23 Agosto

23 agosto 2024

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Il ventitré agosto del 1964 fu l’ultima giornata felice che il farmacista Manno ebbe su questa terra. Secondo il medico legale, la visse fino al tramonto; e del resto, a suffragare la constatazione della scienza, c’erano i pezzi di caccia che dal suo carniere e da quello del dottor Roscio traboccavano: undici conigli, sei pernici, tre lepri. Secondo i competenti, quella era messe di tutta una giornata di caccia, e considerando che la località non era di riserva, e non proprio ricca di selvaggina. Il farmacista e il dottore la caccia amavano farla con fatica, mettendo a prova la virtù dei cani e la propria: perciò andavano d’accordo e sempre uscivano insieme, senza cercare altri compagni. E insieme chiusero quella felice giornata di caccia, a dieci metri di distanza

Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, 1966, ed. cons. Adelphi, 1994, p. 18

Domenica 23 agosto 1964 (mentre nella realtà – a Roma – si preparano i funerali di Togliatti), nella campagna siciliana vengono uccisi due amici, il dottor Roscio e il farmacista Manno. Quest’ultimo, uomo senza nemici, lontano dalle discussioni politiche, pochi giorni prima aveva ricevuto in farmacia una lettera anonima con una minaccia di morte. Il messaggio non lo aveva spaventato più di tanto e il 23 agosto è andato a caccia con l’amico e i cani, che torneranno in paese da soli, verso le nove di sera, “misteriosamente ululando”. Del caso si occuperà – oltre che il maresciallo dei carabinieri – anche il professor Laurana, l’unico ad accorgersi che la lettera anonima – guardata dal rovescio – rivela una parola latina (unicuique, dal motto unicuique suum che compare sulla testata dell’Osservatore romano, e che, tradotto come “a ciascuno il suo”, dà il titolo al romanzo). Un indizio, questo, che porterà Laurana fatalmente vicino alla spiegazione degli omicidi e alla catena di fatti che li ha determinati, diversa da come poteva apparire – collegando la lettera con il farmacista – in quel giorno di agosto.

Dicono del libro

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16 Gennaio

16 gennaio 2013

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Il 16 gennaio, alle sei e trenta, il Marchica uccise, in ogni particolare seguendo il piano preparato dal Pizzuco, Salvatore Colasberna. Ma ci fu un intoppo nell’incontro, a metà della via Cavour, mentre il Marchica fuggiva, col suo concittadino Paolo Nicolosi, il quale nettamente lo riconobbe, e anzi lo chiamò per nome. Ne ebbe inquietudine: e questa sua inquietudine comunicò al Pizzuco quando, subito dopo, venne a raggiungerlo nella casa di campagna. Il Pizzuco si agitò, bestemmiò; poi, calmatosi, disse: “Non ti preoccupare, ci pensiamo noi”. A bordo di un camioncino di sua proprietà, il Pizzuco lo accompagnò fino alla contrada Granci, a poco meno di un chilometro da B.: ma prima gli consegnò, a saldo, altre centocinquantamila lire, che con quelle dell’anticipo facevano le trecentomila pattuite

Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961, ed. cons. Einaudi 1972, p. 73

Il giorno della civetta inizia, in un paese indicato solo con l’iniziale S., con l’omicidio di un uomo alla fermata dell’autobus per Palermo, alle sei e trenta, “nel grigio dell’alba”. Alla stessa ora un altro uomo, che si è imbattuto per caso nel sicario in fuga, scompare e verrà ritrovato morto anch’egli.  Solo verso la metà della narrazione, viene indicata la data del delitto, il 16 gennaio. Nei giorni successivi, si svolgono le indagini, guidate dal capitano Bellodi, originario di Parma. Malgrado reticenze e depistaggi, l’inchiesta arriva a individuare assassini e mandanti degli omicidi, ma protezioni politiche, che dalla Sicilia giungono a Roma, ne “sfasciano”, con falsi alibi, i risultati. 


Dicono del libro
“Ho scritto questo racconto nell’estate del 1960. Allora il Governo non solo di disinteressava del fenomeno della mafia, ma esplicitamente lo negava. (…) La mafia insomma  altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende, ma soltanto sfruttaIl giorno della civetta, in effetti, non è che un ‘per esempio’ di questa definizione. Cioè: l’ho scritto, allora, con questa intenzione. Ma forse è anche un buon racconto”
(Leonardo Sciascia)