Prima del selfie: gli autoscatti di Karl Baden

Lucrezia Sinigaglia ha chiesto a Karl Baden perché da 28 anni scatta una foto al giorno del suo viso, nel progetto dal titolo Every Day: “ho iniziato Every Day perché volevo semplicemente vedere cosa sarebbe successo…”

Karl Baden, newyorkese, classe ‘51, formatosi dapprima presso la Syracuse University, poi presso l’University of Illinois in cui ha ultimato i suoi studi in campo artistico specializzandosi in fotografia. Attualmente è professore di fotografia presso il Boston College. Dal 23 febbraio 1987, dunque da 28 anni – per il suo progetto Every Day  – si impegna a scattare una foto al giorno del proprio volto.

Baden 02

L’idea gli era balenata in testa già nel 1975, ma dopo aver ricevuto delle critiche da parte di un’amica, l’aveva accantonata. Soltanto dodici anni più tardi, sentendo che quel pensiero era rimasto come un chiodo fisso nella sua mente, decise di mettersi all’opera. A chi gli chieda come mai abbia scelto proprio il 23 febbraio del 1987 come data d’inizio, Baden risponde che la scelta fu condizionata dalla morte di un grande pilastro dell’arte contemporanea, Andy Warhol, avvenuta il giorno prima.
Gli autoscatti sono in bianco e nero e vengono scattati di mattina: Baden non cerca angoli insoliti, né usa filtri o fonti di illuminazione artificiali, utilizza sempre la stessa messa a fuoco e tenta di ottenere immagini il più possibile identiche tra loro. Il suo progetto, afferma l’artista, durerà per tutta la vita e terminerà solo quando non ci sarà più per proseguirlo. Raramente confronta gli scatti del passato con quelli del presente; non lo preoccupano gli effetti che il tempo lascia sul suo volto, piuttosto è interessato alla registrazione visiva di cosa accada, di cosa stia cambiando.
Le singole immagini della serie sono state esposte in diverse occasioni nel corso degli anni in musei e gallerie.
La maggior parte di esse è visibile nel sito dell’artista e raccolta qui  in un brevi time-lapse .

Every Day è un documento visivo “in corso” che coinvolge un autoritratto eseguito all’interno di una serie di linee guida. Baden afferma che l’impulso per questo lavoro si basa sulla curiosità e sull’angoscia legata a quattro fattori che hanno influenzato la sua vita:

– mortalità

– cambiamento incrementale

– ossessione (in relazione alla psiche e al fare arte)

 – differenza tra il tentativo di essere perfetto e l’essere umano                                         Baden2

Per quanto egli cerchi di fare ogni giorno una copia dell’immagine del giorno precedente, c’è sempre una differenza, a volte sottile, a volte molto marcata. Il fallimento, perciò, è una conclusione scontata perchè la vita e il tempo sono due elementi imprescindibili che lasciano inevitabilmnete i segni del loro passaggio. Attraverso questo lavoro Baden tenta di esaminare il ruolo che l’idea della morte svolge nella vita delle persone, come l’età cambi il proprio aspetto, e come sia presente in ognuno di noi il tema dell’ossessione e del fare qualcosa ripetutamente, proprio come fa lui.

Questa operazione artistica rievoca il lavoro del polacco Roman Opalka, Détails Photo,una serie di autoscatti in cui il passare del tempo si manifesta solo attraverso l’incanutirsi dei capelli e il comparire di nuove rughe. Every Day, come già anticipato, è un work in progress, altra caratteristica che ci permette di affiancarlo non solo allo stesso Opalka, ma ad esempio anche a Douglas Huebler, la cui opera principale Variable Pieces #70 (in process)/ Everyone Alive (1971-1997) trovò fine solo con la sua scomparsa. Come Huebler, anche Baden è spinto dalla volontà di commentare la relazione tra la mutevolezza dell’esistenza umana e la registrazione meccanica, le sue fotografie rappresentano l’affermazione dell’essere vivente in un mondo in continua evoluzione, dove il tempo regna sovrano su tutto e su tutti.

Baden 3

Tornando ad Every Daye al tema dell’autoscatto, Baden afferma che non avrebbe mai pensato che un giorno il “selfie” sarebbe diventato un termine familiare e presente nella vita di tutti i giorni ai più di noi. Tuttavia lo definisce un argomento distante dalla sua opera: non sta facendo questo progetto per essere conosciuto come il re dei “selfie”, nemmeno per entrare nel Guinness dei primati e precisa che quando iniziò non esistevano né gli smartphone, né tanto meno internet. Per lui l’arte è l’esplorazione della condizione umana e ciò avviene anche semplicemente attraverso uno scatto quotidiano di se stessi per tutta la vita. Un modo come un altro (pensiamo alle Today series di On Kawara) per fermare e immortalare il Tempo, il tempo che scorre, che muta cose e persone. Sembra quasi un “memento mori”, un ammonimento per ricordarsi che il tempo passa per tutti, che non torna indietro e che nessuno di noi sa con certezza quanto ce ne resta su questa terra.

Lucrezia Sinigaglia

foto e intervista: courtesy Karl Baden (qui link all’intervista in inglese)

100 modi di considerare il Tempo: l’esperienza di Marilyn Arsem

Cento modi di considerare il tempo: l’esperienza di Marilyn Arsem
di Lucrezia Sinigaglia
“If viewers have the time to allow themselves to slow down with me, small details will become visible”, così afferma Marilyn Arsem invitando il pubblico dell’MFA (Museum of Fine Arts) di Boston a prendere parte alle sue performance, in corso fino al febbraio 2016.
Marylin Arsem è un’artista americana, nata nel 1951. Dopo essersi laureata presso l’Università di Boston, ha iniziato a lavorare nel campo dell’arte performativa dal 1975.
Fondatrice del Mobius Artist Group di Boston (1977), un movimento di artisti che fondono assieme più tipologie d’arte all’interno dei loro lavori, ha vinto nel 2015 il “Museum of Fine Arts, Boston’s Maud Morgan Prize 2015”: un premio che viene assegnato ogni due anni a una artista donna del Massachusetts e che consiste in una somma di 10.000$ con la possibilità di un’esposizione o un’esibizione presso l’MFA.
Arsem Sinigaglia 1

Dal 9 novembre 2015 fino al 19 febbraio 2016 è possibile assistere a una serie di sue performances presso la Galleria 261 dell’MFA di Boston. Il lavoro della Arsem prende il nome di 100 Ways to Consider Time ed è un invito a mettere in pausa la vita e vivere il momento presente, fornendo una tregua temporanea al ritmo frenetico della quotidianità moderna. Marylin Arsem e l’MFA offrono al pubblico, per tutto il corso della mostra, la possibilità di partecipare a questo progetto, contribuendo con riflessioni che trattino il tema del tempo nella propria vita per posta, e-mail, o attraverso l’uso dei social network. Le osservazioni delle persone entreranno a far parte della documentazione della performance di Arsem e una selezione sarà pubblicata dall’MFA.
Le sue azioni durano sei ore al giorno per una durata totale di cento giorni. Ogni giorno la Arsem si focalizza su una singola attività che segna il passaggio del tempo; fra le tante proposte dell’artista, elenchiamo come esempi: contare senza interruzioni da uno a 5.800; passeggiare in percorsi circolari fino a raggiungere dieci miglia totali; fissare una sfera di ghiaccio che lentamente si scioglie; frantumare pietre di marmo fino a trasformarle in polvere.
Impegnare sei ore al giorno, tutti i giorni, è dispendioso; la stessa Arsem afferma che lo scorrere del tempo viene percepito in base a quello che sta facendo, al suo stato d’animo, a quello che sta pensando e al tipo di esigenze fisiche di cui risente il suo corpo. Questa operazione artistica rievoca immediatamente alla memoria la grande performance tenutasi al MoMA nel 2010 – dal 14 marzo al 31 maggio – “ The artist is present” di Marina Abramovic, nella quale l’artista, per sei giorni alla settimana, dall’apertura alla chiusura delle porte del museo, seduta immobile all’interno di una grande sala vuota, si è messa a disposizione del pubblico ospitando uno alla volta gli spettatori nella sedia posta di fronte di lei.Arsem Sinigaglia 2
Come possiamo vedere sia la Abramovic che la Arsem puntano ad un tipo di arte dal vivo, spesso partecipativa, ma “effimera”, perchè scompare non appena accade e soltanto la documentazione o un racconto di quello che è successo può testimoniarla.
L’arte invita alla riflessione e il lavoro di Marilyn Arsem, come quello di tanti altri artisti, non solo contemporanei ma anche del passato (basti pensare al famoso dipinto “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” di Gauguin presente proprio presso l’MFA di Bsoton), è di interrogarsi su domande che riguardano la vita e l’esistenza. Tali interrogativi spesso rimangono con noi anche dopo aver visto l’opera d’arte e spesso le risposte che troviamo cambiano a seconda di come cambia la nostra conoscenza del mondo. La Arsem afferma che l’opera d’arte assume tanto più significato quanto più tempo la si passa ad osservare. Come lei stessa afferma nelle risposte a un’intervista del gennaio 2016 “It requires an investment of yourself to ‘receive’ anything in return.  It is a dialogue”. Un “dialogo”, talvolta silenzioso, che offre l’opportunità di prendere in considerazione le proprie preoccupazioni circa il passaggio del tempo.
Lucrezia Sinigaglia

Immagini e risposte: courtesy Marilyn Arsem