18 Dicembre

18 dicembre 2024

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Il 17 del mese di dicembre, Vincent Tuquedenne bevve un caffè, ossia un franco, pranzò per la cifra di cinque franchi e trenta, comprò un astuccio di tabacco da un franco e una scatola di fiammiferi controvento da zero franchi e venti centesimi, prese il métro due volte, ossia un franco, cenò per la cifra di sei franchi e dieci centesimi, e comprò il “Journal”. Quest’ultima spesa ammontava a zero franchi e quindici centesimi.
Il 18 partì per Le Havre perché c’erano le vacanze, e inoltre i suoi genitori traslocavano. A partire dal primo gennaio dovevano trovarsi in Rue de la Convention, da nonna Tuquedenne, a causa della crisi. Il giorno della partenza, andò a vedere un’ultima volta il mare; cercava di fumare una pipa che una pioggia insistente spegneva. In treno, i passeggeri parlavano di Landru

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed, cons. Newton Compton, 2007, pp. 57-58

Vincent Tuquedenne, un giovane “timido, anarco-individualista e ateo”, è arrivato a Parigi da Le Havre nel novembre del 1920, per studiare Lettere alla Sorbona. Trascorre le prime giornate parigine fra la stanzetta in affitto vicino alla stazione e il quartiere latino, in lunghe passeggiate senza meta e in conversazioni con un vecchio compagno di liceo sugli esami e gli ordinamenti, su Bergson e Nietzsche, lo spiritismo, la reincarnazione. Novembre passa così, con spese regolari per i pasti, il giornale, i fiammiferi, il métro, e qualche confronto con compagni di studio, da cui esce scontento di sé, valutandosi vigliacco nella discussione e constatando la propria inesperienza con le ragazze. Passa così anche la metà di dicembre e Tuquedenne si prepara a tornare a Le Havre per le vacanze di Natale, da cui rientrerà a gennaio con l’intera famiglia. Dopo la solita routine di pasti e spostamenti, prende il treno – dove la gente discute di cronaca nera – nella piovosa giornata del 18 dicembre. 

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30 Novembre | the last day of November

30 novembre 2024

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‘Unless one gets one’s nobility from the gods and turns to the middle of the sky for one’s power, one will be murdered at last.’
‘I do get my nobility that way,’ she said.
But she did not quite believe it. And she made up her mind still more definitely, to go away.
She wrote to Mexico City, and engaged a berth from Vera Cruz to Southampton: she would sail on the last day of November.

David Herbert Lawrence, The Plumed Serpent, 1926

“Si finisce sempre per essere assassinati, se non si ottiene la propria nobiltà direttamente dagli Dèi, e dal cuore del cielo il proprio potere.”
“È così che sono nobile, anch’io” diss’ella.
Ma non era convinta. E con maggior decisione tornò al suo pensiero d’andarsene.
Scrisse a Città del Messico per prenotarsi una cabina da Vera Cruz a Southampton: sarebbe partita l’ultimo di novembre

David Herbert Lawrence, Il serpente piumato, 1926, tr. it. E. Vittorini, ed. cons. Mondadori, 1969, p. 554

L’irlandese Kate è arrivata in Messico la domenica dopo Pasqua e nel tempo trascorso nel paese ha conosciuto, non senza inquietudine, tradizioni e possibilità di vita del tutto diverse da quelle europee. Si è sposata con Cipriano, un generale che, insieme con l’amico Ramon, lavora per la rinascita del culto di Quetzalcoatl, il dio-serpente piumato, sullo sfondo dell’instabile situazione politica messicana. Attratta e spaventata dalla forza che emana dal Messico, Kate a volte crede “di essere risalita a un’èra primigenia della coscienza umana, quando gli uomini, pieni di oscure volontà e indifferenti alla morte, avevano la loro forza spirituale nel sangue e nella colonna vertebrale, non nel cervello…”. A volte, è presa dai ricordi della sua vita precedente, come le accade, in un assolato giorno di novembre, pensando all’avvicinarsi del Natale nel paesaggio inglese. Incerta, sempre in bilico sul presente/serpente del tempo, prenota – e sono le ultime pagine del libro, ma non della storia -un biglietto di ritorno per il 30 novembre. 

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10 Ottobre | 10 octobre

10 ottobre 2024

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Le 10 octobre suivant, nous nous embarquions sur l’Impossible. Nous étions huit, on s’en souvient: Arthur Beaver, propriétaire du yacht; Pierre Sogol, le chef de l’expédition; Ivan Lapse, le linguiste; les frères Hans et Karl; Judith Pancake, le peintre de haute montagne; ma femme et moi. Il avait été convenu entre nous que nous ne dirions pas, dans nos entourages, le but exact de notre expédition; car, ou bien on nous aurait jugés insensés, ou, plus probablement, on aurait cru que nous racontions des histoires por dissimuler le vrai but de notre entreprise, sur lequel on aurait fait toutes sortes de suppositions.
Nous avions annoncé que nous allions explorer quelques îles de l’Océanie, les montagnes de Bornéo et les Alpes australiennes. Chacun avait pris des dispositions pou une longue absence d’Europe. 

René Daumal, Le Mont Analogue, 1944

Il 10 ottobre seguente ci imbarcavamo sull’Impossibile. Eravamo in otto, se ve ne ricordate: Arthur Beaver, proprietario dello yacht; Pierre Sogol, capo della spedizione, Ivan Lapse, il linguista; i fratelli Hans e Karl; Judith Pancake, la pittrice d’alta montagna; mia moglie e io. Era inteso che non avremmo reso noto fra gli amici lo scopo esatto della spedizione, perché ci avrebbero presi per pazzi o, cosa più probabile, avrebbero creduto che raccontassimo delle storie per dissimulare il vero scopo della nostra impresa, sul quale si sarebbero fatte ogni sorta di supposizioni. Avevamo dichiarato che andavamo a esplorare alcune isole dell’Oceania, le montagne del Borneo e le Alpi australiane. Ciascuno di noi aveva predisposto le cose in vista di una lunga assenza dall’Europa

René Daumal, Il Monte Analogo, 1944 (1952, postumo), tr. it. C. Rugafiori, Adelphi 1991, p.67

La data centrale di questo racconto incompiuto di René Daumal (il cui titolo è Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche) è quella del 10 ottobre. È il giorno in cui il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome l’Impossibile. La spedizione è diretta verso il Monte Analogo, una montagna – sfuggita finora all’osservazione – la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”, mentre la base è accessibile agli esseri umani. Misteriosamente situato in una zona rinchiusa “in un guscio di spazio curvo”, il Monte Analogo segna l’accesso all’invisibile e alla conoscenza di sé, raccontato attraverso un viaggio via mare, col suo libro di bordo, iniziato un 10 ottobre. 

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17 Settembre

17 settembre 2024

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17 settembre. – Stamani è partito Manuel. Siamo stati ad accompagnarlo fino alla stazione di Rovigliano. Verso il 10 di ottobre egli tornerà a prendermi; e andremo a Siena, da mia madre. Io e Delfina rimarremo a Siena probabilmente fino all’anno nuovo: due o tre mesi. Rivedrò la Loggia del Papa e la Fonte Gaia e il mio bel Duomo bianco e nero, la casa diletta della Beata Vergine Assunta, dove una parte dell’anima mia è ancóra a pregare, accanto alla cappella Chigi

Gabriele d’Annunzio, Il Piacere, 1889

 

Dicono del libro
“Pubblicato nel 1889 è il primo dei tre ‘Romanzi della Rosa’. La rosa allude alla voluttà, tema comune ai tre romanzi. Gli ideali di sensibilità e di raffinatezza e il gusto del tecnicismo formale propri del decadentismo sono qui utilizzati con magistrale abilità dal poeta vate per esprimere una sensualità ostentata nel suo aspetto più morboso”. (dall’edizione elettronica sul sito liberliber).

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15 Settembre | 15 septembre

15 settembre 2024

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Le 15 septembre 1840, vers six heures du matin, la Ville-de-Montereau, près de partir, fumait à gros tourbillons devant le quai Saint-Bernard.
Des gens arrivaient hors d’haleine ; des barriques, des câbles, des corbeilles de linge gênaient la circulation ; les matelots ne répondaient à personne ; on se heurtait ; les colis montaient entre les deux tambours, et le tapage s’absorbait dans le bruissement de la vapeur, qui, s’échappant par des plaques de tôle, enveloppait tout d’une nuée blanchâtre, tandis que la cloche, à l’avant, tintait sans discontinuer.
Enfin le navire partit ; et les deux berges, peuplées de magasins, de chantiers et d’usines, filèrent comme deux larges rubans que l’on déroule.
Un jeune homme de dix-huit ans, à longs cheveux et qui tenait un album sous son bras, restait auprès du gouvernail, immobile. À travers le brouillard, il contemplait des clochers, des édifices dont il ne savait pas les noms ; puis il embrassa, dans un dernier coup d’œil, l’île Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame ; et bientôt, Paris disparaissant, il poussa un grand soupir.

Gustave Flaubert, L’éducation sentimentale, 1869

Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, il Ville-de-Montereau, sul punto di partire, lanciava grosse spire di fumo davanti al quai Saint-Bernard. Arrivava gente trafelata; barili, rotoli di corda, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non davan retta a nessuno; urti, spintoni; i bagagli venivano issati a bordo fra i due tamburi e il baccano si scioglieva nel fischio vago e denso del vapore che sprigionandosi tra fogli di lamiera avvolgeva tutto in una nube biancastra mentre la campana, a prua, non smetteva di rintoccare.
Finalmente la nave partì; e le due rive cominciarono a svolgersi come due larghi nastri trascinando via la loro processione di magazzini, fabbriche, cantieri. Un giovane di diciott’anni, con i capelli lunghi, se ne stava immobile vicino al timone tenendo un album sotto il braccio. Guardava passare, nella nebbia, campanili e palazzi di cui sapeva il nome; a un tratto, con un’ultima occhiata, abbracciò l’Île Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame; poi, mentre Parigi scompariva rapidamente, si lasciò sfuggire un gran sospiro

Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale, 1869, tr. it. G. Raboni, Garzanti 1985, p.3

Ha inizio il 15 settembre del 1840 la storia di Frédéric Moreau, diciottenne di passaggio a Parigi sul battello che lo porta a casa dopo la fine della scuola e una visita a uno zio a Le Havre. È lì, ed è quel giorno, che fa la conoscenza dell’editore e mercante d’arte Jacques Arnoux, e della moglie di questi, Marie, il cui fascino segna per sempre la sua educazione sentimentale. Frédéric incontrerà altre donne, sarà coinvolto in diverse imprese, ma l’apparizione della donna sul battello, con i capelli neri, il profilo diritto, la linea del mento, tutta la figura incisa “nel blu-cielo dello sfondo” di quel 15 settembre, rimangono e ritornano nella sua memoria in tante stagioni successive.

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2 Settembre

2 settembre 2024

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Nella vita di ognuno esistono momenti – quando la porta sbattuta all’improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco “no” che sembrava irrevocabile si muta in “forse” -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. È stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato rinviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di “aspettare un poco” prima di spingerci nel baratro. Così accadde anche a me quella sera, quando accanto a Ejnar facevo la fila aspettando l’autobus che avrebbe portato all’aeroporto Le Bourget i passeggeri in partenza per Stoccolma. Lui partiva, io restavo. Tra la folla, nel buio crocevia parigino (era il 2 settembre 1939), alle nove di sera, non c’erano altri accompagnatori oltre me

Nina Berberova, Il giunco mormorante, 1988, tr. it. D. Sant’Elia, Adelphi 1990, pp.11-12

Parigi, 2 settembre del 1939: la notizia dell’inizio della guerra induce molti stranieri a lasciare la città. Un autobus, pieno di cittadini svedesi, percorre i boulevard in direzione dell’aeroporto Le Bourget. Fra di loro c’è una passeggera in più, una ragazza russa emigrata a Parigi, che non partirà per Stoccolma. Ha accompagnato Ejnar, il suo innamorato svedese, alla fermata dell’autobus ed è riuscita a salire, prolungando così i saluti per il tempo del percorso. Seduti in fondo al pullman, lei e Ejnar vedranno scorrere la città – insieme – per l’ultima volta. La guerra li separa, anche se lei non smetterà di conservare il ricordo di quell’uomo e, finito il conflitto, lo andrà a cercare a Stoccolma. Lo ritroverà sposato e distante, mentre il suo pensiero torna a quella giornata fatale: “Era davvero così necessario precipitarsi via dalla Francia allora, il 2 settembre di quel terribile anno?”.

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13 Luglio

13 luglio 2024

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Venerdì 13 luglio […] Hélas! è un venerdì 13 e, in luogo di genovesi o di qualcos’altro di pari, incontro un costantinopoletano. Era fatale! Questa terribile giornata, accoppiata alla data ancor più terribile, non sarebbe trascorsa per me senza un intoppo in qualché di tremendo: lo prevedevo (ecco, qui sono coniglio). Il pregiudizio si avvera: Taranto mi riserbava l’incontro con questo bisantino, italiano di oriente, al presente soldato nel R. Esercito per una inverosimile concordanza di casi, di sudditanze, di fedi di nascita e tutto un oscuro lavorio di cancellerie consolari

Alberto Savinio, La partenza dell’Argonauta (Hermaphrodito), 1918, Einaudi 1974, p.186

Nel caldissimo mese di luglio, un giovane soldato italiano, nato ad Atene (si tratta di Andrea de Chirico), sta viaggiando da Ferrara a Taranto, con destinazione Salonicco, dove le truppe italiane fanno base durante la prima guerra mondiale. Ha percorso lentamente la penisola – in vagoni di terza classe – e ora si trova nella città dei due mari, che gli appare come una faccia rasata a metà, la Taranto nuova e quella vecchia. Prima di raggiungere la sua destinazione, c’è un tempo d’attesa e di incontri con altri soldati, ufficiali, signore, tipi singolari, nella giornata venata di superstizione mediterranea di venerdì 13 luglio 1917.

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12 Luglio | 12 Juillet

12 luglio 2024

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Elle partit le douze juillet, à sept heures du matin. Je restai à J… la nuit précédente. En y allant, je me promettais de ne pas fermer l’oeil de la nuit. Je ferais une telle provision de caresses, que je n’aurais plus besoin de Marthe pour le reste de mes jours.
Un quart d’heure après m’être couché, je m’endormis. En général, la présence de Marthe troublait mon sommeil. Pour la première fois, à côté d’elle, je dormis aussi bien que si j’eusse été seul. À mon réveil, elle était déjà debout. Elle n’avait pas osé me réveiller. Il ne me restait plus qu’une demi-heure avant le train. J’enrageais d’avoir laissé perdre par le sommeil les dernières heures que nous avions à passer ensemble

Raymond Radiguet, Le diable au corps, 1923

Partì il dodici luglio, alle sette di mattina. Restai a J… la notte precedente. Nell’andarvi, mi promettevo di non chiudere occhio tutta la notte, per fare una tale provvista di carezze, da non avere più bisogno di Marta pel resto dei miei giorni.
Un quarto d’ora dopo essermi coricato, mi addormentai. 
In generale, la presenza di Marta mi turbava il sonno. Per la prima volta, al suo fianco, dormii bene come se fossi stato solo.
Quando mi svegliai la vidi già in piedi. Non aveva osato svegliarmi. Non mi restava che una mezz’ora prima del treno. Mi rodevo di aver sciupato nel sonno le ultime ore che avevamo da passare insieme

Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo, 1923, tr. it. M. Ortiz, ed. cons. Garzanti, 1966, p. 112

Ultimo anno della prima guerra mondiale, in una cittadina francese lungo il corso del fiume Marna, al primo piano di una villetta, la mattina del 12 luglio. Lei è la diciottenne Marthe. Lui è il narratore della storia, un ragazzo di sedici anni. Si sono conosciuti quando lui era uno studente brillante e poco disciplinato e lei era già fidanzata con Jacques, che ora è suo marito, ed è al fronte. Sono diventati amanti, mentre il mondo intorno è preso dalla guerra. Ora lei è incinta e sta per partire. Lui la accompagna a Parigi, fino alla stazione di Montparnasse, dove la attendono i suoceri. Mancano pochi mesi all’armistizio, al parto, al ritorno alla normalità, al termine di una passione da adolescenti. Per questo, anche, la data del 12 luglio resta impressa nella memoria.

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18 Giugno | June 18

18 giugno 2024

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It was the morning June 18, 1956. I came down and said goodbye to Christine and thanked her for everything and walked down the road. She waved from the grassy yard. “It’s going to be lonely around here with everybody gone and no big huge parties on weekends”. She really enjoyed everything that had gone on. There she was standing in the yard barefooted, with little barefooted Prajna, as I walked along the horse meadow. I had an easy trip north, as though Japhy’s best wishes for me to get to my mountain that could be kept forever, were with me. 

Jack Kerouac, The Dharma Bums, 1958

Era la mattina del 18 giugno 1956. Ero sceso a salutare Christine e l’avevo ringraziata di tutto e m’ero incamminato lungo la strada. Lei mi aveva salutato con la mano dal cortile erboso. “Come sarà triste qui adesso che se ne sono andati tutti e non ci saranno più le grandi feste dei weekend.” Lei si era proprio divertita durante quegli eventi. Stava lì a piedi nudi nel cortile, con la piccola Prajna scalza pure lei, mentre io mi allontanavo costeggiando il pascolo dei cavalli.
Il viaggio verso nord procedette senza intoppi, come se mi accompagnassero gli auspici di Japhy perché potessi arrivare alla mia montagna da preservare in eterno

Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958, tr. it. N. Vallorani, in J. Kerouac, I capolavori, Mondadori 2004, p.619

Il giovane Ray Smith, poeta, vagabondo in grado di vivere con niente, alla costante ricerca di un’illuminazione, grande meditatore sull’illusorietà delle cose, ha trovato per l’estate un lavoro come vedetta del Servizio forestale a Desolation Park, nello stato di Washington. Viaggiando sui treni merci, con pochi dollari e poche esigenze, ha attraversato il “nulla dell’America, che è comunque un’America magica”. Ha trascorso le feste di Natale a casa della madre nel North Carolina e da lì, a marzo, è ripartito per un lungo viaggio in autostop che lo porterà in California, dall’amico Japhy, maestro di buddhismo, di scalate in montagna e di sesso rituale. La primavera passa fra il taglio della legna, grandi feste, meditazioni sul tempo senza principio, finché non arriva il momento di partire per raggiungere il Parco, il 18 giugno, alle soglie dell’estate. 

 

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10 Ottobre

10 ottobre 2014

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Il 10 ottobre seguente ci imbarcavamo sull’Impossibile. Eravamo in otto, se ve ne ricordate: Arthur Beaver, proprietario dello yacht; Pierre Sogol, capo della spedizione, Ivan Lapse, il linguista; i fratelli Hans e Karl; Judith Pancake, la pittrice d’alta montagna; mia moglie e io. Era inteso che non avremmo reso noto fra gli amici lo scopo esatto della spedizione, perché ci avrebbero presi per pazzi o, cosa più probabile, avrebbero creduto che raccontassimo delle storie per dissimulare il vero scopo della nostra impresa, sul quale si sarebbero fatte ogni sorta di supposizioni. Avevamo dichiarato che andavamo a esplorare alcune isole dell’Oceania, le montagne del Borneo e le Alpi australiane. Ciascuno di noi aveva predisposto le cose in vista di una lunga assenza dall’Europa

René Daumal, Il Monte Analogo, 1944 (1952, postumo), tr. it. C. Rugafiori, Adelphi 1991, p.67

La data centrale di questo racconto incompiuto di René Daumal (il cui titolo è Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche)  è quella del 10 ottobre. È il giorno in cui il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome l’Impossibile. La spedizione è diretta verso il Monte Analogo, una montagna – sfuggita finora all’osservazione –  la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”, mentre la base è accessibile agli esseri umani. Misteriosamente situato in una zona rinchiusa “in un guscio di spazio curvo”, il Monte Analogo segna l’accesso all’invisibile e alla conoscenza di sé, raccontato attraverso un viaggio via mare, col suo libro di bordo, iniziato un 10 ottobre. 

 

Dicono del libro
“Sotto le parvenze di un romanzo d’avventura, Il Monte Analogo ci offre una «metafisica dell’alpinismo» che è anche un itinerario minuzioso, lentamente maturato nelle esperienze dell’autore, verso un centro, verso una vetta dove ciascuno possa diventare ciò che è. Il Monte Analogo è stato pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1952″
(Dalla scheda del libro nel sito Adelphi)

Leggi Popinga, La scienza nel Monte Analogo

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“… Ah, oggi è proprio il 10 ottobre, la festa della Repubblica. Qui però non è segnato!..”
Lu Hsün, Fuga sulla luna 

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“… Poi fu il dieci ottobre e il tempo pioveva….”
Elio Vittorini, Il garofano rosso

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“… Ti scriverò per spiegarti tutto. 10 del 10 del 10 (due giorni prima della scoperta dell’America)…”
Antonio Tabucchi, Il gatto dello Cheshire