12 Novembre | 12 Novembre

12 novembre 2024

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Lorsqu’il eut derrière lui refermé la porte de sa chambre, il constata qu’il n’y avait là que lui-même. Il essaya de détruire sa solitude en rangeant ses objets de toilette, ses vêtements, ses livres. Il tenta de s’exalter en pensant qu’il logeait rue de Caboul et que cette ville est la capitale de l’Afghanistan, mais sans y réussir. Il entendait tout le temps fonctionner la chasse d’eau. Il installa une petite table sous la lampe, prit un cahier tout neuf et s’assit devant la page blanche qu’il égratigna de son écriture. Vincent Tuquedenne savait que ce jour était un grand jour et qu’il inaugurait une nouvelle période de sa vie. Il lui fallait donc un cahier neuf pour son journal. Il inscrivit tout simplement sur la première feuille Journal depuis le 12 novembre 1920

Raymond Queneau, Les derniers jours, 1936

Quando ebbe richiuso la porta della stanza dietro di sé, si rese conto che lì non c’era altri che lui. Cercò di distruggere la sua solitudine mettendo in ordine gli oggetti da toeletta, i vestiti, i libri. Tentò di entusiasmarsi pensando che abitava in Rue de Caboul e che questa città è la capitale dell’Afghanistan, ma senza riuscirvi. Sentiva lo sciacquone scaricare di continuo. Collocò un tavolino sotto la lampada, prese un quaderno nuovo di zecca e si sedette di fronte alla pagina bianca che graffiò con la sua scrittura. Vincent Tuquedenne sapeva che quel giorno era un gran giorno e che inaugurava una nuova fase della sua vita. Perciò gli serviva per il suo diario un quaderno nuovo. Sul primo foglio annotò, molto semplicemente, Diario del 12 novembre 1920

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed. cons. Newton Compton, 2012, p. 42

A partire da ottobre, un ottobre del 1920 che, per colpa della prima guerra mondiale, non è più come prima (“le granate hanno mandato le stagioni a gambe all’aria”) compaiono via via i protagonisti del romanzo Gli ultimi giorni. Prima il signor Brabbant, poi il vecchio  professore di storia Tolut, che ritroviamo nel salotto di casa Brennuire qualche giorno dopo, l’undici di novembre (“due anni e due giorni dopo che Guillaume Apollinaire è morto”),  insieme al giovane studente Rohel. Il giorno successivo, il dodici novembre, arriva a Parigi da Le Havre un altro studente, Vincent Tuquedenne, per iscriversi al primo anno del corso di Lettere alla Sorbona. Dopo aver trascorso la giornata camminando, torna nella modesta stanza dell’albergo vicino alla stazione Saint-Lazare e si accinge a raccontare quella prima giornata. Una poesia Novembre 1920 e un tentativo di Diario del 12 novembre 1920 sono il risultato del suo primo impatto con Parigi, dove si muovono, insieme a lui e alle stagioni che ciclicamente ritornano, diversi destini. 

La citazione letta da Stefano Bollani (Dimmi Quando, DeeJay TV, 12.11.2014)

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Altre storie che accadono oggi

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“… Il giovedì dodici novembre, il commendatore Visanio e la signora Trigliona celebrarono in gran pompa il battesimo del piccolo Nivasio…”
Alberto Savinio, Infanzia di Nivasio Dolcemare

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“… Quando Fernand de Beaumont si suicidò, il dodici novembre del 1935, Bartlebooth era nel Mediterraneo…”
Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso

5 Novembre | November 5th

5 novembre 2024

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On the fifth day of November, 1718, which to the aera fixed on, was as near nine kalendar months as any husband could in reason have expected,—was I Tristram Shandy, Gentleman, brought forth into this scurvy and disastrous world of ours.—I wish I had been born in the Moon, or in any of the planets, (except Jupiter or Saturn, because I never could bear cold weather) for it could not well have fared worse with me in any of them (though I will not answer for Venus) than it has in this vile, dirty planet of ours,—which, o’ my conscience, with reverence be it spoken, I take to be made up of the shreds and clippings of the rest

Lawrence Sterne, The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman, 1760-67

Il cinque novembre 1718, che rispetto all’epoca fissata era tanto vicino ai nove mesi di calendario quanto qualsiasi marito in senno si sarebbe potuto aspettare, fui io, Tristram Shandy, Gentiluomo, messo in questo scorbutico e disastroso mondo nostro. Vorrei essere nato nella Luna, o in qualsiasi altro pianeta (eccetto Giove o Saturno, siccome non ho mai potuto sopportare il freddo) perché non la sarebbe potuto andare molto peggio per me in uno qualunque di essi (sebbene non mi pronunci su Venere) di quanto è andata in questo vile, lurido pianeta nostro, che, sia detto col dovuto rispetto, credo essere stato fatto cogli sbrendoli e ritagli degli altri

Laurence Sterne, La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, 1760-1767, tr. it. A. Meo, Einaudi 1990, p.12

L’ironica e inafferrabile vita di Tristram Shandy ha inizio col racconto del suo concepimento, avvenuto – pare –  “la notte fra la prima domenica e il primo lunedì di marzo, nell’anno di nostro Signore mille settecento diciotto”. E la nascita  ha luogo – in anticipo sui nove mesi della gravidanza – il 5 novembre. È una data significativa nella storia della Gran Bretagna: il giorno di Guy Fawkes, quando si commemora, con fuochi d’artificio, la fallita congiura delle polveri del 1605. Raccontata nel brevisssimo capitolo quinto, la nascita di Tristram Shandy è occasione per considerazioni sul “disastroso mondo nostro”, in cui i destini degli uomini sono in balìa della fortuna ed è vano seguire una linea diritta, tanto nella vita, quanto nel suo impossibile racconto. Lo scrittore Laurence Sterne era nato il 24 novembre del 1713, quattro anni, undici mesi e 19 giorni prima del suo personaggio.  

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3 Novembre

3 novembre 2024

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E quando abbiamo finito di caricare le casse sul camion, uno di quegli ufficiali viene da me forse perché ero il più vecchio e mi dà la mano da stringere, ma vigliacco se io gliel’ho stretta. È stata una scena, chiedete alla gente di Alba che stava a vedere dalle finestre e non respirava nemmeno più per la paura che succedesse qualcosa da un momento all’altro. E questo è capitato il 3 di novembre ed è stata una cosa speciale perché se non è speciale che un vivo giochi la sua pelle per portare a casa dei morti, allora di speciale non c’è più niente

Beppe Fenoglio, Vecchio Blister, 1952, in I ventitré giorni della città di Alba, Mondadori 1974, p.66

Il racconto del vecchio Blister, un partigiano che si è macchiato di un furto e attende la sentenza dei compagni, rievoca un episodio della storia di Alba. Conquistata il 10 ottobre del 1944 dalle forze partigiane, la città piemontese cade di nuovo in mano all’esercito della Repubblica Sociale “alle ore due pomeridiane del giorno 2 novembre 1944”. E il 3 novembre, il vecchio Blister recupera i cadaveri dei partigiani morti nella battaglia del giorno prima.

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29 Ottobre

29 ottobre 2024

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Comunque, questa era la situazione quando il Duce era venuto a inaugurare Pomezia, il 29 ottobre 1939: il mondo era in guerra. Ma ciò che le sembrerà più strano è che per noi Peruzzi la cosa più grave non fosse questa – ossia la guerra – bensì che quel giorno a Pomezia a inaugurare la nuova città non ci fosse più, insieme al Duce, l’Edmondo Rossoni. S’era stufato anche di lui stavolta. Cacciato

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, 2010, Mondadori, p. 340

Fra il 29 ottobre del 1937, quando viene inaugurata Aprilia – città di nuova fondazione nell’Agro romano –  e  il 29 ottobre del 1939, quando è inaugurata Pomezia, il mondo è cambiato. La Germania di Hitler, sempre più potente, ha bombardato Guernica, ha iniziato la persecuzione degli ebrei e ha invaso la Polonia. Mussolini segue l’alleato tedesco, aderendo alla politica antisemita con le leggi razziali del ’38. Fra i tanti deportati nei campi di concentramento, troverà la morte anche  “il figliastro di Petrucci, uno di quei due architetti di Aprilia e di Pomezia”. Dal punto di vista della famiglia Peruzzi – la cui storia è raccontata nel libro insieme a quella della bonifica  delle paludi pontine – la data segna la caduta della fortuna politica del compaesano, e protettore, Edmondo Rossoni, in un giorno, un 29 ottobre,  che condensa vicende private, anniversari e decisioni storiche. 

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28 Ottobre

28 ottobre 2024

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Accanto alla finestra è appeso un termometro, leggo la temperatura della stanza: diciotto gradi. Piuttosto gradevole: Eppure ho freddo. Vado nell’ambulatorio, prendo un’aspirina. Sarai forse sorpreso di quanto siano precisi i miei ricordi di quel giorno, di quelle ore. Ci ricordiamo con tanta esattezza soltanto degli avvenimenti storici dei quali siamo stati testimoni oculari, oppure delle circostanze in cui è avvenuta la morte di una persona cara, e ne parliamo allo stesso modo, con l’identica assurda pedanteria: era martedì, l’una e mezza del pomeriggio, il ventotto di ottobre

Sándor Márai, Divorzio a Buda, 1935, tr. it. L. Sgarioto, Adelphi, Milano, 2002, p. 170

La vita del giudice Kristóf Kómives, nella città di Budapest, fra le due guerre, segue un ritmo regolare, e i giorni scorrono seguendo il calendario pubblico delle udienze civili e quello privato della famiglia. Alla vigilia di una causa di divorzio che deve presiedere, l’uomo riceve la visita di un suo vecchio compagno di scuola – Imre Greiner – che ora è medico ed è uno dei coniugi il cui matrimonio – con una donna di nome Anna – dovrebbe essere sciolto l’indomani. Entrambi alle soglie dei quarant’anni, il giudice e il dottore non si sono mai frequentati, ma le loro vite sono strette da un nesso imprevedibile e involontario, che verrà svelato nel corso del lungo racconto che Imre  fa al giudice. La memoria gioca un ruolo decisivo, sia per Kristóf che ascolta episodi del passato a cui non aveva più ripensato (se non in sogno), sia per il medico, che rievoca i più minuti dettagli del giorno in cui la realtà ha perso, per lui, il suo senso familiare, pur rimanendo tutte le cose – in apparenza – al loro posto, nello spazio e nel tempo. 

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16 Ottobre

16 ottobre 2024

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Venne il sedici ottobre (ricorderà, fu quando venne distrutta la Biblioteca di Stato, era un venerdì), tutto andava come al solito, io stavo dietro il banco, i clienti mi porgevano le loro tessere, ormai senza sospetto e senza paura. Non si pregava più da quando il rabbino era stato deportato; ma io, talvolta, invece di pronunciare un altro saluto, dicevo scialom. Era il nostro sabato nella macelleria…

Albrecht Goes, La vittima, 1955, tr. it. R. Leiser Fortini, Linea d’ombra 1990, p.54

La moglie del macellaio di una città tedesca, incaricata di servire la clientela ebraica – proprio mentre ha inizio la deportazione verso i campi di sterminio – compie il suo lavoro con umanità e comprensione. Cerca di aiutare e di proteggere – come può – le persone che si presentano al bancone con le tessere per la carne. Finita la guerra, è lei che racconta a un giovane bibliotecario, che ha preso in affitto una stanza nella sua casa, la storia della macelleria trasformata in sinagoga, in rifugio, in crocevia di destini. Il 16 ottobre  – fra bombardamenti, incendi, tentativi di fuga dalla Germania – è un giorno fatale per la donna e per gli altri protagonisti del suo racconto.
Storicamente, il 16 ottobre del 1943 è il giorno del rastrellamento degli ebrei che abitavano nel ghetto di Roma, rievocato da Giacomo Debenedetti nel libro che porta come titolo la data dell’evento: 
16 ottobre 1943.

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12 Ottobre | October 12

12 ottobre 2024

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I have five thousands dollars in government high-denomination bills, he told himself. So I’m not completely helpless. And that thing is gone from my chest, including its feeding tubes. They must have been able to get ai them surgically in the hospital. So at least I’m alive; I can rejoice over that. Has there been a time lapse? he asked himself. Where’s a newspaper?
He found an L. A. Times on a nearby couch, read the date. October 12, 1988. No time lapse. This was the day after his show

Philip K. Dick, Flow My Tears, the Policeman Said, 1976

“Ho cinquemila dollari in banconote del governo di grosso taglio” si disse. “Quindi non sono del tutto inerme. E quella cosa è scomparsa dal mio petto, assieme ai suoi tubi di suzione. All’ospedale devono essere riusciti a rimuoverli chirurgicamente.
Quindi, se non altro, sono vivo; di questo posso rallegrarmi.
C’è stato un salto temporale? Dov’è un giornale?”
Trovò una copia del “Los Angeles Times” su un divano lì vicino, lesse la data: 12 ottobre 1988. Nessun salto temporale. Era il giorno dopo il suo ultimo show

Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto, 1976, tr. it. V. Curtoni, Mondadori, 1998, p. 26

Due “corridoi spaziali” – uno corrispondente alla realtà, l’altro a una “possibilità latente fra le molte”, concretizzata  da una potente droga assunta dalla sorella del generale Buckman – sono accaduti contemporaneamente, confondendo le percezioni, la memoria, le relazioni delle persone coinvolte.  L’11 ottobre il protagonista, il cantante Jason Taverner, è un celebre conduttore televisivo, con uno show seguito da milioni di spettatori. Il giorno dopo, il 12 ottobre si ritrova solo, senza documenti, in un hotel periferico, mentre tutti intorno sembrano non aver mai sentito parlare di lui. Nel corso di quel 12 ottobre entrerà in contatto con il sistema di controllo poliziesco e burocratico della società, con le psicosi e le allucinazioni degli abitanti, mentre la storia (e la lettura) oscillano fra metafore del tempo e della coscienza, ricerca di conferme sull’ora e sulla data. 

 

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3 Ottobre | October 3

3 ottobre 2024

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Edgar fixes today’s date in his mind. October 3, 1951. He registers the date. He stamps the date. He knows this is not completely unexpected. It is their second atomic explosion. But the news is hard, it works into him, makes him think of the spies who passed the secrets, the prospect of warheads being sent to communist forces in Korea. He feels them moving ever closer, catching up, overtaking. It works into him, changes him physically, as he stands there, drawing the skin tighter across his face, sealing his gaze.
Rafferty is standing on the part of the ramp that is downhill from Mr. Hoover.
Yes, Edgar fixes the date. 

Don DeLillo, Underworld, 1997

Edgar fissa la data odierna. 3 ottobre 1951. Registra la data. Se la imprime nella mente. Sa che la cosa non è del tutto inaspettata. È la seconda esplosione atomica dei russi. Ma è una notizia dura da incassare, lo mette in agitazione, lo costringe a pensare alle spie che hanno trasmesso i segreti, alla possibilità di testate nucleari inviate alle forze comuniste in Corea. Se li sente alle spalle, sempre più vicini, che guadagnano terreno, sorpassano. La cosa lo turba, lo cambia fisicamente mentre se ne sta lì impalato, la pelle tesa sulla faccia, lo sguardo fisso.
Rafferty è più in basso sulla rampa rispetto a Hoover.
Sì, Edgar si imprime in testa la data

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. D. Vezzoli, ed. cons. Einaudi, 1999, p. 19

Il 3 ottobre 1951 è la data d’avvio delle vicende – a volte intrecciate e conseguenti, a volte parallele e contigue – del romanzo Underworld. L’Edgar citato nel brano è il capo dell’FBI, il celebre Edgar Hoover: si trova allo stadio, a vedere la partita di baseball fra i Giants e i Dodgers, quando viene a sapere che l’Unione Sovietica ha compiuto un esperimento nucleare. Intanto, un memorabile evento sportivo sta per avere luogo mentre Edgar è preso dalle sue preoccupazioni di stato. La squadra dei Giants vince la partita e la palla della vittoria – con i suoi passaggi di proprietà – sarà d’ora in avanti uno dei fili conduttori della storia. Così come la data – 3 ottobre – le cui cifre sono legate al 13, numero fatale, soprattutto negli Stati Uniti: “I Giants hanno incominciato la corsa al campionato con tredici partite e mezzo meno dei Dodgers. Il mese e il giorno della partita di ieri. Tre del dieci. Somma le cifre e ottieni tredici”.

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2 Ottobre

2 ottobre 2024

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Arrotolai il sacco a pelo, lo ficcai nello zaino, misi lo zaino sulle spalle, camminai fino alla stazione e lì chiesi all’impiegato come dovevo fare per tornare a Tokyo a quell’ora. Guardò l’orario dei treni e disse che se prendevo un treno notturno sarei arrivato a Osaka la mattina e da lì avrei potuto prendere lo Shinkansen per Tokyo. Ringraziai e con i cinquemila yen che mi aveva regalato il pescatore comprai un biglietto per Tokyo. Aspettando il treno comprai un giornale e guardai la data. Era il 2 ottobre 1970. Il mio viaggio era durato giusto un mese. Coraggio, torniamo alla realtà, mi dissi

Murakami Haruki, Norwegian Wood. Tokyo Blues, 1987, tr. it. G. Amitrano, ed. cons. Einaudi, 2006, p. 352

Su un aereo per Amburgo, ascoltando una versione orchestrale di Norwegian Wood dei Beatles, un uomo – un giapponese di trentasette anni – è preso dai ricordi del passato, dalle immagini di una ragazza, Naoko, frequentata una ventina di anni prima. Ha inizio così un percorso nella memoria e nel tempo, che si allunga “come le ombre al tramonto”. La prima immagine che rievoca è quella di un paesaggio autunnale, un prato attraversato dal vento di ottobre, una conversazione con Naoko. Gli anni sono quelli fra il 1968 e il 1970: la vita nel collegio per studenti a Tokyo, le manifestazioni all’università, le letture, i rapporti con i rari amici e le ragazze, i dubbi, le scomparse. Dopo la morte della ragazza, il narratore è partito per un viaggio senza una meta precisa, che si conclude con la decisione di tornare a Tokyo – il 2 di ottobre.

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26 Settembre | the 26th of September

26 settembre 2024

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When everything was quiet we made the parties in the case come round to the mill-stone table, dip their thumb in cart-grease, and press their thumb-mark down upon the document of the agreement. Wainaina did it very reluctantly, whimpering a little when he set his thumb to the paper, as if it was burning him. The agreement ran as follows:
The following agreement has benn made at Ngong to-day, the 26th of September, between Wainaina wa Bemu and Kaninu wa Muture. The Chief Kinanjui is present and sees it all. 

Karen Blixen, Out of Africa, 1937

Quando la calma fu ristabilita, facemmo avvicinare i due litiganti alla tavola di pietra, pigiare i pollici nel bitume e mettere le loro impronte digitali sul contratto. Quando fu il suo turno, Wainaina, riluttante, gemette come se la carta gli scottasse il pollice. Il contratto diceva:
“Il seguente contratto è stato concluso a Ngong, oggi 26 settembre, fra Wainaina e Kaninu wa Muture, alla presenza del Capo Kinanjui che ne ha preso visione

Karen Blixen, La mia Africa, 1937, tr. it. L. Drudi Demby, Garzanti, 1966, pp. 137-138

Come oggi, era un 26 settembre, in Kenya, quando la fattoria di Karen Blixen si trasforma in una corte di giustizia, per discutere di un incidente accaduto tempo prima. Intorno alla mola del mulino, fra i testimoni e la folla, la scrittrice danese (che in Africa possedeva una coltivazione di caffè), è riconosciuta come giudice. Il risarcimento del danno è fissato in una vacca e un vitello; il patto è suggellato dalle impronte digitali delle parti e controfirmato dalla Blixen, che racconta questa giornata nel racconto-diario La mia Africa, ricordando la data precisa di un 26 settembre africano.

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18 Settembre

18 settembre 2024

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Conoscevamo la data precisa, 18 settembre 1867, in cui il bisnonno del dottor Hoffman era arrivato nel mio paese, un esponente della piccola nobiltà dai magri mezzi, sfuggito a imprecisabili rovesci in un montagnoso principato slavo infestato dai lupi, che in seguito era stato soppresso giuridicamente durante la guerra franco-prussiana o qualche altra simile. Sapevamo che, quando era nato il figlio, suo padre gli aveva fatto l’oroscopo e poi aveva offerto alla levatrice che lo aveva aiutato a venire al mondo una ricompensa di alcune migliaia di dollari

Angela Carter, Le infernali macchine del desiderio, 1972, tr. it. L. Perria, Interno Giallo, 1989, p. 27

Le infernali macchine del desiderio del dottor Hoffman, romanzo del 1972, è noto anche come War of dreams (e i sogni son Desiderio, come il protagonista del libro). Riecheggia H.G.Wells ma il romanzo forse più immaginifico di Angela Carter è fantarealtà più che fantascienza. Ci ha messo dentro tutto, come in una vignetta di Jacovitti, di quello che amava e abitava il suo subconscio: femminismo, ambiguità sessuale, rapporto media e società (ed era solo il 1972!), tra ragione e sentimento, tra finzione artistica e realtà. Nel recensirlo, il “Fancy Fantasy” scrisse “ci si dimentica subito che il terreno che la Carter scruta con tanta cura è l’interno della sua stessa immaginazione, perché il mondo che descrive diventa reale come un resoconto naturalista”: e infatti nessuno come Angela Carter riesce a descrivere con precisione botanica la frutta e la verdura esposte nel banco di un mercato e allo stesso tempo collocare quel mercato in un mondo tanto lisergico da sembrare inventato da un altro Hofman(n) – Albert, il padre dell’LSD.
La storia sarebbe quella di un Dottor Faust le cui diaboliche macchine del titolo liberano il potere dell’immaginazione e la cui figlia (Albertina…vien da pensare che la Carter avesse davvero in mente lo scienziato svizzero) seduce Desiderio, l’io narrante, segretario del Ministro della Determinazione di un non identificato paese che sfugge ad Hoffman e sopravvive ai suoi inganni perché “riesce a non arrendersi al flusso dei miraggi”. Di fatto il romanzo è un affresco fiammingo, pieno zeppo di trame e figurine (e qualche data da ricordare), apparentemente normali e un po’ naif, ma che viste da vicino rivelano ghigni goffi e pose assurde. È la realtà, bellezza. And there’s nothing you can do about it. Nothing! (Commento di Silvia Veroli)

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13 Settembre

13 settembre 2024

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Paul si massaggiò le tempie alzando gli occhi dai fogli che aveva riempito di calcoli per dimostrare la sua tesi. Era l’alba: mezzanotte era passata e lui era vivo. Chiuse il testo di Kummer, piegò i fogli, ripose la pistola, strappò il testamento e dimenticò la fanciulla. Gli avvenimenti avevano trovato la soluzione: la resurrezione grazie alla dimostrazione. Aveva un debito con Fermat e il suo ultimo teorema, e decise d’istituire un premio per compensare chi fosse riuscito a risolvere quel problema che gli aveva salvato la vita. La data che Paul Wolfskehl aveva scelto per suicidarsi era il 13 settembre

Denis Guedj, Il Teorema del Pappagallo, 1998, tr. it. L. Perria, Longanesi, 2000, pp. 459, 461

Un uomo, che ha deciso di suicidarsi a causa di un amore infelice, mette in ordine le carte sullo scrittoio e si trova ad aprire un libro, che parla di un difficile problema matematico, noto come l’ultimo teorema di Fermat. Mentre legge, gli sembra di trovare un errore nel testo che sta leggendo e si mette alacremente al lavoro per verificarlo. L’errore non c’è, ma intanto il tempo è trascorso, l’idea del suicidio si è allontanata ed è passata la mezzanotte della data che aveva scelto per compierlo, il 13 settembre, 13-9, 256° giorno dell’anno.

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11 Settembre | September 11

11 settembre 2024

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I’d walk around looking for him. I put up a few signs when I realized what had happened: “To the man who bought the vase at the estate sale on Seventy-fifth Street this weekend, please contact…”. But this was the week after September 11. There were posters everywhere.”
“My mom put posters of him”.
“What do you mean?”
“He died in September 11. That’s how he died.”

Jonathan Safran Foer, Extremely Loud and Incredibly Close: A Novel, 2005

“Camminavo sperando di incontrarlo. Ho persino attaccato dei volantini ‘All’uomo che ha comprato il tale vaso nella vendita della Settantacinquesima del tale weekend, si prega contattare…’ Ma era la settimana dopo l’11 settembre. C’erano manifesti dappertutto.”
“La mia mamma aveva attaccato la sua foto.”
“Non capisco.”
“Lui è morto l’11 settembre. È così che è morto”

Jonathan Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino, 2005, tr. it. M. Bocchiola, Guanda, p. 323

Oskar ha nove anni, una domanda buona per ogni argomento, moltissime convinzioni e un padre morto nel crollo delle Torri Gemelle. Un giorno, per caso, trova una busta con una chiave e il nome “Black”: inizia una ricerca nei cinque distretti di New York, un viaggio di crescita attraverso paure e sensi di colpa e la scoperta di una storia familiare già toccata dal dolore. Ritroverà il proprietario della chiave, il rapporto con la madre e scoprirà la figura, molto poetica, del nonno.
Il tempo si snoda su diversi registri e epoche: per Oskar è una gara di velocità contro un ricordo che può svanire, per il nonno è il momento della confessione, del racconto e della riconciliazione. Il riferimento a una data storica così riconoscibile proprio per la natura dell’evento, è quasi mai esplicita, nonostante la giornata sia spesso ripercorsa nelle ore, nei minuti e nei secondi che hanno cambiato la vita di molti.
Jonathan Safran Foer non scrive un libro sull’attacco al World Trade Center, quanto piuttosto, in soggettiva dagli occhi del bambino, un romanzo intenso sul rimpianto, sul tempo perduto e sul coraggio della memoria. (Commento di Daniela Collu)

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2 Settembre

2 settembre 2024

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Nella vita di ognuno esistono momenti – quando la porta sbattuta all’improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco “no” che sembrava irrevocabile si muta in “forse” -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. È stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato rinviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di “aspettare un poco” prima di spingerci nel baratro. Così accadde anche a me quella sera, quando accanto a Ejnar facevo la fila aspettando l’autobus che avrebbe portato all’aeroporto Le Bourget i passeggeri in partenza per Stoccolma. Lui partiva, io restavo. Tra la folla, nel buio crocevia parigino (era il 2 settembre 1939), alle nove di sera, non c’erano altri accompagnatori oltre me

Nina Berberova, Il giunco mormorante, 1988, tr. it. D. Sant’Elia, Adelphi 1990, pp.11-12

Parigi, 2 settembre del 1939: la notizia dell’inizio della guerra induce molti stranieri a lasciare la città. Un autobus, pieno di cittadini svedesi, percorre i boulevard in direzione dell’aeroporto Le Bourget. Fra di loro c’è una passeggera in più, una ragazza russa emigrata a Parigi, che non partirà per Stoccolma. Ha accompagnato Ejnar, il suo innamorato svedese, alla fermata dell’autobus ed è riuscita a salire, prolungando così i saluti per il tempo del percorso. Seduti in fondo al pullman, lei e Ejnar vedranno scorrere la città – insieme – per l’ultima volta. La guerra li separa, anche se lei non smetterà di conservare il ricordo di quell’uomo e, finito il conflitto, lo andrà a cercare a Stoccolma. Lo ritroverà sposato e distante, mentre il suo pensiero torna a quella giornata fatale: “Era davvero così necessario precipitarsi via dalla Francia allora, il 2 settembre di quel terribile anno?”.

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27 Agosto | 27. August

27 agosto 2024

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Es war am 27. August 1926, um vier Uhr nachmittags, die Läden waren voll, in den Warenhäusern drängten sich die Frauen, in den Modesalons drehten sich die Mannequins, in den Konditoreien plauderten die Nichtstuer, in den Fabriken sausten die Räder, an den Ufern der Seine lausten sich die Bettler, im Bois de Boulogne küßten sich die Liebespaare, in den Gärten fuhren die Kinder Karussell. Es war um diese Stunde, da stand mein Freund Tunda, zweiunddreißig Jahre alt, gesund und frisch, ein junger starker Mann von allerhand Talenten, auf dem Platz vor der Madeleine, inmitten der Hauptstadt der Welt und wußte nicht, was er machen sollte. Er hatte keinen Beruf, keine Liebe, keine Lust, keine Hoffnung, keinen Ehrgeiz und nicht einmal Egoismus.
So überflüssig wie er war niemand in der Welt.

Joseph Roth, Die Flucht ohne Ende, 1927

Era il 27 agosto 1926, alle quattro del pomeriggio, i negozi erano affollati, nei magazzini le donne facevano ressa, nelle case di moda le mannequins giravano su se stesse, nelle pasticcerie chiacchieravano gli sfaccendati, nelle fabbriche sibilavano gli ingranaggi, lungo le rive della Senna si spidocchiavano i mendicanti, nel Bois de Boulogne le coppie d’innamorati si baciavano, nei giardini i bambini andavano in giostra. A quell’ora il mio amico Franz Tunda, trentadue anni, sano e vivace, un uomo giovane, forte, dai molti talenti, era nella piazza davanti alla Madeleine, nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo. Superfluo come lui al mondo non c’era nessuno

Joseph Roth, Fuga senza fine, 1927, tr. it. M. G. Paci Manucci, ed. cons. Adelphi 2010, p. 151

Il 27 agosto del 1926 si chiude il racconto di dieci anni di vita del tenente austriaco Franz Tunda. Le vicende narrate hanno inizio nell’agosto del 1916, quando Tunda è fatto prigioniero dai russi, riesce a fuggire dal campo con l’aiuto di un polacco, vive dimenticato nella taiga, cerca di tornare a Vienna, è catturato, liberato, coinvolto nella rivoluzione bolscevica. Senza dimenticare la sua fidanzata viennese, conosce diverse donne, si sposa anche, nella città di Baku. Ma ogni sosta – com’è stato detto – “è solo un momento di sospensione nel turbine di una fuga senza fine”, che si ferma a Parigi, dove – “gli pareva, era il suo posto e la sua fine” e dove il narratore della sua storia lo incontra il 27 agosto.

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21 Agosto

21 agosto 2024

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Presa in consegna dal “braccio secolare”, Antonia fu trasferita, il 21 agosto, nella Torre dei Paratici che era l’antica torre del Broletto, cioè del palazzo del Comune di Novara prima che questo si riducesse ad essere com’è ora: soffocato dagli edifici che gli sono cresciuti addosso nel corso dei secoli, e senza torre. All’epoca della nostra storia, invece, il Broletto era un palazzo indipendente, attorno a cui correvano le strade; e la Torre dei Paratici, che s’alzava a sud, nella sua parte superiore era una prigione… aerea, di due stanze sovrapposte e raggiungibili per mezzo di una scala esterna, piuttosto ardimentosa. Speciali immagini devote, in quelle due stanze, avevano il compito di redimere i detenuti. Al piano superiore, destinato alle donne, era dipinto un Cristo morto in braccio alla Madonna, mentre al piano di sotto, dov’erano tenuti prigionieri gli uomini, c’era il patrono dei carcerati, San Leonardo: entrambi gli affreschi, però, erano ricoperti di nomi, date, graffiti osceni, ed entrambi si vedevano poco, perché non c’erano finestre in quelle due stanze, soltanto feritoie che d’inverno venivano chiuse con la paglia, e allora buonanotte! Si restava al buio. D’estate poi le feritoie si riaprivano, e ci si tornava a vedere: ma chi entrava ai Paratici, qualunque fosse la stagione in cui ci arrivava, doveva attendere un po’ di tempo prima che i suoi occhi s’adattassero alla penombra; e così anche successe a Antonia

Sebastiano Vassalli, La chimera, 1990, Einaudi 1990, p.282

In un agosto senza pioggia, col sole che “riaffiorava all’alba da un mare di vapore” , trascorrono gli ultimi giorni di vita di Antonia, una ragazza di vent’anni vissuta al principio del Seicento in un piccolo centro agricolo della “bassa”, di cui non resta traccia. Trovatella lasciata alla Casa di Carità di San Michele fuori le Mura a Novara, adottata da una coppia di contadini del paese di Zardino, Antonia si è rivelata troppo bella e intelligente per non suscitare invidie, maldicenze e infine l’accusa di stregoneria, in quell’estate di siccità e paura. Processata, torturata e dichiarata colpevole, il 21 agosto è condotta in prigione dove, in attesa dell’esecuzione, perde il conto dei giorni e delle notti e si rifugia nei sogni, dove nessuno la chiama strega e dove il tempo non si è ancora richiuso.

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20 Agosto

20 agosto 2024

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Il dì 20 di agosto del 1849 all’una e mezza del pomeriggio l’Austria doveva essere distrutta: così era stato deciso nel “Circolo della pistola”. Non so più neanche di che cosa si fosse resa colpevole l’Austria allora, ma posso affermare senza il minimo dubbio che la decisione era stata presa dopo matura riflessione. Non c’era ormai niente da fare, la cosa era stata deliberata e giurata e l’esecuzione era stata affidata alle mani esperte di Jan Zizka da Trocnov, di Prokop Holy di Prokupek e di Mikulas da Husi, ossia a me, a Peppino Rumpal, il figlio del salumaio, a Cecchino Mastny, il figlio del calzolaio, e a Tonino Hochmann, quello che veniva dai dintorni di Rakonikov e studiava a spese del fratello, contadino benestante. […] Racconto con perfetta sincerità: mi sentivo proprio male. Veramente un certo malessere mi serpeggiava in corpo già da parecchi giorni e cresceva in proporzione di quanto si avvicinava il 20 di agosto

Jan Neruda, Come fu che il dì 20 di agosto 1849, all’una e mezza del pomeriggio, l’Austria non fu distrutta, 1878, tr. it. J. Vesela Torraca, in I racconti di Mala Strana, Marietti, 1982, pp.105, 112

Quattro ragazzini di Praga, amici che trascorrono insieme le giornate di un anno di metà Ottocento, decidono di organizzare – per il 20 di agosto – l’insurrezione della città e la distruzione dell’Austria. Con nomi di battaglia presi dai condottieri hussiti del Quattrocento, predispongono un piano d’attacco, a cui manca solo la polvere da sparo, che deve arrivare da fuori, portata da un venditore ambulante. Quando sorge la mattina “del memorabile giorno”, il narratore – angosciato di fronte a un gioco troppo serio – si ritrova a desiderare che “non albeggiasse, che la luce non venisse e che la natura lo saltasse addirittura, quel solo, quell’unico giorno!”. La polvere da sparo non arriverà e il 20 agosto passerà in effetti senza avvenimenti memorabili, se non l’attesa e l’agitazione dei ragazzi nella giornata estiva.

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8 Agosto | the 8th of August

8 agosto 2024

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And now to the actual mechanics of the crime of Indian Island. To acquire the island, using the man Morris to cover my tracks, was easy enough. He was an expert in that sort of thing. Tabulating the information I had collected about my prospective victims, I was able to concoct a suitable bait for each. None of my plans miscarried. All my guests arrived at Indian Island on the 8th of August. The party included myself. 

Agatha Christie, And then there were none, 1939

E veniamo ora al meccanismo dei delitti di Nigger Island. Acquistare l’isola, usando come intermediario Morris per coprire le mie tracce, fu facile. L’uomo era un esperto in queste cose. Esaminando tutte le informazioni che avevo raccolto sulle vittime designate, mi riuscì di offrire a ciascuna l’esca più adatta. Neppure uno dei miei piani fallì. Tutti gli ospiti arrivarono a Nigger Island l’8 agosto. La piccola compagnia comprendeva me stesso

Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, 1939, tr. it. B. Della Frattina, Mondadori 1994, p.204

L’otto di agosto (8-8) è la data di arrivo degli ospiti del signor Owen nella sua residenza di Nigger Island, isolotto che diventa irraggiungibile dalla costa del Devon in caso di tempesta. Gli invitati non si conoscono fra di loro, ma quella sera stessa – nella casa dove dieci statuine di porcellana poggiano sul tavolo e alla parete delle stanze è incorniciata la filastrocca “e poi non ne rimase nessuno” – avranno modo di apprendere da una registrazione di essere stati chiamati lì per qualche ambiguo crimine commesso in passato. Mentre il mare tempestoso di agosto interrompe i collegamenti con la terraferma, si mette in moto il sadico meccanismo dei delitti punitivi, che verrà spiegato per intero solo da un manoscritto in bottiglia, rinvenuto in mare da un peschereccio.

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4 Agosto | 4th of August

4 agosto 2024

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And no doubt the effect of the date was too much for her superstitious personality. She had been born on the 4th of August; she had started to go round the world on the 4th of August; she had become a low fellow’s mistress on the 4th of August. On the same day of the year she had married me; on that 4th she had lost Edward’s love, and Bagshawe had appeared like a sinister omen—like a grin on the face of Fate. It was the last straw. She ran upstairs, arranged herself decoratively upon her bed—she was a sweetly pretty woman with smooth pink and white cheeks, long hair, the eyelashes falling like a tiny curtain on her cheeks. She drank the little phial of prussic acid and there she lay.

Ford Madox Ford, The Good Soldier, 1915

Senza dubbio, inoltre,  la coincidenza delle date era significativa per la sua mentalità superstiziosa. Era nata il 4 agosto; il 4 agosto aveva iniziato il giro del mondo; il 4 agosto era diventata l’amante di un individuo volgare. Nello stesso giorno mi aveva sposato; sempre il 4 aveva perduto l’amore di Edward, e Bagshawe era apparso come un sinistro presagio, un sogghigno nel volto del destino. Fu l’ultimo colpo. Corse di sopra, si sistemò decorativamente nel  suo letto, bevve la fialetta di acido prussico, e giacque morta.

Ford Madox Ford, Il buon soldato, 1915, tr. it. Guido Fink (Feltrinelli 1960), Garzanti, Milano 1975, p. 115

Chi scrive queste righe è Ford Madox Ford nel romanzo Il buon soldato, ma a narrarle non è lui bensì il signor Dowell. Chi ne è l’oggetto, invece, è sua moglie, Florence Dowell che vede nella numerologia simmetrica della data il volto – più terrifico della mano – del destino.  La vicenda sembra snodarsi linearmente, c’è il signor Dowell che ricorda e ricordando ritorna al suo matrimonio con Florence, alla loro fuga da un’America piena di merletti puritani verso il vecchio continente, allora molto più eccitante della terra delle opportunità.  Il motivo del viaggio è simile a quello della montagna incantata, anche se là dove erano i polmoni qui è un problema di cuore a fare da motore alla trama.  Anche gli sfondi narrativi sono gli stessi: ristoranti con polarizzate differenze di classe, luoghi di villeggiatura per l’alta borghesia che può finalmente permettersi la noia e, in ultimo, lunghi soggiorni termali. Ed è proprio durante uno di questi che la coppia dei Dowells conosce quella degli Ashburnhams, Edward e Leonora. Intorno a questi quattro personaggi si annodano i ricordi del narratore: Ashburnhan, il buon soldato, sta al centro, le due donne Leonora e Florence gli sono araldicamente accanto e Dowell, inetto ed incapace di imporsi, rimane invece in disparte, a quanto pare, solo per narrare la storia. Ma è appunto il modo in cui è narrata che colpisce: sembra lineare e lo è. Ma lo è solo a posteriori, solo dopo che il lettore ha sedimentato la trama, come dopo essersi ripassati un sogno, è pronto a raccontarla. Per farlo deve essere ordinata, e il bello è che quest’ordine non esiste nel libro, pieno invece di queste date che, come simboli o pietre miliari, sono capaci di atterrire, non meno del volto del destino.(Valentino Eletti)

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30 Luglio | 30 juillet

30 luglio 2024

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La jeune fille écrit sur la carte postale.
Sur la carte postale, du côté de l’écriture, il y a maintenant le nom de la jeune fille, la date, 30 juillet 1980, et la date et l’heure à laquelle il devra venir dans dix ans, le 30 juillet 1990, minuit.
Du côté de l’image il y a l’endroit de la plage de la veille, au croisement du chemin des tennis, de la promenade et de la rue de Londre, si belle, elle dit, la plus belle de toutes, sa préférée, belle comme  un tunnel de lumière de soleil devant la mer

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992

La ragazza scrive la cartolina. Sulla cartolina, dalla parte della corrispondenza ora c’è il nome della ragazza, la data, 30 luglio 1980 e la data e l’ora in cui lui dovrà tornare tra dieci anni, il 30 luglio 1990, a mezzanotte. Dalla parte dell’illustrazione c’è il punto della spiaggia del giorno prima, all’incrocio tra il sentiero per i campi da tennis, la passeggiata e la rue de Londres, così bella dice lei, la più bella di tutte, la sua preferita, bella come un tunnel di luce del sole davanti al mare

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992, tr. it. L. Prato Caruso, Feltrinelli 1993, p.75

Estate del 1980: la storia della convivenza della narratrice con un giovane, Yann, che potrebbe essere suo figlio, è intrecciata con altre storie, immaginate o intuite nella stessa estate nella località delle Roches Noires, nel nord della Francia. In una di queste storie, la giornata del 30 luglio, una giornata in cui il cielo sembra “di lacca azzurra”, è richiamata due volte: nel presente del racconto (il 1980) e nel futuro 1990, in uno strano appuntamento nel tempo fissato su una cartolina comprata nel bazar.

 

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