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data storica, Pratolini, ricorrenza, Volponi
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Era il 12 dicembre del 1902, l’indomani li avrebbero liberati, da un’ora all’altra, senza preavviso, per evitare che all’uscita del carcere, si organizzassero delle manifestazioni. Diciannove quanti erano, quattro o sei per volta, si abbracciarono e si strinsero le mani.
“Domattina ci si ritrova nei cantieri.”
“Ci sarà lavoro?”
“Ce lo daranno?”
“Speriamo”
Vasco Pratolini, Metello, 1955, ed. cons. Mondadori, 1965, pp. 349-350
Arrestato nell’estate del 1902 per uno sciopero al cantiere edile, durante il quale sono scoppiati dei gravi disordini, il muratore fiorentino Metello Salani ha compiuto trent’anni in carcere. È la seconda volta che va in galera. Fra i due arresti, Metello, che ha un carattere indipendente che non si tira indietro, ha maturato una coscienza politica e una maturità umana. Si è sposato con Ersilia e ha avuto un figlio di nome Libero. La notizia del rilascio arriva il 12 dicembre e quando esce dalle Murate, Ersilia, incinta di sei mesi, lo aspetta fuori, sotto un cielo “pulito e compatto, con tutte le stelle e tre quarti di luna”. In mezzo alle grandi date della storia d’Italia e della città di Firenze, risaltano – nella comunità di Metello – anche le date degli scioperi e delle vittorie salariali ottenute a caro prezzo, le date degli arresti e quelle delle liberazioni, come questo 12 dicembre, quando i lavoratori si salutano dicendosi: “Anche questa è passata”.
Dicono del libro
“Metello rievoca gli anni 1875 e il 1902, quando la classe operaia della giovanissima nazione, alla luce delle nuove dottrine socialiste, si univa al generale fermento di rivendicazioni che già scuotevano la società europea dell’ultimo Ottocento”:
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)
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anniversario, compleanno, data storica, Gian Burrasca, Tolkien, Vamba
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Settembre 20
Ecco fatto. Ho voluto ricopiare qui in questo mio giornalino il foglietto del calendario d’oggi, che segna l’entrata delle truppe italiane in Roma e che è anche il giorno che son nato io, come ci ho scritto sotto, perché gli amici che vengono in casa si ricordino di farmi il regalo
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, 1912 (in volume), ed. cons. Giunti, 1994, p. 5
Il 20 settembre 1870 è il giorno della breccia di Porta Pia. Ventisette anni dopo, nello stesso giorno di settembre, nasce Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca. Per il suo compleanno ha avuto in regalo dalla mamma un giornalino con la “rilegatura di tela verde e tutte le pagine bianche”. Su questo diario, racconterà le sue disavventure, le punizioni, gli slanci verso la libertà.
Per cominciare, non sapendo ancora cosa scrivere, ricopia proprio il foglietto del calendario del 20 settembre, 263° giorno dell’anno, Sant’Eustachio. Entrata delle truppe italiane in Roma. Luna piena.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Ogni giorno Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse. E, certo, combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l’anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei ‘grandi’. Non per nulla Vamba dedicò il Giornalino ‘ai ragazzi d’Italia perché lo facciano leggere ai loro genitori'”
(dalla scheda del libro su Ibs)
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data storica, giornale, tempo privato, Tomasi di Lampedusa
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Aprì il giornale. “Un atto di pirateria flagrante veniva consumato l’11 Maggio mercé lo sbarco di gente armata alla marina di Marsala. Posteriori rapporti hanno chiarito esser la banda disbarcata di circa ottocento, e comandata da Garibaldi. Appena quei filibustieri ebbero preso terra evitarono con ogni cura lo scontro delle truppe reali, dirigendosi per quanto ci viene riferito a Castelvetrano, minacciando i pacifici cittadini e non risparmiando rapine, devastazioni… etc. etc….”
Il nome di Garibaldi lo turbò un poco. Quell’avventuriero tutto capelli e barba era un mazziniano puro. Avrebbe combinato dei guai. “Ma se il Galantuomo lo ha fatto venire quaggiù vuol dire che è sicuro di lui. Lo imbriglieranno.”
Si rassicurò, si pettinò, si fece rimettere le scarpe e la redingote. Cacciò il giornale in un cassetto
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1957 (1958 post.), ed. cons. Feltrinelli, 1993, pp. 54-44
L’11 maggio del 1860, le due navi partite da Quarto, con a bordo i Mille volontari al comando di Garibaldi, sono approdate a Marsala. È l’inizio della fine del Regno delle Due Sicilie. Nella sua villa presso Palermo, il Principe Fabrizio Salina apprende la notizia dello sbarco dal giornale che gli viene portato nel pomeriggio e riflette con lucido disincanto su quello che sta per accadere. Si è appena svegliato dal sonnellino, dopo il pranzo di famiglia, concluso con gelatina al rhum e vino, proprio di Marsala. La vicenda narrata dal Gattopardo inizia nel maggio del 1860, e termina nel maggio del 1910: cinquant’anni durante i quali la Sicilia diventa parte del Regno d’Italia, l’Italia diventa uno stato unitario e tutto si trasforma senza cambiare.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Siamo in Sicilia, all’epoca del tramonto borbonico. È di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso del regime, mentre già incalzano i tempi nuovi. Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, lirico e critico insieme, il romanzo nulla concede all’intreccio e al romanzesco tanto cari a tutta la narrativa europea dell’Ottocento. L’immagine della Sicilia che invece ci offre è una immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)
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data citata, data privata, data ricorrente, data storica, Napoleone, Svevo
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Corsi da un fioraio e scelsi un magnifico mazzo di fiori che indirizzai alla signora Malfenti accompagnato dal mio biglietto da visita sul quale non scrissi altro che la data. Non occorreva altro. Era una data che non avrei dimenticata più e non l’avrebbero dimenticata forse neppure Ada e sua madre: 5 Maggio, anniversario della morte di Napoleone.
Provvidi in fretta a quell’invio. Era importantissimo che giungesse il giorno stesso
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. cons. Giunti, 1994, p. 93
È nel capitolo 5 che Zeno racconta le vicende che, nel 1891, l’hanno portato a sposarsi con Augusta, una delle quattro figlie dell’amico Giovanni Malfenti. Zeno frequenta la casa da cinque mesi, attratto dalla sorella di Augusta, Ada, che però pare non ricambiarlo. Il 5 maggio, la signora Malfenti lo invita a diradare per un po’ le sue visite. Zeno rimarrà lontano da casa Malfenti cinque giorni “cinque giorni memorandi che mi condussero al matrimonio”. Il 5 maggio (quinto mese dell’anno), uscendo, prova un senso di temporanea liberazione dai vincoli complicati del corteggiamento e decide di inviare i fiori col sintetico messaggio: la data del giorno, che deve risuonare come un monito, legata com’è all’anniversario della morte di Napoleone, figura esemplare con la quale il capitolo 5 si era aperto (“M’aspettavo perciò anch’io di divenire e disfarmi come Napoleone e l’onda”).
Dicono del libro
Dicono del libro
“Il I maggio del 1923, a spese dell’autore, esce presso l’editore Cappelli La coscienza di Zeno. Le prime accoglienze della critica sono piuttosto tiepide. Nel gennaio del 1924 Ettore invia una copia del suo romanzo a Joyce che, rispondendogli subito (30 gennaio 1924) ne esalta il valore e lo definisce il miglior libro di Svevo”
(dalla Cronologia a cura di G. Palmieri, ed. Giunti op. cit.)
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