Il tempo della terra e il tempo delle comunità, il tempo storico e il tempo personale si incontrano fatalmente nelle griglie dei calendari. Lo sanno gli artisti, che hanno regalato innumerevoli varianti creative alla forma calendariale, e lo sanno – da alcuni decenni – i curatori di mostre e cataloghi, che scelgono la successione regolare delle date per alloggiare opere e autori. L’esempio più recente lo troviamo nella rassegna Documenta 14, in corso nella città tedesca di Kassel. La mostra quinquennale, dedicata a ricerche artistiche di taglio politico, sociale, ecologico, partecipativo, e svoltasi quest’anno, oltre che nella sede consueta di Kassel, anche ad Atene, offre – accanto al catalogo, ai booklet e alle mappe – un Daybook. Si tratta di un diario-agenda, in cui i giorni e le date (quelle della durata della mostra e quelle scelte dagli artisti, come vedremo) si presentano come formato organizzativo dei contenuti e come spunto per attraversamenti personali da parte dei lettori.
Al posto dei numeri delle pagine, il Daybook riporta, in alto al centro di ciascuna doppia pagina, le date in cui la rassegna si svolge: dall’8 aprile (stampigliato sulla copertina) al 17 settembre 2017. Le prime pagine (e dunque i primi giorni) ospitano l’indice e l’introduzione; le ultime un’appendice con l’esergo, il colophon, l’elenco degli sponsor e dei collaboratori, i ringraziamenti, lo spazio per le annotazioni. Il nucleo centrale – le doppie pagine che vanno dal 15 aprile al 3 settembre – è dedicato a 143 artisti fra quelli presenti alla rassegna.
Sfogliando il Daybook, la prima azione che viene da fare è cercare l’artista che corrisponde alla data in corso, o a date che abbiano una risonanza per chi legge. E mentre emerge la curiosità di sapere quale criterio abbia determinato l’associazione fra artisti e date, ci si accorge che nella pagina di sinistra è presente un riquadro nero che riporta un’altra data. Dunque, oltre al calendario progressivo che va dall’aprile al settembre 2017, un’altra time-line si dipana sfogliando questo catalogo temporale. Una time-line fatta di date discontinue, che vanno da un futuro indistinto al passato preistorico, attraversando i secoli a ritroso e con salti enormi. Queste date sono state scelte dagli artisti su invito dei curatori: sono giorni e tempi che hanno, per ciascuno dei partecipanti, un significato particolare, sul piano intimo o pubblico, storico o fantastico. Sono queste date, messe in ordine dal futuro al passato, a determinare l’ordine di apparizione degli artisti nella sequenza dell’impaginato.
Un doppio criterio cronologico governa così il Daybook di Documenta 14: la griglia del calendario convenzionale condiviso e i giorni vaganti nella memoria degli artisti interpellati. Insieme, invitano a esplorare la varietà geografica e concettuale delle presenze tenendosi attaccati a un foglio di diario con la familiare sequenza giorno-mese. Un accorgimento che coinvolge chi legge, facendo appello al bagaglio personale di giorni accumulati nella memoria e nell’immaginazione.
Tre riferimenti puntellano l’introduzione al Daybook: il film di Guy Debord del 1959 Sul passaggio di alcune persone attraverso un’unità di tempo piuttosto breve; l’incipit di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry e la poesia Itaca di Kavafis: passaggi di tempo, lunga durata e condizione effimera, viaggi, distanze. E anche, tempo-reale: queste date – si legge sempre nell’introduzione – in sé “non significano niente di speciale, ma ciascuna di loro può diventare significativa, per via di eventi personali e politici che avranno luogo nel corso dello svolgimento di Documenta 14”.
Ma si può sfogliare il Daybook anche leggendo – in sequenza o casualmente – i riquadri neri con le date scelte da ciascun artista e le motivazioni: ne viene fuori uno spaccato vivido della storia di ognuno, che rivela di più di quanto possa fare il testo critico che accompagna la scheda dell’artista, o l’immagine riprodotta. La scelta di un punto nel tempo svela i contesti, le aspettative, gli obiettivi, talvolta la fisionomia profonda di ciascuno.
Il cinese Wang Bing (allocato al 9 giugno) sceglie il 29 gennaio 1987 “un giorno qualunque nella storia, ma un giorno molto importante per me” – scrive nel suo riquadro nero – poiché quel giorno ha visto per la prima volta l’oceano, ha preso in mano una videocamera e le immagini hanno iniziato a riempire la sua vita.
Giorni qualunque che diventano eccezionali, anniversari di eventi storici, tragedie collettive, gioie personali, compleanni, nascite, morti, inizi di rivolte, proclamazioni di indipendenze, censure. C’è chi immagina un futuro senza data, chi un “giorno qualunque”, chi sceglie l’avverbio deittico per eccellenza “oggi” (“this current day matters the most”, afferma il lituano Algirdas Šeškus), chi lascia il riquadro nero e spoglio (il polacco Artur Żmijewski) e chi sprofonda nel neolitico, o nell’inizio (“In the beginning was the Word”, dicono Marie Cool e Fabio Balducci), o nella negazione del tempo calcolabile (la nigeriana Otobong Nkanga).
Una variegata “cronologia discontinua di tipo storico, personale, speculativo emerge da questi contributi”, scrivono i curatori. E questo è un altro modo di visitare la mostra Documenta 14, anche dopo la chiusura, perché l’artificio del calendario permette di ritornare ciclicamente in punti del tempo dispersi nelle linee del passato.
Fra i precedenti dell’uso della griglia calendariale in cataloghi: la mostra di Seth Siegelaub; il catalogo Effemeridi su e intorno Marcel Duchamp (Venezia 1993), il catalogo di Hanne Darboven alla Diaart.org (ora rimosso); l’opera Sono stata io. Diario 1900-1999 di Daniela Comani. Altri riferimenti nella mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Macro, Roma, 2016).
Antonella Sbrilli @asbrilli