Il titolo di questo post riporta l’inizio e la fine di una delle 366 voci di un’opera in forma di diario, in cui l’intero Novecento è condensato in un anno di eventi: la sequenza delle date non segue l’ordine cronologico degli avvenimenti, ma si dipana su un calendario annuale, un giorno dopo l’altro.
Alla data del 2 agosto troviamo scritto:
“2 agosto. Bologna. Attentato alla stazione ferroviaria centrale. Alle dieci e trentacinque esplode una bomba nascosta dentro una valigia nella sala d’aspetto di seconda classe. La miscela di tritolo e T4 distrugge parte dell’edificio e uccide ottantacinque persone, mentre più di duecento vengono ferite. Io sopravvivo”.
L’opera, monumentale e al tempo stesso impalpabile, da cui la frase è tratta, si intitola Ich war’s. Tagebuch 1900-1999 (Sono stata io. Diario 1900-1999) ed è dell’artista Daniela Comani,
Nata a Bologna nel 1965 e diplomata presso l’Accademia di Belle Arti della sua città, Daniela Comani si è trasferita a Berlino nel 1989, l’anno della caduta del Muro. Nella Berlino degli anni Novanta, fra riunificazione e ricostruzione, smottamenti politici ed esperimenti sociali, ha proseguito la sua formazione, dando inizio a un’attività artistica orientata verso i temi degli stereotipi di genere, delle abitudini culturali, della memoria, ed espressa attraverso fotografie, disegni, video, performance, installazioni, assemblage, produzioni editoriali.
Ich war’s. Tagebuch 1900-1999 (Sono stata io. Diario 1900-1999) racconta – come detto sopra – l’intero secolo XX concentrando una selezione di fatti epocali in un anno virtuale di 366 giorni. L’opera ha tre versioni: si può ascoltare come una radiocronaca, in diverse lingue europee, fra cui il tedesco, lingua in cui l’opera è stata in origine concepita; si può leggere sfogliando un libro, diverso per impaginazione da lingua a lingua; si può guardare, stampata su tela e montata su un grande pannello, come un muro di date e parole, di dimensioni variabili a seconda della collocazione. Poiché le date riportano solo il giorno e il mese, l’opera è accompagnata da una cronologia che consente di ricostruire l’anno in cui ciascun evento è accaduto.
Realizzata dunque in diversi formati e lingue a partire dal 2002, presentata nel 2011 alla LIV Biennale di Venezia per il Padiglione di San Marino, esposta nel 2016 alla mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Macro, Roma), è conservata in una versione di 3 metri x 6 nelle collezioni del Mambo di Bologna.
L’immagine che apre questo post è un dettaglio del manifesto scelto nel 2012 per l’anniversario della strage impunita.
Come Daniela Comani ha raccontato, è nel gennaio del 1999 che il progetto di Ich war’s comincia a prendere concretamente forma.
Negli anni precedenti, l’artista ha lavorato alla raccolta di ritagli di giornale, foto, appunti e testi, che le sono servite per diversi progetti, legati al tema del singolo individuo di fronte alla storia. Nel 1999, mentre anche il millennio – nella convenzione occidentale – si avvia alla conclusione, il progetto si incanala nella direzione di raccontare il ‘900 dalla parte di un soggetto immaginario, vittima, responsabile, correo, testimone di tutto quello che il secolo ha prodotto.
Come struttura d’appoggio di questo progetto vertiginoso, l’artista individua il sistema di partizione del tempo basato sulle date (dal latino datum: dato, redatto il): il calendario, un sistema in grado di offrire una griglia alla dispersività e alla compresenza dei fatti accaduti, dotato di una natura insieme pubblica e privata, amministrativa e identitaria. Nominando il calendario, il pensiero corre all’artista tedesca Hanne Darboven, che fin dagli anni Sessanta aveva lavorato sulle strutture del tempo in opere calendariali e, più avanti, aveva stilato elenchi di avvenimenti, allestendo opere al tempo stesso concettuali e dal forte impatto visivo. E in relazione alle date, un richiamo va fatto al giapponese On Kawara con la sua Today series (con On Kawara, nel 1996, Comani ha partecipato alla collettiva Lesen, presso la Kunsthalle di Sankt Gallen in Svizzera); o ancora Roman Opalka, l’artista polacco che ha contato il passare del tempo (una mostra del 2013 a Milano, Accoppiamenti giudiziosi, ha visto dialogare le immagini di Daniela Comani e le opere dell’artista polacco).
Scelta l’ossatura, in questo caso una griglia di 366 caselle, bisognava riempirla tutta, selezionando un fatto ogni giorno, per un totale di 366 accadimenti che rappresentassero, in modo significativo, tutti gli anni del secolo. Il racconto dei fatti non avrebbe però seguito la successione degli anni, ma si sarebbe svolto giorno dopo giorno in un unico anno solare, da gennaio a dicembre. Inoltre, poiché la prima versione dell’opera era pensata per un’installazione audio, una sorta di radiocronaca del XX secolo, letta da uno speaker senza interruzioni, il secolo sarebbe risultato condensato in un’ora di ascolto.
Il grande archivio personale raccolto negli anni da Daniela Comani viene sistematizzato, in modo che nessuna data resti vuota e nessun anno scoperto. Fanno la loro comparsa i classificatori, i pratici Ordner dalla copertina nera, e vengono stilate tabelle di corrispondenze fra date e avvenimenti. Comincia una metodica frequentazione delle biblioteche di Berlino (la Nazionale, l’Amerika-Gedenk-Bibliothek), con consultazione di banche dati, visione di microfilm con annate di giornali e riviste d’epoca. Per tutto il 1999, Daniela Comani attende al suo lavoro quotidiano di ricerca e classificazione di quei fatti che hanno portato all’Olocausto, ai conflitti balcanici, all’unità europea, alla globalizzazione tecnologica. Prende dagli archivi le notizie, che deposita nel suo schedario personale e poi riversa nell’ordine del calendario. In questo passaggio, però, quelle notizie subiscono un cambiamento inusitato. Di qualunque cosa si parli: la proclamazione del fascismo, il primo volo nello spazio, l’attentato alla stazione di Bologna, la notizia, con linguaggio asciutto, sintetico, quasi protocollare, è sempre data in prima persona (nella versione italiana, Sono stata io, il soggetto si rivela femminile, collegandosi ad altri progetti dell’artista, in cui i titoli dei capolavori della letteratura o del cinema cambiano genere).
Nei mesi di lavoro, il libro che l’artista aveva sul tavolo era Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, la scrittrice di Archivi del Nord, capace di trasformare le tracce delle memorie private, familiari e storiche in sottile e potente materia narrativa. E nume tutelare, sempre presente dietro le spalle, era Borges, con i suoi magistrali passaggi dal reale all’immaginario. In quello stesso anno 1999, usciva poi la ricerca di Aleida Assmann sulla memoria culturale, Erinnerungensräume, Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, che rimetteva in gioco i temi della responsabilità e della memoria collettiva.
Scorrendo ancora una volta il calendario di Ich war’s, l’irriverenza nei confronti della cronologia sconcerta e attrae, costringe a un andirivieni nella storia, a uno sforzo di identificazione, a una proficua attività del pensiero. Si cerca di ricordare, senza andare a controllare subito nella cronologia, in che anno, il 10 ottobre, “io” occupo la segreteria dell’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf; e chi sono “io” (nella fattispecie sono Joseph Beuys e l’anno è il 1972). In questa anamnesi, si sovrappongono memorie personali, ci si ricorda dove veramente si era in alcune date cruciali della storia collettiva, il cui impatto ha fissato la nostra posizione nel tempo. Sono stata io, dice Daniela Comani. C’è sempre io, che compie nefandezze, o prende decisioni umanitarie, o soccombe alle avversità della natura, o sopravvive, come in questo passo del 2 agosto.
Il sito dell’artista: danielacomani.net
Ringrazio Daniela Comani per la lunga e generosa collaborazione con diconodioggi
as (@asbrilli)