11 Gennaio

11 gennaio 2024

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11 gennaio, 1955. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. Delfina Vezzoli, Einaudi, 1999, p.572,580

Questa frase segna la conclusione del lungo incontro che Nick Shay, uno dei personaggi-chiave di Underworld, ha avuto con padre Paulus, nel college sperimentale dei Gesuiti, in campagna, dove si trova, appena maggiorenne, dopo il riformatorio. Una frase di padre Paulus lo aveva particolarmente colpito quell’11 gennaio: “Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano”.

Dicono del libro

 

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14 Dicembre

14 dicembre 2013

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Questo era avvenuto il 2 dicembre. Una settimana più tardi Bismarck giunse a Varzin e Innstetten previde che fino a Natale, e forse più oltre, egli non avrebbe più avuto una giornata di quiete. Il principe aveva una predilezione per lui ancora fin dai tempi di Versailles, e lo invitava spesso alla sua tavola, sia quando v’erano visite che da solo, perché Innstetten, parimenti notevole per la sua presenza ancora giovanile e l’acuta intelligenza, era anche nelle grazie della principessa.
Il 14  venne il primo invito. Nevicava, ed Innstetten decise di compiere in slitta le due ore di viaggio fino alla stazione, dove lo attendeva poi ancora un’ora di treno fino a Varzin.
“Non aspettarmi, Effi. Prima di mezzanotte non potrò essere di ritorno. E può darsi che si facciano le due o anche più tardi. Ma non verrò a disturbarti. Sta bene. e arrivederci a domattina”. Con queste parole montò sulla slitta e i due cavalli color isabella si diressero al galoppo attraverso la città alla stazione. Era il primo lungo distacco, quasi dodici ore. Povera Effi, come avrebbe passato la sera?

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti 1981, p.57

Effi Briest, una giovane ragazza tedesca spensierata e vivace, si è sposata con il barone von Innstetten, di parecchi anni più grande di lei. Dopo un viaggio di nozze in Italia, si è trasferita col marito nella cittadina settentrionale di Kessin, in un ambiente con poche distrazioni, e in una casa in cui stenta ad ambientarsi. A dicembre, il marito è richiamato fuori casa da impegni di lavoro ed Effi si trova ad affrontare da sola un tempo completamente vuoto, scandito dal ticchettio dell’orologio nella sala e dalla sola compagnia del cane.  La notte del 14 dicembre Effi sperimenta la paura di trovarsi in balia delle sue immaginazioni – fantasmi, presenze, suggestioni – che le impediscono sia di leggere, sia di addormentarsi, provocando, il giorno dopo, i rimproveri del marito e un’inquietudine che segnerà le vicende successive. 

Dicono del libro
Nel centenario della nascita, Thomas Mann rende omaggio a Fontane celebrando il suo capolavoro, Effi Briest: «Non si usa forse dire che nessuna costruzione prodotta dalla mano dell’uomo può essere perfetta? E invece, per quanto si possa essere propensi a esortare gli uomini alla modestia, l’affermazione è sbagliata, la cosa perfetta esiste: sognando, l’uomo che è artista ogni tanto la produce. Sono casi, come si è detto, fortunati e rarissimi; perché accada si rende necessaria un’incredibile benevolenza e grazia delle circostanze, fin le più sottili: ma se tutto torna, ecco che la cosa si forma, e il cristallo risulta puro. Fontane ha potuto godere nella sua vecchiaia la felicità e la malinconia di questa combinazione, che porta alla luce qualcosa di assoluto e di sommo».”

(Dalla scheda del libro nel sito Garzanti)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte tra il 13 e il 14 di dicembre le morte caserme del vicolo Brest-Livoskji si rianimarono…”
Michail Bulgakov, La guardia bianca

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“… Foglia d’oro (ginkgo): caduta da un libro, La verità su Terra, che Aqua mi ha dato prima di ritornare ala sua Casa. 14.XII.69…”
Vladimir Nabokov, Ada

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“… Qualche minuto dopo le 5 del pomeriggio di domenica 14 dicembre la Mercedes di Giocondini prendeva la salita del Pincio…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

11 Gennaio

11 gennaio 2013

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11 gennaio, 1955. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. Delfina Vezzoli, Einaudi, 1999, p.572,580

Questa frase segna la conclusione del lungo incontro che Nick Shay, uno dei personaggi-chiave di Underworld, ha avuto con padre Paulus, nel college sperimentale dei Gesuiti, in campagna, dove si trova, appena maggiorenne, dopo il riformatorio. Una frase di padre Paulus lo aveva particolarmente colpito quell’11 gennaio: “Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano”

Dicono del libro
“Un romanzo che fa esplodere la storia, i miti e la vita quotidiana dell’ America del dopoguerra e ne ricompone i resti.
In una vorticosa alternanza di epoche e figure, Delillo costruisce un puzzle di sequenze narrative dove protagonisti e comparse hanno lo stesso spazio, dove personaggi di finzione convivono con Lenny Bruce e con J. Edgar Hoover, il potente capo dell’Fbi. Seguendo i passaggi di mano di una pallina da baseball, cimelio di una famosa partita tra Giants e Dodgers, si finisce da una costa all’altra, da un’etnia all’altra, in un destino collettivo dominato dalle immagini e dai rifiuti. Scorie nucleari, pattume generico, feticci sentimentali, erotici, artistici.
Un affresco dell’America di ieri, di oggi e di domani come nei migliori film di Altman, ma con in piú la forza di una scrittura che ha fatto definire questo romanzo «il capolavoro della letteratura americana contemporanea.» ”
(quarta di copertina, ed. Einaudi, op. cit.)