17 Agosto | August 17th
17 agosto 2024 |
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Joan rummaged in her open suitcase and came up with a fistful of clippings.
“Here, have a look.”
The first clipping showed a big, blown-up picture of a girl with black-shadowed eyes and black lips spread in a grin. I couldn’t imagine where such a tarty picture had been taken until I noticed the Bloomingdale earrings and the Bloomingdale necklace glinting out of it with bright, white highlights, like imitation stars.
SCHOLARSHIP GIRL MISSING. MOTHER WORRIED
The article under the picture told how this girl had disappeared from her home on August 17th, wearing a green skirt and a white blouse, and had left a note saying she was taking a long walk.
Sylvia Plath, The Bell Jar, 1963
Joan rovistò nella sua valigia aperta e tornò a galla con una manciata di ritagli di giornali. Il primo mostrava l’ingrandimento fotografico di una ragazza con occhi ombreggiati di nero e labbra nere aperte in un largo sorriso. Non riuscivo a immaginare dove mai fosse stata presa una simile fotografia, poi notai gli orecchini e la collana di Bloomingdale che mandava raggi bianchi e splendenti a imitazione di stelle.
Scomparsa una studentessa universitaria. Angosciata la madre.
L’articolo sotto la fotografia diceva che questa ragazza era sparita di casa il 17 agosto, che indossava una gonna verde e una camicetta bianca, che aveva lasciato un biglietto in cui diceva di andare a fare una lunga passeggiata
Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963, tr. it. D. Menicanti, Mondadori 1979, pp.174-5
Nell’estate afosa del 1953 – iniziata negli Stati Uniti con l’esecuzione dei coniugi Rosenberg, accusati di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica– la giovane Esther è tornata nella casa materna, alla periferia di Boston, dopo un mese passato a New York con una borsa di studio. Non è stata ammessa alla scuola per scrittori e, una volta a casa, non riesce a dormire né a leggere; vede gli anni della sua vita “lungo una strada come pali telegrafici collegati da fili, diciannove pali”, dopo i quali i fili pendono nel vuoto. L’incertezza sul suo talento di scrittrice e la mancanza di sonno – con i giorni “abbaglianti come un lungo viale bianco di infinita desolazione” – la trascinano nella depressione. Dalla campana di vetro in cui si sente rinchiusa, finisce nello studio di uno psichiatra, sul lettino dell’elettroschock, finché non tenta il suicidio – camuffandolo da fuga – in un giorno di quell’estate: la vicenda è riportata dai giornali del 17 agosto, in cui Esther, nella clinica dove è ricoverata, si vede ripresa in una vecchia foto.
L’attrice Daria Nicolodi legge questo brano per una puntata-pilota del programma I Librivori (1995, Videomusic)