L’artista del Lunedì: Camille Henrot
Se dovessimo attribuire un colore a ogni giorno della settimana, quello del lunedì sarebbe probabilmente il blu. Lo cantavano i New Order nel loro singolo Blue Monday (1983) e lo ribadiva qualche anno dopo Robert Smith, voce dei The Cure: “I don’t care if Monday’s blue…” (da Friday I’m in Love, 1992). Certo, lui al venerdì si innamorava, perciò come poteva importargli di iniziare la settimana con il piede sbagliato? Qualora questi brani non bastassero a convincerci, conferma potremmo trovarla nel nome dato alla celebrazione del giorno più triste dell’anno: Blue Monday, appunto, fissata al terzo lunedì di gennaio sulla base di una finta equazione matematica che sfrutta la coincidenza di determinati fattori (il meteo, il salario, la distanza dal prossimo Natale, i propositi per il nuovo anno già abbandonati ecc.). Del resto, specialmente nel mondo anglosassone, il blu è il colore per eccellenza della tristezza, della malinconia, della sofferenza: blues erano i canti degli schiavi afroamericani…
Sebbene declinato in sfumature molto tenui, non è forse un caso che lo stesso colore sia predominante sulle pareti della Fondazione Memmo di Roma, affrescate dall’artista Camille Henrot (Parigi, 1978) in occasione di Monday, la sua personale d’esordio in Italia. L’esposizione, curata da Cloé Perrone e visitabile fino al 6 novembre 2016, riflette sul tempo come costruzione culturale che ci intrappola nella griglia del calendario settimanale: il lunedì, giorno della ripresa lavorativa, porta con sé un bagaglio di speranze, facili entusiasmi ma anche ansie e scadenze incombenti. Alternando affreschi in polvere di marmo e stucco a grandi sculture di bronzo, Henrot affronta il tema dando vita a una varietà di personaggi ibridi che incarnano quello stato di inconsolabile spleen che ci prende non appena realizziamo che una nuova settimana è alle porte. Viene quasi voglia di metterci a piangere come la figurina di A Long Face che si scioglie in lacrime e poi le raccoglie in due bicchieri già mezzi pieni.
“Monday, you can hold your head”, cantava ancora Smith: è lunedì, tutto ciò che puoi fare è startene con la testa tra le mani e aspettare che passi. Henrot sembra fargli eco con A Lie before Breakfast, l’immagine di una donna in poltrona infelice e pensierosa. Che sia una moderna Melencolia di Dürer impreparata ad affrontare gli appuntamenti segnati sull’agenda?
Nel 2013 Henrot presentava alla Biennale di Venezia Grosse Fatigue, opera premiata con il Leone d’argento. La fatica del titolo alludeva allo sforzo, vertiginoso e in fondo vano, di condensare in un video di tredici minuti l’intera storia dell’universo attraverso stratificazioni e salti tra teorie scientifiche e miti della creazione. Se quella sequenza di immagini trattava del tempo millenario dell’evoluzione e inevitabilmente si perdeva – mi si passi il gioco di parole – nella notte dei tempi, Monday mette in luce una percezione più umana del suo trascorrere: umana non solo perché è circoscritta al singolo giorno della settimana, ma anche perché è legata all’influenza che esso può avere sullo stato d’animo e quindi sulle nostre azioni più semplici. In mostra, su una piccola porzione di muro spicca una figura maschile a capo chino, intenta a sostenere con fatica sulle spalle un’enorme sfera blu. Benché non manchino le allusioni al mito di Atlante o a quello di Sisifo, in realtà il titolo A Dog’s Life rimette in gioco la nostra quotidianità riecheggiando alcuni comuni modi di dire: “che vita da cane”, oppure “lavorare come un cane”. La “grande fatica” stavolta è la nostra, a testa bassa davanti alla prospettiva di una settimana dura e piena di impegni.
Monday fa parte di un progetto espositivo più ampio che arriverà a comprendere i restanti giorni della settimana e sarà ultimato per la personale di Camille Henrot al Palais de Tokyo di Parigi in programma nel 2017. Circa l’evolversi delle prossime sei opere, tuttavia, l’artista ha scelto di restare ironicamente evasiva, dichiarando in una recente intervista: “non so dire molto altro. In fondo la settimana è lunga, e siamo appena a lunedì”.
Roberta Aureli