)”.
Artisti in mostra: Vincenzo Agnetti, Michael Brewster, Pier Paolo Calzolari, Cioni (Eugenio) Carpi, Lawrence Carroll, Hanne Darboven, Grenville Davey, Walter De Maria, Stephen Dean, Jan Dibbets, Piero Fogliati, Allan Graham, Ron Griffin, Susan Kaiser Vogel, On Kawara, Joseph Kosuth, Gregory Mahoney, William Metcalf, Maurizio Mochetti, Franco Monti, Robert E. Tiemann, Franco Vimercati, Ian Wilson.
Mostra “Nel Tempo”, Villa Panza, Varese, 6-6-2024/6-1-2025
a cura di G. Belli con M. Spanevello.
Notizie e materiali sul sito del FAI, catalogo Magonza editore.
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Dick, paradosso temporale, tempo, Time, Ubik
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At three-thirty A.M. on the night of June 5, 1992, the top telepath in the Sol System fell off the map in the offices of Runciter Associates in New York City. That started videophones ringing. The Runciter organization had lost track of too many of Hollis’ psis during the last two months; this added disappearance wouldn’t do.
“Mr. Runciter? Sorry to bother you.” The technician in charge of the night shift at the map room coughed nervously as that massive, sloppy head of Glen Runciter swam up to fill the vidscreen
Philip K. Dick, Ubik, 1969
Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo
Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245
Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciter, alle tre e mezza del mattino del 5 giugno.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Come fa Glen Runciter, titolare di un’agenzia di anti-telepati a comunicare con sua moglie Ella per avere i suoi consigli dall’aldilà, da un mondo informe e allucinante di semi-vita o non-morte? E perché mai dopo ogni collegamento con Runciter la semi-vita di Ella si va affievolendo sempre più? Che cosa afferra improvvisamente Joe Chip dal suo mondo del 1992 e lo scaglia violentemente nell’America degli anni Trenta? E come è possibile che Joe riceva dei misteriosi e cupi messaggi dal suo capo (Come se fossero ironiche manifestazioni di un Dio biblico), quando questi è stato ormai ucciso da una bomba esplosa sulla Luna? In un’opera unica e irripetibile, che viene considerata unanimamente come il massimo capolavoro del suo autore Philip K. Dick, scrittore tra i più grandi e visionari che la fantascienza abbia mai avuto, ripropone le tematiche che lo resero così famoso: la vita oltre la morte, i poteri psi, e soprattutto la mancanza di un tessuto connettivo vero al di sotto della realtà apparente delle cose, la mancanza di un principio divino che si oppone all’entropia dell’universo”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Fanucci, op. cit.)
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imperi, Lunga durata, momento, monumento, strade, tempo, Time, XU Bing
Tutti e tutte, da piccoli abbiamo praticato, senza conoscerne il nome, la tecnica del frottage (strofinamento), passando pastelli e matite morbide su fogli di carta appoggiati a superfici e oggetti diversi, per vedere emergere forme, macchie e dettagli. Reso famoso negli anni Venti dalle pratiche surrealiste di Max Ernst, il frottage, in inglese rubbing, ha una lunga tradizione in Cina, dove è stato usato come dispositivo di copia e duplicazione, con scopi didattici e documentali, sin dalla dinastia Han. Uno dei più significativi artisti cinesi contemporanei, Xu Bing (1955), ha usato il frottage in modo monumentale, poetico e innovativo in due grandi imprese creative. La prima risale al periodo 1988-1991, quando l’artista applicò la tecnica dello strofinamento a una torre della Grande Muraglia (Ghost Pounding the Wall). Per trasferire la texture della muratura sulla carta, insieme con i suoi collaboratori, Xu Bing ha ricoperto la superficie con un sottile strato di materia plastica, poi con un’ampia stesa di carta Xuan su cui sono stati pressati tamponi di cotone imbevuti di inchiostro. “Fragile e vulnerabile” – scrive Ilaria Puri Purini – il risultato di questo processo, che incorpora il presente e gli strati del passato rendendo “portatili” monumenti inamovibili, ha bisogno di molto lavoro per essere condotto a termine, esposto e conservato.
Dopo più di trent’anni dal frottage realizzato in Cina, la tecnica è stata applicata alla regina delle strade romane, la via Appia. Invitato dall’American Academy di Roma per un periodo di residenza nel 2024, Xu Bing ha replicato lo straordinario procedimento su un tratto della via Appia nei pressi di Marino. Con il team di studenti e studentesse, il selciato della strada è stato esplorato, ripulito, ricoperto di carta e tamponato di inchiostro. Il rotolo di 22 metri che ne è risultato riporta il pattern dei basoli, gli interstizi terrosi, le tracce vegetali.
La mostra all’America Academy accoglie nella prima stanza il lavoro antico fatto sulla torre della Muraglia, riunito sulle pareti con invisibili puntine e nella seconda quello recente sulla via Appia, che cade da una parete al pavimento come una pelle minerale. Il muro (the Wall) e la strada (the Road), sono così messi in dialogo in due ambienti contigui, a mostrare la circolarità di una ricerca decennale che accosta classico e contemporaneo, orientale e occidentale, matrice e ripetizione, comunicazione e archeologia.
All’ingresso delle sale, un video illustra l’esecuzione del lavoro, restituendo anche il suono che i tamponi inchiostrati fanno sul terreno a seconda della pressione e del ritmo di chi li usa. Ogni frottage cattura la forma umbratile dell’oggetto sottostante in maniera diversa, mentre l’oggetto stesso cambia nel flusso del tempo. Ogni frottage, essendo venuto in contatto diretto con gli oggetti originali, conserva per osmosi le informazioni materiche, le tracce temporali e le forme visibili di una cultura, immettendole in una rete comunicativa che trapassa i confini.
Il 29 maggio: conversazione di Xu Bing con Ornella de Nigris (Studi orientali, Università di Siena).
A Moment in Time: Xu Bing in Rome
A cura di Ilaria Puri Purini con Lexi Eberspacher
American Academy in Rome, via Angela Masina, 5
22 Maggio – 27 giugno 2024
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Dick, future, futuro, paradossi del tempo, tempo, Time
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He had reached the end of the house. A washing machine, mop hanging from a rack, package of Dash soap, a stack of magazine and newspapers. Reaching into the stack he dragged out a handful, dropping them, opening them at random. The date on a newspaper made him stop searching: he stood holding it. May 10, 1997. Almost forty years in the future. His eyes took in the headlines.Meaningless jumbo of isolated trivia: a murder, bond issue to raise funds for parking lots, death of famous scientist, revolt in Argentina. And, near the bottom, the headline: Venusian ore deposits object of dispute
Philip K. Dick, Time is out of Joint, 1959
Era arrivato al termine della casa. Una lavatrice, uno spazzolone appeso a un gancio, un fustino di Dash, una pila di riviste e giornali.
Pescando nel mucchio, ne tirò su qualcuna e l’aprì a caso.
La data di un giornale gli fece interrompere la ricerca; restò lì a fissarla.
10 maggio 1997.
Quasi quarant’anni nel futuro. Scorse i titoli. Un miscuglio insignificante di banalità senza relazione tra loro: un assassinio, un’emissione di buoni del tesoro finalizzata alla raccolta di fondi per la costruzione di aree di parcheggio, la morte di un famoso scienziato, una rivolta in Argentina. E, in taglio basso, un altro titolo: Contesi i giacimenti minerari di Venere.
Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, 1959, tr. it. G. Pannofino, Sellerio, Palermo, 1999, pp. 194-95
In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni Cinquanta, le giornate di Ragle Gumm trascorrono in una routine stressante: entro la fine di ogni pomeriggio deve inviare la soluzione di un gioco a premi indetto da un giornale, per rimanere così in cima alla classifica dei solutori. Grazie al suo intuito e a un complesso sistema di calcolo, Ragle riesce a indovinare, con minimi errori, in quale zona di una mappa quadrettata apparirà l’omino verde del gioco. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi fanno dubitare Ragle e la sua famiglia che la normalità della loro vita quotidiana (compreso il concorso a premi) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici. Quando Ragle si imbatte nella copia del giornale datato 10 maggio 1997, comincia ad avvicinarsi a una spiegazione di quello che sta accadendo (sulla terra e non solo) e in cui lui – con il suo talento per la decrittazione – ha un ruolo centrale.
Dicono del libro
Dicono del libro
“In Tempo fuori luogo, pubblicato nel 1959, secondo romanzo scritto da Dick, irrompono con forza alcuni temi che rimarranno in seguito angosciosamente presenti in tutta la sua opera. L’ambiente di una piccola città di provincia statunitense – una delle tante Peyton Place che affollavano la letteratura popolare di quegli anni – è descritto nella sua esasperante routine fino a quando alcuni particolari non cominciano ad apparire al protagonista ‘ fuori luogo’ come se si aprisse una serie di falle nella realtà”
(A. Barbato, dal risvolto di copertina dell’ed. Sellerio, op. cit.)
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