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Borgese, Chiara, incipit
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Il Dottor Augusto Vanghetta, pretore in sottordine con quasi quindici anni di carriera alle spalle, arrivò a Cuvio, dove era stato destinato in qualità di titolare, nel pomeriggio del 26 ottobre 1930. Negli uffici della sua nuova sede, ricavati al piano nobile d’un palazzo secentesco, non trovò il predecessore, partito il giorno prima, ma soltanto un vecchio cancelliere, che dopo avergli fatto visitare la sala delle udienze, l’archivio, la stanza dei corpi di reato e i locali dell’ufficiale giudiziario, lo lasciò solo in un ampio salone sulla cui porta era fissata una targa di smalto con scritto: Gabinetto del pretore. Seduto alla scrivania, diede una sbirciata al ritratto di Vittorio Emanuele III e a quello di Mussolini appesi alla parete che aveva di fronte, poi girò lo sguardo sulle librerie e sull’armadio, fermandolo alla finestra che dava verso la valle. Trovati buoni i mobili, piacevole la vista e comoda la poltrona, si sentì soddisfatto. Che altro poteva desiderare dalla vita, ormai che era pretore titolare di Cuvio?
Piero Chiara, Il pretore di Cuvio, 1973, Mondadori 1973, p.9
La storia del cinquantenne Augusto Vanghetta, “laureato miracolosamente” e diventato pretore grazie a una legge destinata a ripopolare l’organico della magistratura dopo la guerra, si svolge nella città di Cuvio, in provincia di Varese. Dedito più alle donne e agli affari che alla sua attività, Vanghetta trascorrerà a Cuvio tre anni, accorgendosi in ritardo che il giovane assistente di studio e vicepretore ha una relazione con sua moglie Evelina, dentro la sua stessa casa. Quando arriva a Cuvio, la carriera di Vanghetta sembra avviata verso il successo e la stabilità, il pomeriggio del 26 ottobre 1930.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Un pretore cinquantenne non attraente, ma che attrae donne di ogni condizione, in un paese della Valcuvia, con il prestigio delle sue funzioni e le inconsuete virtù di un virilità irresistibile; sua moglie, minore di vent’anni, che sfiorisce in solitudine finché il giovane di studio non le ridà, insieme con un amore appassionato, la bellezza; il tramonto delle fortune del pretore, travolto da un giro di debiti e di avventure”.
(Dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)
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Borgese, compleanno, documenti, Grossman, identità, Kincaid
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These documents showed everything about me, and yet they showed nothing about me. They showed that I was born on the twentyfifth of May 1949. They showed how tall I was. They showed that my skin and my eyes were the same color, brown, though they did not say if the shade were identical. These documents all said that my name was Lucy – Lucy Josephine Potter. I used to hate all three of those names
Jamaica Kincaid, Lucy. A Novel, 1990
Questi documenti rivelavano tutto di me, eppure non rivelavano nulla. Rivelavano dov’ero nata. Rivelavano che ero nata il venticinque maggio 1949. Rivelavano quanto ero alta. Rivelavano che la mia pelle e i miei occhi avevano lo stesso colore, marrone, sebbene non chiarissero se avevano la stessa sfumatura. Tutti questi documenti dicevano che mi chiamavo Lucy – Lucy Josephine Potter. Io odiavo tutti e tre questi nomi
Jamaica Kincaid, Lucy, 1990, tr. it. A. Di Gregorio, Guanda, 1992, p. 134
Da una piccola isola dei Caraibi dove ha vissuto fino alla maggiore età, Lucy si è trasferita negli Stati Uniti, come governante di quattro bambine. È arrivata in quella parte della terra “in cui l’anno, con tutti i suoi trecentosessantacinque giorni, si divideva in quattro stagioni distinte”. E un anno ha trascorso in casa della famiglia americana. Quando riflette sulla sua data di nascita – il 25 maggio, che è anche la data di nascita della scrittrice – ha appena cambiato casa e lavoro, cercando di depurare il presente dai segnali e dalle presenze del passato.
Dicono del libro
Dicono del libro
“A diciannove anni, Lucy decide di lasciare la sua famiglia e l’isola dei Caraibi dove è nata, per andare a vivere – au pair in una quasi impeccabile famiglia della media borghesia East – negli Stati Uniti. Sembra l’avvio di una vicenda paradigmatica, di una storia con evidentissime corrispondenze anche mediterranee. E in certo senso lo è: Lucy incarna, sia pur con singolare grazia, l’aspirazione di ogni ventenne del terzo e quarto mondo ad approdare e a stabilirsi in una delle nazioni ricche dell’occidente”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)
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