8 Settembre | September 8

8 settembre 2024

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Perhaps Anne has another week before time stops for her. As for myself, three weeks? It’s curious to think that, say, precisely 3:47 P. M. September 8, time will stop forever. A single microsecond will flash past unnoticed for everyone else, but for me will last an eternity. I’d better decide how I want to spend it!

James G. Ballard, Memories of the Space Age, 1982

Forse Anne ha un’altra settimana prima che per lei il tempo si fermi definitivamente. Quanto a me, tre settimane, forse? È strano pensare che, diciamo alle 15:47 precise dell’8 settembre, il tempo si fermerà per sempre. Un unico microsecondo scorrerà senza che nessun altro lo noti, ma per me durerà un’eternità. Farei meglio a decidere come voglio trascorrerlo!

James G. Ballard, Ricordi dell’era spaziale, 1982, tr. it. L. Briasco, in Tutti i racconti, vol. 3 1969-1992, Fanucci, 2007, p. 446

C’è ancora qualche data nel mondo del dottor Mallory, ex medico della Nasa afflitto – come la moglie Anne – da strani attacchi durante i quali il tempo sembra rallentare. Arrivato da Vancouver a Cape Kennedy in cerca di Hinton – un astronauta che ha ucciso il co-pilota – e di una spiegazione del fenomeno, Mallory si accorge che tutto il centro spaziale e l’intera Florida è coinvolta nella deformazione del passaggio del tempo. Il tempo, “come una pellicola in un proiettore difettoso, si muoveva a ritmo irregolare, rallentando a tratti fino a fermarsi”. Nei grandi alberghi vuoti, fra le rovine del centro spaziale, fra pochi esseri viventi – gli animali di uno zoo, molti uccelli, la figlia del pilota ucciso, l’astronauta Hinton che sta cercando di fuggire dal tempo attraverso la competenza nel volo – Mallory si muove in un tempo “ agglutinato”. Fra la fine di agosto e i primi giorni del mese successivo, registra ancora gli effetti di questa esperienza su di sé e sulla moglie, in attesa del momento in cui il presente si sarebbe fermato su un unico istante, forse nella luce vivida del pomeriggio dell’8 settembre.

Dicono del libro

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5 Giugno | June 5

5 giugno 2024

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At three-thirty A.M. on the night of June 5, 1992, the top telepath in the Sol System fell off the map in the offices of Runciter Associates in New York City. That started videophones ringing. The Runciter organization had lost track of too many of Hollis’ psis during the last two months; this added disappearance wouldn’t do.
“Mr. Runciter? Sorry to bother you.” The technician in charge of the night shift at the map room coughed nervously as that massive, sloppy head of Glen Runciter swam up to fill the vidscreen

Philip K. Dick, Ubik, 1969

Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciteralle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

Dicono del libro

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Appuntamenti nel passato

“E non potremmo immaginare, proseguì Austerlitz, di avere appuntamenti anche nel passato, in ciò che è già avvenuto e in gran parte è scomparso, e di dover cercare proprio nel passato luoghi e persone che, quasi al di là del tempo, hanno con noi un rapporto?”
Questa frase viene dalle ultime pagine del romanzo Austerlitz dello scrittore tedesco W. G. Sebald (1944-2001). In cerca delle vicende della sua vita trascorsa, il protagonista professor Austerlitz ne trova via via le tracce dolorose, che “sente di aver sempre ospitato in sé come una sequenza di negativi non ancora sviluppati”. 
Incontrarsi nel passato: un paradosso temporale, un sogno a occhi aperti, uno stato di alterazione del proprio presente, e anche un esercizio dell’immaginazione e del linguaggio. Quello che le parole dello scrittore evocano, si ritrova visualizzato anche in alcune immagini, risultato di ricerche e intuizioni d’artista.

Il disegnatore Saul Steinberg si incontra con sé stesso bambino: l’uomo anziano dà la mano a una sagoma con una foto di lui da piccolo ed Evelyn Hofer fotografa l’incontro delicato nello scatto Saul Steinberg with Himself as a Little Boy (1978, Museum of Fine Arts, Houston).
In questo caso, l’entità da incontrare – sé stesso nell’infanzia – è richiamata dal passato al presente dell’artista adulto. 
Moira Ricci (Orbetello, 1977) compie il viaggio nella direzione inversa: è lei che va nel passato e non per incontrare sé stessa, ma per avvicinare virtualmente la madre scomparsa. 
Nella serie intitolata  20.12.53-10.08.04 l’artista manipola digitalmente una serie di fotografie che ritraggono la madre Loriana, una per ogni suo anno di vita, inserendosi all’interno di ciascuna di loro, come testimone anacronistica, presenza anticipata, viaggiatrice lungo la linea del tempo.
Il lavoro, premiato dal Piano per l’Arte Contemporanea 2021, è stato realizzato fra il 2004 e il 2014. 
Raccolte in un volume d’artista che allude a un album di famiglia (Corraini 2023), le fotografie, come scrive Roberta Valtorta, attivano “un processo di impossessamento di tutta la vita di Loriana, dalla nascita alla morte, come il titolo del lavoro dichiara. E perché questa operazione sia vera fino in fondo, Moira si vestirà, si pettinerà, si truccherà, si atteggerà con attenzione nel modo richiesto dalle mode delle varie epoche della vita della madre”. 
Nel sito del Museo di Fotografia Contemporanea (MuFoCo, Cinisello Balsamo), sezione Digital Exhibitions, è possibile vedere un nucleo di queste potenti inserzioni, in cui l’artista affianca i suoi autoritratti alla madre, la osserva dentro casa, all’aperto, con amici e parenti, da sola, sporgendosi a volte, sempre voltandosi verso la sua figura.

A sinistra: Moira Ricci, Mamma nel giardino di nonna; a dx Ramón Salazar, La enfermedad del domingo, film, 2018, fotogramma

Un altro appuntamento col passato si incontra in un film del 2018 del regista spagnolo Ramón Salazar (Malaga, 1973). La enfermedad del domingo (tradotto in italiano come Eterna domenica) racconta le vicende di una giovane donna, Chiara, che è stata abbandonata dalla madre da piccola. Trovandosi a una svolta della sua vita, convince la madre a trascorrere con lei dieci giorni da sole, non tanto per recuperare un tempo oramai perduto, quanto per scuotersi dallo stato di “memoria immobile” in cui l’abbandono l’ha lasciata, per smettere di vivere in attesa di un ritorno, in un costante pomeriggio domenicale.
Durante la loro aspra convivenza, una sera Chiara proietta delle vecchie fotografie di famiglia: fra queste c’è un montaggio fatto da lei, in cui la madre, giovane e incinta, è affiancata da Chiara ragazza. Colpita da questa immagine che raddoppia la presenza della figlia e condensa tempi e corpi, la madre loda la perizia di Chiara nell’aver dato vita a un tale paradosso temporale (“paradoja temporal”). La figlia si schermisce, dicendo che è solo un esperimento, un semplice lavoro di taglia e incolla.
Dislocare la propria immagine in documenti del passato: un procedimento tecnico, una formula di memoria, un’iconografia che insinua la “prospettiva invisibile” del tempo nei rettangoli delle rappresentazioni. 

(a.s.)