Il Tempo sotto vetro in un libro di Roberta Aureli (Bulzoni editore)

Fra i diversi motivi per i quali leggere il libro di Roberta Aureli, La campana di vetro. Trasformazione della “camera di compensazione per sogni e visioni” nelle pratiche artistiche contemporanee (Bulzoni editore, Roma 2017), c’è un capitolo sul Tempo.
Dopo aver ripercorso la storia della campana di vetro – ambivalente oggetto d’arredo, cupola da salotto che racchiude ogni sorta di memorabilia privati o naturali – risalendo dalle case vittoriane fino alle visioni dei Surrealisti; dopo aver trattato nei dettagli le scatole-vetrina di Joseph Cornell e il loro riverbero che da New York arriva anche in Italia, in certe opere di Munari, Dangelo, Del Pezzo; dopo aver rintracciato il retaggio della campana di vetro nelle poetiche della miniatura, della meraviglia, del frammento, della mutilazione, della reliquia, variamente declinate a cavallo della grande guerra, Roberta Aureli si rivolge all’epoca contemporanea, allestendo una mostra ideale di “campane di vetro” reinterpretate da una rosa di artisti ed artiste internazionali. Qui troviamo le messe in scena di David LaChapelle, gli “accostamenti impervi” di Pablo Mesa Capella, i giocattoli di Lucas Mongiello, l’estetica bonsai di Aiba Takanori. E molte altre significative esperienze, che riconducono una parte consistente della ricerca attuale alla fascinazione per la Wunderkammer, agli sconfinamenti nell’immaginario scientifico e fantascientifico, alle simulazioni di habitat e di universi sotto vetro.
Aureli Campana di vetroÈ nel sesto capitolo, dall’eloquente titolo Custodire il tempo, che la dimensione temporale – evocata dalla funzione conservatrice della campana di vetro  – si rivela come contenuto stesso delle opere. Il capitolo si apre con una citazione dal trattato che Ernst Jünger dedicò nel 1954 alle clessidre, Il libro dell’orologio a polvere:  “Il tempo dilegua ma non svanisce”. L’artista al centro del capitolo è Chiara Camoni (Piacenza, 1974), presentata con alcune imprese emblematiche: l’esposizione del 2006 dal titolo (Di)segnare il tempo, in cui erano raccolti centinaia di disegni realizzati e firmati dalla nonna dell’artista, che per mezzo di una fitta trama di stelle e asterischi, ” aveva segnato sulla carta il tempo”, scandendo “come un metronomo il passare dei giorni”.
Nei lavori di Camoni “c’è il tempo dei ritmi e delle scansioni, il tempo della lotta contro la materia, il tempo lungo e paziente della creazione artigianale; c’è il tempo dei calendari e, soprattutto, il tempo condiviso con coloro ai quali l’artista delega il lavoro” – scrive Roberta Aureli – soffermandosi poi sull’opera Clessidra, presentata in una mostra del 2004. Si tratta di una clessidra sistemata – per l’occasione della mostra –  dentro una campana di vetro di misura molto maggiore rispetto a quella necessaria per contenere il piccolo oggetto, che appare simile ai segnatempo che corredano tanti giochi da tavolo. La sproporzione fra lo scorrere del tempo e la possibilità di controllarlo e misurarlo si lega così ai passatempi, ai giochi e ai ritmi con cui lo si riempie.
La trattazione di Roberta Aureli prosegue – dopo il capitolo sul Tempo – con una serie sorprendente di rivisitazioni della campana di vetro, che spaziano dall’Europa agli Stati Uniti, all’Australia, alla Cina, al Brasile (The Eight Day di Eduardo Kac), con un forte nucleo britannico (Damien Hirst, Kate McGwire, Janie Graham e Georgia Russell, Justine Smith, Jake e Dinos Chapman); per l’Italia spiccano David Casini, con le sue miniature di ecomostri e utopie politiche allestite sotto vetro e Sebastiano Mauri, con i suoi arrangiamenti di mondi in cui convivono creature aliene e terrestri, divine e umane. Il libro si chiude con riferimenti a campane di vetro metaforiche e futuribili, invisibili cupole colossali capaci di racchiudere intere comunità, bolle di cristallo esplorabili nello spazio-tempo.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Il blog di Roberta Aureli, PlaychesswithMarcel.tumblr.com

Enrico Benetta, fra lettere e tempo

Tempo sospeso Benetta

Courtesy Enrico Benetta, Tempo sospeso

“È molto diverso misurare il tempo con l’acqua, il fuoco o la luce” scrive Ernst Jünger nel Libro dell’orologio a polvere, ricordando anche che i primi costruttori di clessidre appartennero probabilmente alla corporazione dei fabbri. C’è un’opera dell’artista veneto Enrico Benetta che conferma e arricchisce la raccolta di geroglifici del tempo di Jünger: Tempo sospeso ha la forma di una grande clessidra, con un’incastellatura  cilindrica costituita da quattro sostegni alti due metri fissati su due dischi dal diametro di 85 cm. Due coni di lettere in acciaio cor-ten, fissate ai due dischi, alludono con la loro forma alle ampolle della clessidra, divise simmetricamente da una strozzatura centrale, che dà all’insieme la forma reversibile, e continuamente rovesciabile, di un otto. Nella clessidra di Benetta non c’è il vetro e neanche la sabbia. L’ingombro delle ampolle e la materia che dovrebbe riempirle è costituita dai caratteri tipografici disegnati nel ‘700 dal tipografo Giambattista Bodoni. I caratteri sono sagomati dall’artista-fabbro nel cor-ten, un acciaio arricchito di atomi di rame che danno al materiale il segno visivo del passare del tempo:  la coloritura della ruggine senza il suo effetto corrosivo. E sono disposti in modo da creare la metafora visiva del gocciolare dall’alto e dell’accumularsi in basso, con un assottigliamento al centro, in cui è visibile – come una congiunzione – una E maiuscola. Se nella clessidra sono i granelli di sabbia setacciata (o di polvere ottenuta dalla macinazione di diversi metalli) a colare dal basso verso l’alto, qui sono lettere dell’alfabeto: unità atomiche, costituenti di base di tutte le parole, materia prima del linguaggio. Sono loro – con i grovigli e le catene delle loro combinazioni – a segnare il tempo e insieme a sospenderlo, come fa da sempre la lettura.
Benetta versione grandeL’opera di Benetta (ne esiste anche una versione alta più di 6 metri) è stata esposta nel 2012 nel Museo Bodoniano di Parma insieme a installazioni autoportanti e composizioni polimateriche, tutte basate sui caratteri del grande tipografo. Fra queste, anche un Libro del tempo, 2011. E il tempo è un motivo di riflessione, già nel titolo, anche nella mostra L’attesa… La Tempesta (Castelfranco Veneto, fino al 7 gennaio 2013), che indaga “lo spazio temporale fra il lampo e il tuono”, partendo dal celebre quadro di Giorgione .
Viene da chiedere seguendo quali segnali l’artista assembli i caratteri, con quale frequenza ricorrano vocali e consonanti, e se emergano significati più o meno volontari nei percorsi non lineari delle opere, nei cui titoli non è raro trovare giochi di parole. Del resto l’anagramma del nome di Enrico Benetta, in un dialogo ideale con le sue opere, è: “beate in cor-ten”.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)
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