I Dicembre

1 dicembre 2024

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Il primo dicembre 1987, dopo aver osservato a lungo le figure intagliate nel legno del portale della cattedrale di Spalato, tra cui Giovanni, triste, che all’ultima Cena reclina il capo sulla spalla di Gesù, e allo stesso tempo cerca conforto anche con una mano – variante sul tema – nella manica del suo maestro, il viaggiatore scese alla passeggiata della spiaggia, illuminata dal sole, dove vide un decrepito lustrascarpe, che disoccupato ormai da lungo tempo, iniziava a pulire le proprie scarpe. A dire il vero ne avevano anche bisogno. E quell’uomo le lustrava scrupolosamente, come avrebbe fatto per chiunque altro – non era capace altrimenti -, con calma, riflessivamente, un lembo di pelle alla volta. E le sue scarpe, tanto amorevolmente passate, alla fine cominciarono a rilucere, per poi splendere all’ombra della palma sotto cui era seduto

Peter Handke, Il lustrascarpe di Spalato, 1990, in Epopea del baleno, tr. it. L. Salerno, Guanda 1993, p.11

Dicono del libro

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15 Settembre | 15 septembre

15 settembre 2024

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Le 15 septembre 1840, vers six heures du matin, la Ville-de-Montereau, près de partir, fumait à gros tourbillons devant le quai Saint-Bernard.
Des gens arrivaient hors d’haleine ; des barriques, des câbles, des corbeilles de linge gênaient la circulation ; les matelots ne répondaient à personne ; on se heurtait ; les colis montaient entre les deux tambours, et le tapage s’absorbait dans le bruissement de la vapeur, qui, s’échappant par des plaques de tôle, enveloppait tout d’une nuée blanchâtre, tandis que la cloche, à l’avant, tintait sans discontinuer.
Enfin le navire partit ; et les deux berges, peuplées de magasins, de chantiers et d’usines, filèrent comme deux larges rubans que l’on déroule.
Un jeune homme de dix-huit ans, à longs cheveux et qui tenait un album sous son bras, restait auprès du gouvernail, immobile. À travers le brouillard, il contemplait des clochers, des édifices dont il ne savait pas les noms ; puis il embrassa, dans un dernier coup d’œil, l’île Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame ; et bientôt, Paris disparaissant, il poussa un grand soupir.

Gustave Flaubert, L’éducation sentimentale, 1869

Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, il Ville-de-Montereau, sul punto di partire, lanciava grosse spire di fumo davanti al quai Saint-Bernard. Arrivava gente trafelata; barili, rotoli di corda, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non davan retta a nessuno; urti, spintoni; i bagagli venivano issati a bordo fra i due tamburi e il baccano si scioglieva nel fischio vago e denso del vapore che sprigionandosi tra fogli di lamiera avvolgeva tutto in una nube biancastra mentre la campana, a prua, non smetteva di rintoccare.
Finalmente la nave partì; e le due rive cominciarono a svolgersi come due larghi nastri trascinando via la loro processione di magazzini, fabbriche, cantieri. Un giovane di diciott’anni, con i capelli lunghi, se ne stava immobile vicino al timone tenendo un album sotto il braccio. Guardava passare, nella nebbia, campanili e palazzi di cui sapeva il nome; a un tratto, con un’ultima occhiata, abbracciò l’Île Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame; poi, mentre Parigi scompariva rapidamente, si lasciò sfuggire un gran sospiro

Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale, 1869, tr. it. G. Raboni, Garzanti 1985, p.3

Ha inizio il 15 settembre del 1840 la storia di Frédéric Moreau, diciottenne di passaggio a Parigi sul battello che lo porta a casa dopo la fine della scuola e una visita a uno zio a Le Havre. È lì, ed è quel giorno, che fa la conoscenza dell’editore e mercante d’arte Jacques Arnoux, e della moglie di questi, Marie, il cui fascino segna per sempre la sua educazione sentimentale. Frédéric incontrerà altre donne, sarà coinvolto in diverse imprese, ma l’apparizione della donna sul battello, con i capelli neri, il profilo diritto, la linea del mento, tutta la figura incisa “nel blu-cielo dello sfondo” di quel 15 settembre, rimangono e ritornano nella sua memoria in tante stagioni successive.

Dicono del libro

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3 Settembre | September 3rd

3 settembre 2024

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The thing that was frightening was the mountain that rose up at the east end, a strange  Burmese like mountain with levels and moody terraces and a strange rice paddy hat on top that I kept staring at with a sinking heart even at first when I was healthy and feeling good (and I would be going mad in this canyon in six weeks on the fullmoon night of September 3rd)

Jack Kerouac, Big Sur, 1962

La cosa spaventosa era la montagna che sorge alla estremità est, una strana montagna come quelle birmane con piani livellati e terrazze imbronciate e sulla cima uno strano cappello da risaia che io seguitavo a fissare sentendomi stringere il cuore anche all’inizio quando godevo di buona salute e stavo bene (e in questo canyon sarei impazzito in sei settimane nella notte del plenilunio del 3 settembre)…

Jack Kerouac, Big Sur, 1962, tr. it. B. Oddera, Mondadori, 1976, p. 20

Emanuele Bevilacqua, autore di Guida alla Beat generation e di Album Beat. La generazione di Kerouac, commenta il 3 settembre richiamato, nel libro Big Sur, dallo scrittore Jack Kerouac e racconta la storia inedita dell’incontro mancato fra lo stesso Kerouac e Henry Miller:

“E in questo canyon sarei impazzito in sei settimane nella notte di plenilunio del 3 settembre”. Jack Kerouac scrive Big Sur, uno dei suoi libri più inquieti, quando è già famoso, On the Road era uscito tre anni prima. E’ il 1960, il Re dei Beat è perseguitato dai fan, dai giornalisti, ma soprattutto dall’alcol, cerca rifugio in quest’angolo di costa della California. Chiede a Lawrence Ferlinghetti, editore e poeta, di prestargli il suo piccolo cottage di Bixby Canyon a Big Sur. 
Kerouac rimarrà turbato da quei luoghi, dove la natura trionfa e ridimensiona il ruolo dell’uomo. Jack arriva a Big Sur di notte, quei canyon a precipizio sul mare, il Pacifico che urla fra le gole e il buio quasi totale lo schiacciano. Resisterà pochi giorni, non le sei settimane programmate. Nella sua fuga proverà l’umiliazione di non essere caricato in auto da quelle famigliole che transitano sulla Highway 101. Lo scrittore famoso per la sua avventura sulla strada, è costretto a percorrere a piedi un lungo tratto di strada, ignorato forse da alcuni dei suoi stessi lettori.

Jack Kerouac scrive Big Sur in omaggio a Henry Miller, considerato un po’ il padre della Beat generation. In quegli anni Miller viveva proprio a Big Sur, lo scrittore di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno aveva scelto quei luoghi impervi per isolarsi e scrivere, lontano dalla leggerezza di Los Angeles. Fra l’altro qui scrive anche Big Sur e le arance di Hieronymous Bosch. È curioso che, nonostante la stima reciproca, i due non si siano mai incontrati e che, anzi, Kerouac sia stato protagonista di un appuntamento mancato clamorosamente a Big Sur. 
Miller lo aveva invitato a trascorrere qualche giorno da lui, ma Jack non si presentò mai.
L’incontro lo aveva organizzato Lawrence Ferlinghetti. Jack è entusiasta dell’idea, finalmente l’allievo potrà conoscere il suo maestro spirituale.
Kerouac parte da San Francisco, esce dalla libreria di Ferlinghetti, la City Lights Books ma non fa che pochi passi, lì accanto c’è (e c’è ancora) il Vesuvio, ritrovo di perditempo e di artisti. Decide di bere qualcosa prima di incamminarsi. Telefona a Miller per avvisare che sta arrivando. Poi beve un altro goccetto, si fa tardi. Jack non riesce proprio a uscire dal locale. Forse sente il peso dell’incontro, forse è solo l’alcol che lo impigrisce. Telefona di nuovo annunciando il ritardo, poi beve ancora e ancora, e ancora telefona, fino a notte tarda, mentre a Big Sur la cena si fredda e anche gli animi. Non lascerà il Vesuvio se non all’alba e il grande incontro non si farà, né allora né mai più. (Emanuele Bevilacqua) 

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5 Agosto

5 agosto 2024

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E, a dir il vero, il sole, la solitudine, le notti passate sotto il roteare delle stelle, il silenzio, lo scarso nutrimento, lo studio di argomenti remoti, tessevano attorno a me come una incantazione che mi predisponeva al prodigio.
Questo avvenne la mattina del cinque Agosto, alle sei. Mi ero svegliato da poco ed ero subito salito in barca, pochi colpi di remo mi avevano allontanato dai ciottoli della spiaggia e mi ero fermato sotto un roccione la cui ombra mi avrebbe protetto dal sole che già saliva, gonfio di bella furia, e mutava in oro e azzurro il candore del mare aurorale. Declamavo, quando sentii un brusco abbassamento dell’orlo della barca, a destra, dietro di me, come se qualcheduno vi si fosse aggrappato per salire. Mi voltai e la vidi

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La Sirena, 1956-57, in I racconti, ed. cons. Feltrinelli, 1993, pp. 117-118

A Torino, nel 1938, un giovane giornalista siciliano conosce il senatore catanese Rosario La Ciura, illustre studioso di greco, autore di scritti da cui trapela un senso “quasi carnale dell’antichità classica”. Nel corso di alcuni incontri, il giovane raccoglie le considerazioni dell’uomo, i suoi ricordi nitidissimi della Sicilia e infine il racconto di un evento prodigioso, che risale all’estate eccezionalmente calda del 1887. L’allora ventiquattrenne Rosario La Ciura, già laureato in lettere antiche, si prepara al concorso per una cattedra universitaria di letteratura greca. Studia come un pazzo, nutrendosi di olive nere e caffè, e per salvarsi dal caldo infernale, si trasferisce nella casa di un amico, ad Augusta, in un paesaggio dove i libri di greco sembrano mettere in comunicazione il presente con il mito. Ed è proprio nel mare di Augusta che il giovane studioso entra in contatto con la creatura che dà il titolo al racconto, la sirena Lighea, la mattina del 5 di agosto.

Dicono del libro

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