Temporanea: un’antologia decennale

Nel 2013, questo blog iniziò a pubblicare – in tempo reale – i frammenti di narrazioni collegati al giorno in corso. Accanto a questo nucleo di crononimi, già uscito in antologia cartacea presso Giunti col titolo Il gioco dei giorni narrati (1994), il blog proponeva (e continua a proporre) segnalazioni, riflessioni, appunti, sul tema della presenza del tempo nelle arti, raccolte nella sezione Dicono del tempo
Da quell’incipit sono passati dieci anni, durante i quali sono stati pubblicati circa 200 post, articoli sintetici arricchiti di collegamenti, che riguardano mostre, ricerche specialistiche, rassegne e convegni, libri, applicazioni, approfondimenti. 
Una scelta di questi testi è riportata ora  in un libro stampato dall’editore Bernacca Immagine (Roma, 2023), dal titolo Temporanea. Indagini e incontri su arte e tempo da Diconodioggi.it.
I testi compaiono in ordine cronologico, dal più recente al più antico, dal trattato di Cronosofia del filosofo belga Pascal Chabot, tradotto in italiano da Treccani Libri nel 2023, al calendario del 2013 dell’illustratore Paolo Bernacca, che ogni anno interpreta la cifra dell’anno nuovo con un gioco verbo-visivo. In mezzo, si dispiega la varietà degli incontri, con il filosofo Franco Rella alla Galleria Nazionale di Roma per il suo libro L’arte e il tempo, con Julius T. Fraser e la sua rete internazionale e interdisciplinare di studi sul tempo, con il Centro di Studi sulla memoria dell’Università di San Marino, con gli automi cellulari a cui lo scienziato Domenico Parisi insegnava a capire le scansioni temporali, con le iniziative sulla percezione del tempo durante la pandemia, con tanti artisti e artiste, curatori e curatrici.
Un aspetto rilevante del blog è che è stato popolato negli anni da contributi di specialisti, di filosofia e linguistica, di letterature, di musica, di arti, di spettacolo: i loro interventi – anche se non trascritti in questa antologia – sono sempre leggibili nel blog e l’elenco dettagliato è riportato in fondo al volume. 

 


“Perché stampare questo materiale su carta?” si è chiesta a suo tempo  anche Valentina Tanni, quando nel 2011 ha dato alle stampe una selezione dei dieci anni del suo blog Random, importante osservatorio quotidiano sulla net art avviato nel 2001: la forzatura del passaggio dall’ipertesto alla pagina era compensata, secondo lei, dalla ricostruzione di un percorso e di un quadro d’insieme. Come nelle traduzioni, qualcosa si perde e qualcosa permane: stampare il blog diventa così anche una verifica di consistenza dei singoli interventi e delle loro relazioni reciproche, nel tempo.
Per un’altra impresa simile, la stampa del blog Ideasonair che l’artista Chiara Passa ha tenuto vivo on line dal 2005 al 2012, Antonello Tolve – nel volume che raccoglie i materiali del blog –  sottolinea che la “dislocazione lineare dal web al cartaceo” rivela anche una riflessione sull’archiviazione, “intesa come territorio stabile, come corazza protettiva contro il tempo e contro i dissapori dell’evanescenza che a volte non lascia scampo e rende instabile una lettura, cancellandone i contenuti”.
Nato come traccia quotidiana di una cronomania, il blog diventa temporaneamente un libro, mentre la sua casa-madre continua a registrare gli affacci dei linguaggi sul tempo.

a.s.

 

Come il tempo si rivela nell’arte: un libro di Beatrice Peria

“Parlare di prospettiva invisibile significa riconoscere l’esistenza di un’altra prospettiva“, scrive la storica dell’arte Beatrice Peria in un libro importante, in cui l’autrice affronta da docente e da iconologa il tema immenso della presenza del tempo nelle espressioni artistiche dal medioevo al contemporaneo.  Accanto alla prospettiva geometrica che organizza l’esperienza e la rappresentazione dello spazio, la studiosa si interroga sulla prospettiva invisibile del tempo, suggerendo, sin dall’incipit del volume, che “il tempo può essere espresso, implicato, evocato, comunicato, ma forse non rappresentato (…) se non in modo obliquo, attraverso forme e modi altri che qui vogliamo cercare di mettere in luce”. Le forme e i modi che Beatrice Peria presenta sono il frutto di una ricerca lunga e consistente, basata su fondamenti teorici e storici che includono Aby Warburg ed Etienne Souriau, su una ricchissima selezione di opere (benissimo illustrate nel testo) e su una struttura in cinque capitoli che servono allo stesso tempo da isole tematiche e da bussole per orientarsi nella lunga trasformazione della storia delle immagini. Il primo capitolo, dedicato ai Calendari, si apre con i calendari figurati, le raffigurazioni dei mesi e dei lavori, i cicli astrologici, e arriva all’epoca contemporanea, dove la griglia calendariale è intesa come dispositivo concettuale. Il secondo capitolo tratta del tema della Vanitas rintracciando la metamorfosi dei suoi simboli, teschi, frutti, bolle di sapone, dal grande repertorio della pittura rinascimentale e barocca ai linguaggi che esprimono la fragilità dell’epoca presente. Nel terzo capitolo La Narrazione il tempo è analizzato all’interno delle strategie di narrazione per immagini, e qui gli esempi arrivano anche dal mondo antico, appoggiandosi a fonti teoriche, estetiche, linguistiche. Istante/Durata è il titolo del quarto nucleo di indagine, in cui le serie di Monet, così come la cronofotografia rivelano l’emergere di un desiderio di rappresentare la trasformazione incessante del visibile; desiderio che procede nel tempo e si ritrova, modificato, in tanti esempi di fotografia contemporanea. Infine, Memoria/memorie conclude l’impresa di questo volume, intessendo un ragionamento sui rapporti fra memoria e immagini, documenti, storia, con omaggi all’Atlante Mnemosyne di Warburg e a protagonisti del Novecento come Richter, Kiefer, Boltansky.
Uno dei pregi del libro è proprio l’accostamento giudizioso fra passato e presente, fra opere del canone tradizionale ed espressioni contemporanee, che sbalzano il lettore da una temporalità all’altra, rivelando affinità, anacronismi, continuità e sorprese, che danno una scossa al flusso del tempo.

Beatrice Peria, La prospettiva invisibile. Forme visuali della temporalità nell’arte, L’Erma di Bretschneider, Roma – Bristol, 2022

Nelle tappe del tempo, con Franco Rella (il 27 ottobre 2021)

In copertina c’è la riproduzione di una scatola di Joseph Cornell, della serie Aviary (voliera), in cui la sagoma di un pappagallo ci guarda da una incastellatura di quadranti d’orologio (marca Elgin), fra molle, spirali e un carillon rotto. È l’ingresso visivo, quanto mai pertinente, al libro del filosofo Franco Rella, L’arte e il tempo (Jaca Book 2020), da poco ristampato in seconda edizione, e che è presentato mercoledì 27 ottobre 2021 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. 
Come un segnatempo, anche il libro di Rella rende omaggio alla scansione delle ore e dei mesi e raccoglie – nella prima parte – dodici saggi che attraversano il pensiero, la scrittura, la visione del Novecento, con affacci sul XIX secolo di Baudelaire, su Van Gogh (Volti e paesaggi), incursioni in Dürer (Specchi e clessidre), in Leonardo (Freud e Leonardo). 
Già pubblicati in diverse sedi e occasioni, questi dodici testi sono considerati dall’autore “capitoli di un libro sostanzialmente unitario, che disegna un lungo arco temporale fatto anche di rinvii, riprese, scoperte e riscoperte. Li vedo come una storia che si è dipanata in diverse tappe. Alcune cose sono ripetute, forse è meglio dire ribadite. Non ho cercato di cancellare questi segni che indicano anche nel tempo la costanza di temi, di concetti, di immagini che costituiscono di fatto il mio sguardo”. Qualunque sia infatti il focus o l’occasione del testo – presentazione, conferenza, saggio – la prosa dell’autore si dipana come un diario intellettuale, ritmato da paragrafi contigui, in cui chi legge ritrova – per motivi sempre leggermente diversi e sempre profondamente  affini – gli interlocutori e le interlocutrici del suo pensiero e del suo sguardo, Benjamin, Rilke, Adorno, Weil, Mann, fra molti (e qui un invito all’editore: proprio perché il libro costruisce una rete di relazioni, l’indice dei nomi sarebbe prezioso).

Nella seconda parte del volume, dal titolo Micrologie, Rella propone dieci “microsaggi”, definiti “elaborazioni, senza note o riferimenti”, che si affiancano ai dodici testi della prima parte, proponendosi come “una sequenza di domande che vengono poste al pensiero”. 
Chiude il libro un album di 41 immagini, riproduzioni di opere incontrate o alluse nei testi che le precedono e che entrano in tensione con essi, sempre attraverso la porta – e il gioco di specchi –  del tempo. Volendo, si può cominciare la consultazione del libro proprio da questa sequenza, che si apre con l’Inverno di Benedetto Antelami (una stagione) e si chiude con la Lupa di Kentridge dal fregio Triumphs and Laments sul muraglione del Tevere: un’opera del 2016, ottenuta togliendo la patina dal travertino, e che sta ormai svanendo, ricoperta da nuova patina. Un’opera che si introduce consapevolmente nell’azione entropica del tempo, facendone la sua sostanza. E da questa immagine che chiude il libro, si può cominciarne, o ricominciarne, la lettura. 

Presentazione del libro di Franco Rella L’arte e il tempo (Jaca Book)
con Cristiana Collu, Maurizio Gargano, Michele Trionfera
Mercoledì 27 ottobre 2021, alle 17:30
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Roma, viale delle Belle Arti, 131

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What Day is Today?

La perdita di orientamento nel tempo provocata dal lockdown avrà portato molti a pronunciare la frase “Che giorno è oggi?”.
Ora quella frase è diventata un libro che raccoglie le 49 cartoline inviate alla Fondazione VOLUME! da altrettanti artisti e artiste legate allo storico spazio di ricerca e sperimentazione situato a Roma, in via San Francesco di Sales.
“Tra marzo e maggio 2020, durante il lockdown, la cassetta della posta di VOLUME! si è riempita di cartoline da parte dei nostri artisti e amici. Provenienze diverse, orari diversi, giorni diversi. Ognuno racconta la sua quarantena”, si legge nell’incipit della pubblicazione. 
I giorni di marzo, aprile, maggio 2020 sono incastonati in queste immagini – cartoline: ognuna di esse, con la sua tecnica e la sua grafia, invita a fermarsi sulla pagina dove è riprodotta, a collegare ciò che si vede al luogo di partenza, alla data, talvolta anche all’ora (come fa il collettivo Polisonum, nella Registrazione muta da finestra, Roma, 20 marzo 2020, ore 00:43).
Ogni cartolina è uno specimen dell’artista che l’ha inviata (bello ritrovare stili, tecniche, invenzioni compositive) e insieme un affaccio sul tempo e ogni lettore può cercare e trovare affinità, risonanze, tracce, inquietudini, cronofilie e cronofobie.
Per diconodioggi, le attrazioni sono tante, dal termine TIME stampigliato nella cartolina di H. H. Lim, alla pagina dell’artista iraniana Avish Khebrehzadeh che ripete Che giorno è oggi in tante lingue e colori, a Reverie che squaderna la frase Il / virus / del / tempo  nella sua cartolina da Milano (Cambiando l’ordine dei fattori la malattia del mondo non cambia), al Journal d’exile di Monica Biancardi, al cruciverba di Mutsuo Hirano e via sfogliando.
Le cartoline sono state raccolte da Francesco e Daniela Nucci, Marianna De Vita, Antonella Liucci, Silvano Manganaro, Roberta Pucci.
Gli artisti e le artiste (e i collettivi) mittenti sono:
Mimmo Paladino, Stefano Cerio, Claudio Martinez, Sauro Radicchi, Avish Khebrehzadeh, Andrea Branzi, Myriam Laplante, Guido Gazzilli, Bruno Ceccobelli, Giuseppe Gallo, Bizhan Bassiri, Arcangelo, Giovanni Albanese, Valentina Palazzari, Maurizio Savini, Guido Laudani, Alessandro Bulgini, Polisonum, Francesco Viscuso, Thomas Lange, Reverie, Mutsuo Hirano, Sandro Mele, Alfredo Pirri, Flavio Favelli, Carlo De Meo, Nahum Tevet, Rui Chafes, Giulio Telarico, Sissi, Renzogallo, Federico Ridolfi, Daniele Villa Zorn, Dario D’Aronco, Monica Biancardi, H.H. Lim, Roberto Pietrosanti, Roberto Fellicò, Petr Davydtchenko, 2A+P/A, Katrina Haikala, Mariella Bettineschi, Gregorio Botta, Mario Rizzi, Vincenzo Marsiglia, Michele De Lucchi, Michele Welke, Federico Cavallini, Sofia Ricciardi

L’antologia è sfogliabile a questo link.

(as)

Ingannare il Tempo. Un incontro al Museo di Roma in Trastevere

Nell’ambito del programma Educare alle mostre / Educare alla città della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, il 6 marzo 2019 si svolge un incontro dal titolo “Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto”, a cura di Antonella Sbrilli.
L’incontro al Museo di Roma in Trastevere prende avvio dalle illusioni ottiche, gli inganni visivi legati alla percezione dello spazio e si inoltra nel tema degli inganni temporali. Qualche esempio: un artista che retrodata un dipinto sta ingannando la visione storica della sua produzione; uno scrittore che segna una data inesistente (37 ottobre, 31 aprile) sta inserendo nella sequenza del calendario un ostacolo sul quale la lettura inciampa e l’immaginazione prende una sua strada.

Nel pomeriggio del 6 marzo 2019 – che fra l’altro è il Mercoledì delle Ceneri (e il pensiero corre all’opera in versi di T. S. Eliot che porta il titolo della ricorrenza) – vedremo una serie di opere che si intromettono con diversi espedienti nella durata temporale, concerti lunghi secoli, orologi annuali, opere che termineranno nel 2114, periodi trascorsi su una scansione del tempo parallela, consapevoli che, come scrive Carlo Rovelli, il tempo è “la sorgente della nostra identità”, la forma con cui noi esseri “il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione interagiamo con il mondo”.

Educare alle mostre / Educare alla città
Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto
a cura di Antonella Sbrilli
Museo di Roma in Trastevere
Piazza Sant’Egidio, Roma
Mercoledì 6 marzo 2019 ore 16
L’immagine è tratta da http://www.iferridisbrilli.eu

Il principio del tempo: Qinggang Xiang

Il principio del tempo: potrebbe essere un saggio di fisica o di filosofia – in dialogo con le recenti riflessioni di Carlo Rovelli – il titolo della mostra aperta alla galleria La Nuova Pesa di Roma intorno alle opere di Qinggang Xiang, artista e storico dell’arte cinese.
Nato nel 1983 a Mu Danjian e attivo da anni in Italia, Qinggang Xiang ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia dell’arte alla Sapienza di Roma e ha già esposto in diverse rassegne, una proprio alla Nuova Pesa nel 2015, dove si sono potuti esplorare i suoi paesaggi fatti di micro montagne in ceramica disposte ai lati di pannelli di seta dipinti. 

Il pensiero taoista sulla natura e la cultura del paesaggio si incontrano – come ha spiegato Veronica Di Geronimo – in composizioni di questo tipo, lucide e policrome metonimie del cosmo e dei suoi orienti e occidenti.

Ora la mostra Il principio del tempo, curata da Vittoria Biasi, propone nuove opere ceramiche dell’artista, emancipate “dalle proprietà puramente ornamentali e decorative” della millenaria tradizione cinese e diventate il tramite di riflessioni e pensieri, di cui il tempo è uno dei fulcri.
“La percezione del tempo, e la possibilità di una lettura ermeneutica della storia individuale e collettiva, è il tema che attraversa tutta quanta l’esposizione del giovane artista cinese”, scrive Enrica Petrarulo. 
Come nei paesaggi del 2015, anche in queste opere l’impossibilità di trattenere il tempo è compensata – per l’artista – dall’attività della memoria, dalla cura degli oggetti  inanimati (il fazzoletto rosso del giovane alunno maoista) e soprattutto dei frammenti naturali (tronchi, foglie), arricchiti letteralmente di pensieri e citazioni. 

(a. s.)

Mostra “Il principio del tempo”
Opere di Qinggang Xiang
Roma, Galleria La Nuova Pesa, via del Corso 530
Dal 21 maggio al 31 luglio 2018
dal lunedì al venerdì ore 10.30- 13.30 e 16.00-19.30

Il tempo in tasca: al Museo della Figurina

I calendari portatili: c’è chi li considerava oggetti trascurabili e chi invece ne era attratto fortemente. C’è chi li collezionava e chi li gettava via terminato l’anno a cui erano collegati. C’è chi ormai non li usa proprio più, delegando il registro dei giorni alla funzione calendariale di telefoni e palmari. 
Ma c’è stata un’epoca – a partire dal 1900, lungo i decenni dell’art déco – in cui i calendari tascabili (in un versione arricchita di colori e odori) hanno popolato la vita quotidiana di tante persone, soprattutto di sesso maschile, poiché – come testimoniano memorie, diari, racconti e collezioni – era nella bottega del barbiere che questi oggetti si trovavano.
Piccoli almanacchi in forma di libriccino di 12 o 16 facciate, in cui ogni mese dell’anno era illustrato con figure femminili, scene e dettagli di vita elegante e spensierata, nello stile armonioso dell’epoca d’oro della decorazione grafica e litografica.

Dal 15 settembre 2017 , fino al 18 febbraio 2018, a Modena, nel Museo della Figurina, una mostra permette di vederne dei magnifici esemplari, realizzati da artisti di talento – fra cui De Bellis, Codognato, Umberto Brunelleschi (e molti altri recuperati dalla ricerca), attivi nella prima metà del XX secolo nel campo dell’illustrazione e dell’immagine riprodotta.
L’arte in tasca. Calendarietti, réclame e grafica 1920-1940 è il titolo di questa esposizione, curata da Giacomo Lanzilotta, che usa il “calendarietto del barbiere” come bussola di un percorso espositivo articolato sui temi che il piccolo oggetto interseca: la fisionomia di un gusto e le sue tracce figurative, cinematografiche e letterarie, il fascino per l’esotico, il ruolo della seduzione nella réclame, la profumeria. 


Piccolo per estensione e per considerazione, ma carico di una sua forza immaginifica, il calendarietto del barbiere si presentava infatti profumato con essenze reclamizzate all’interno. 
In quello della profumeria milanese Sirio – illustrato da Costantino Grondano nel 1922 – è la fragranza di acacia a dare al calendario quello che, con termine ora un po’ desueto, è chiamato l’olezzo. 
Il profumo esalta le immagini, aggiunge dimensioni impalpabili alle scene, trasforma il piccolo oggetto cartaceo in un dispositivo sinestetico che apre l’accesso alla memoria e all’immaginazione di chi viene in contatto con esso. Il profumo, collegato al luogo (il salone del barbiere)  e alla funzione di questi oggetti (sorta di proto-gadget pubblicitari) è un elemento interessante anche in relazione al tempo. Dall’esperienza olfattiva narrata da Marcel Proust al principio della Ricerca del tempo perduto, alle recenti considerazioni di Carlo Rovelli e Bjung-Chul Han, l’olfatto emerge come veicolo di un viaggio nella memoria che schiude alla coscienza “ampi spazi di tempo”.
In modo empirico e commerciale, ammiccante e leggero, i calendarietti del barbiere alludevano anch’essi all’odore del tempo, accostando la griglia dei giorni dell’anno nuovo alla linea libera delle forme, alla seduttività dei colori e all’effetto conturbante dei profumi.  

La mostra, prodotta in occasione del festivalfilosofia 2017 (Modena, Carpi, Sassuolo 15-17 settembre), prevede anche dei percorsi olfattivi.
Il catalogo con testi di Giacomo Lanzilotta e Maurizio De Paoli, riccamente illustrato e denso di collegamenti e informazioni inedite, è pubblicato da Franco Cosimo Panini.
Info sul sito funzionalissimo del Museo della Figurina di Modena.

Antonella Sbrilli @asbrilli

VisiTag: 20.12.2016 alla Galleria Nazionale di Roma

VisiTag è una parola-composta che unisce la visita con il tag. Che ci fanno insieme un sostantivo italiano e il termine informatico che indica l’etichettatura dei contenuti? Cercano di descrivere quello che accade il 20 dicembre 2016, nelle sale della Galleria Nazionale di Roma (viale delle Belle Arti): una visita al museo, durante la quale gli allievi e le allieve del corso di Storia dell’arte contemporanea della Sapienza osservano le opere d’arte esposte e – per ogni sala – provano a descrivere quelle opere (e le loro relazioni) usando delle parole-chiave, appunto i tag.
L’idea nasce dalla nuova sistemazione del grande museo romano, che dispone le opere della collezione (con aggiunte di prestiti temporanei) non in modo cronologico – dall’Ottocento a oggi – ma per risonanze formali, analogia di contenuti, dialoghi a distanza, nuclei di possibili mostre. Questa nuova sistemazione – che durerà fino al 2018 – è al centro di un acceso dibattito critico e suscita molte curiosità sulla sua efficacia nell’avvicinare il pubblico al piacere e alla riflessione sull’arte contemporanea e su quella del recente passato (ne ho parlato qui).
Poiché alcuni tratti di questa nuova disposizione della Galleria Nazionale rimandano alle caratteristiche degli ipertesti – la mancanza di un percorso lineare e sequenziale prestabilito, la possibilità di accedere a parti del contenuto in modo autonomo, la struttura a collegamenti – ha preso forma il progetto di visitarla appunto come un ipertesto abitabile, dove ogni visitatore marca con tag a sua scelta le singole opere e le loro connessioni.

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(Roma, Galleria Nazionale: screen shot di foto sferica da Google maps)

Del resto, l’uso di queste parole-chiave è diventato via via più comune, diffondendosi nelle comunità social e generando il fenomeno detto folksonomy, la classificazione informale dei contenuti (fra cui anche immagini e didascalie di collezioni museali), fatta dagli utenti. Come si legge nel Lessico del XXI Secolo (Treccani) i tag sono il segno di un sistema di classificazione non gerarchica, reticolare, che tende ad autorganizzarsi in forme che non possono essere del tutto indirizzate o previste dall’alto.
La descrizione per parole-chiave delle sale – il 20 dicembre 2016 – è fatta da un gruppo omogeneo di visitatori (tutti studenti universitari di storia dell’arte), che in parte già conoscono artisti e opere e che hanno in qualche caso già visitato la Galleria nel passato. Si può prevedere dunque l’emergere di termini storici e storico-critici, accanto a descrizioni dell’impatto diretto delle diverse opere nel loro nuovo contesto, e alla ricerca dei collegamenti fra un’opera e l’altra. Un conto – per esempio –  è incontrare in successione, in sale distanti e separate del museo, le sculture di Medardo Rosso e di Lucio Fontana, un altro vederle vicine le une alle altre. La plasticità del lavoro sulle materie investe anche lo spazio fra di esse e lo spazio di chi le osserva collegarsi nel tempo.
Seguendo la pianta del museo, suddivisa in quattro aree principali, la visita del 20 dicembre non segue un percorso lineare, ma procede a stella: ogni partecipante può iniziare da una qualunque delle zone, ripassare per il centro e proseguire nelle altre tre aree.
Chi conduce la visita – ma forse è meglio parlare di chi la facilita e la osserva, facendone parte – può proporre una lettura delle risposte che via via emergono, segnalando la conferma di collegamenti storici o tecnici fra le opere, valutando la ripetizione statistica di termini descrittivi o la presenza di tag isolati. Senza però trarre conclusioni teoriche o di metodo: la visita del 20 dicembre – la VisiTag – è un’esperienza pratica che prova a partire dalle descrizioni dei visitatori per risalire da lì verso i piani della storia e del suo racconto.
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Informazioni pratiche:
– esiste un gruppo chiuso di Facebook – VisiTag – all’interno del quale sono pubblicati in tempo reale i tag della visita del 20 dicembre e dove l’elaborazione dei dati prosegue nei giorni seguenti.

“La mole bianca della Galleria /D’Arte Moderna, con le sue attempate /Decorazioni e i motti tutti intorno: / Questo sol m’arde e questo m’innamora; / Non ci si pensa quanto sangue costa./ Al sommo della grande scalinata / Entrava nel museo. Luce di vetro / Piovuta dagli ampi lucernai”
Ruggero Savinio, La  Galleria d’Arte Moderna (Le Lettere, 2003)

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

La forza degli anni (e della creatività)

Fino al 10 dicembre 2016, presso lo spazio polifunzionale EX[de]PO’ in Corso Duca di Genova 22 a Ostia, si può visitare una mostra collettiva, frutto dell’attività dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio di Roma. Il titolo dell’esposizione è La forza degli annia indicare che il tema affrontato dagli artisti e dai curatori è il tempo; il tempo che passa e che si accumula, lasciando i suoi segni profondi sulle cose e sulle persone. Il segno più evidente del trascorrere degli anni è l’invecchiamento, che porta con sé la condizione della solitudine, la fragilità, spesso l’esclusione, rovesciando in negativo i valori proverbiali della vecchiaia come l’esperienza, la memoria profonda, la visione da un altro punto di vista.

coppa-santegidioNei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio – che si svolgono insieme alle attività quotidiane di assistenza e inclusione – il tema dell’invecchiare è stato affrontato da persone con disabilità, fra cui artisti con diverse esperienze alle spalle (la Biennale del 2013 e gli eventi ospitati al MAXXI nel 2015-2016) ed altri all’inizio di un percorso espressivo. In mostra ci si trova di fronte con piacere e sorpresa a una vasta gamma di linguaggi creativi: dipinti materici che usano il colore in modo insieme espressivo e simbolico; disegni che colgono l’essenziale delle forme e lo arricchiscono di ironia (come la Venere e il Cupido invecchiati di Marianna Caprioletti e i ritratti di “grandi vecchi” di Sara Curcio); assemblage come le cortecce che propongono “una percezione tattile delle rughe” di Giovanni Battista La Marra; sculture arricchite di pensiero e di giochi di parole, come la Ma_nonna con bambino di Moira Risciogli; oggetti, come la campana di vetro che imprigiona la chiave (Chiudiamo ciò che chiude di Marco Magliocchetti); e ancora video interviste (Fili di memoria); quaderni, situazioni concettuali, come il toccante bicchier d’acqua posto su una mensola in alto, accanto  alla scritta rossa “Ho sete”, opera del Laboratorio Vigne Nuove o la parete occupata dalla ripetizione della frase Fuori tutti, o ancora la coppa piena di bigliettini da pescare per leggere la frase che ci tocca: “Senza vecchiaia non c’è futuro”, “Tutti abbiamo bisogno di qualcuno”.
venere-invecchiata
Tutte le opere presenti in mostra sono accompagnate da didascalie esemplari, che illustrano insieme la tecnica di cui ciascuna opera è fatta e la sua intenzione e mettono in alcuni casi a disposizione del visitatore una breve frase dell’artista che racconta il contesto (“Quando ero piccolo… andavo all’istituto”). Si percepiscono, lungo il percorso nelle sale dell’EX[de]PO’ di Ostia, le tante dimensioni di questa mostra: le opere sono la manifestazione tangibile (da vedere, da toccare, con cui interagire) di un lavoro creativo comune e disseminato, che nasce dalla relazione di scambio quotidiano all’interno dei Laboratori d’Arte della Comunità. Come si legge nella presentazione, queste opere “affrontano temi quali l’alleanza tra le generazioni e il valore della memoria; propongono alternative all’istituzionalizzazione degli anziani e suggeriscono di guardare alla fragilità (degli anni ma anche delle diverse condizioni di disabilità) come ad un valore prezioso da difendere”.
La mostra resterà aperta fino al 10 dicembre, giorno in cui sarà premiata l’opera più votata da una giuria popolare. L’invito è dunque a recarsi nello spazio espositivo di Ostia e a scegliere l’opera che si sente più affine alla propria riflessione sul tempo che passa, sapendo che anche questa azione fa parte della mostra, la completa e la espande.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

La mostra Dall’oggi al domani prosegue in Realtà Virtuale

La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al Macro di Roma, via Nizza – si è chiusa fisicamente  il 2 ottobre 2016.
Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate… Eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane, di questa mostra che ha abitato e animato le sale al primo piano del Museo Macro, qualcosa che riguarda la sua dimensione spaziale. Di che si tratta?
Di una versione in Realtà Virtuale, esplorabile tramite appositi visori, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, entrare nella stanza di Beninati, girovagare, avere una visione d’insieme e di dettaglio di una ventina di opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce – dal vivo – durante una visita museale. E che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come un modo consistente di mantenere la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.

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Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), all’interno dei progetto multimediale  Il Cerchio dell’arte, che propone continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica. Dedicato ogni volta a un tema diverso, Il Cerchio dell’arte sviluppa quest’anno il tema “tempo e denaro”, proponendo ai visitatori un video immersivo, esplorazioni di opere tramite touch-screen, giochi e interazioni e anche la presenza di due dipinti in prestito.
Qui tutte le informazioni.
Per la presentazione della mostra in Realtà Virtuale: appuntamento  al Centro Trevi il 22 novembre 2016, ore 18:30, con Antonella Sbrilli e Alessandro Rizzi, che ha curato lo sviluppo tecnico di questa realizzazione.

Il Tempo val bene due mostre, alla Galleria Nazionale di Roma

La Galleria Nazionale di Roma presenta due mostre nelle sale di viale delle Belle Arti, entrambe incardinate sul tema del Tempo.
La prima, curata da Saretto Cincinelli e aperta fino al 29 gennaio 2017,  si intitola The Lasting. L’intervallo e la durata. Occupa la grande sala centrale e allestisce – intorno a opere di Fontana, Calder e Medardo Rosso, appartenenti alla collezione permanente – una scelta di artisti coinvolti nei termini del titolo, che mette in risonanza i concetti di persistenza e passaggio.
The Lasting rivendica l’emergenza del tempo, l’importanza del suo fluire, della durata, dell’intervallo, della sedimentazione, della latenza…” si legge nel catalogo, dove gli artisti sono raccolti in sezioni dai titoli evocativi: Il tempo della creazione e l’impronta del tempo; Il tempo della metamorfosi; Il tempo dell’interpretazione, dell’attesa e della collaborazione.
Al visitatore il compito di rintracciare questi caratteri nelle opere e fra di esse, davanti alle teche, alle miniature, alle tende sbiadite, alle lastre di cera e paraffina, alle foto di vecchi cinema, alle tracce di lumache, ai bronzi che ricalcano i legni della laguna veneziana e prendono la forma di clessidre.
La misurazione del tempo è una invenzione e una convenzione, scrive in catalogo Francesco Piccolo in uno dei 24 bellissimi appunti del suo Tentativo di catalogare il tempo, ma “il tempo che passa non è inventato”.
Nel suo fregarsene degli orologi e dei calendari, nel suo costringere il linguaggio a cercare sempre nuove metafore e acrobazie per avvicinarvisi, il tempo pervade l’arte in maniere continuamente nuove.
Bonito Oliva definisce portatori del tempo i protagonisti della sua Enciclopedia delle arti contemporanee; l’urgenza del tempo è evocata dalla XVI conferenza dell’International Society for the Study of Time (Time’s Urgency, Edimburgo 2016); il tempo, i tempi, l’oggi, il domani, il qui e ora, il tempo-reale, i fusi orari, sono ubiqui nelle ricerche, nelle mostre, negli esperimenti relazionali in corso. Per fare un esempio, l’esposizione di Manfredi Beninati (ottobre 2016, Firenze Galleria Poggiali) ha per titolo Domenica 10 dicembre 2039, una data che non esiste nel calendario, poiché quel 10 dicembre sarà un sabato.
Nel catalogo di The Lasting, la direttrice della Galleria, Cristiana Collu – che pure desidera lasciare da parte il tempo convenzionale e lineare – cita, con una sorta di affetto, due date: la festa di Ognissanti, giorno in cui ha preso in carico la Galleria e il Solstizio d’estate, giorno di inaugurazione della mostra.
Diconodioggi non può non notarle, seguendo le trame del tempo finzionale: il primo novembre è scandito dalle citazioni formidabili di tre scrittrici, Virginia Woolf,  Antonia S. Byatt, Jennifer Egan; mentre il Solstizio di giugno è ancorato alla pagina della Montagna incantata (o magica) di Thomas Mann, che ricama sul paradosso di un giorno che segna insieme il culmine della luce e l’inizio del suo decrescere.

La seconda contemporanea mostra della Galleria Nazionale si intitola Time is out of joint e si presenta come una sistemazione temporanea (fino al 2018) delle collezioni, in dialogo con alcune opere in prestito.
Anche qui una data: l’avvio della mostra è caduto il 10 ottobre, “due giorni prima della scoperta dell’America” (come si legge in un racconto di Tabucchi, Il gatto dello Cheshire), ma soprattutto il giorno in cui nell’incompiuto romanzo di René Daumal, Il Monte Analogo, il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome L’Impossibile, diretto verso una montagna sfuggita fino ad allora all’osservazione e la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”.
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Ha un sentore di spedizione verso spazi inconsueti anche l’apertura di questa mostra, che sceglie come titolo una battuta dell’Amleto, “il tempo  [in alcune traduzioni ‘il mondo’] è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch’io sia nato per riportarlo in sesto”.
Anche in questo caso, e in modo ancora più pervasivo che in The Lasting, la mano da giocare passa subito al visitatore, che negli spazi completamente bianchi della Galleria  incontra opere accostate non per vicinanza storica, ma per analogie, collegamenti, rimandi, affinità, buon (o problematico) vicinato.
Un imponente ipertesto navigabile in grandezza naturale che, in ogni sala, invita a decifrare i nessi fra le opere che lo compongono. La linea diritta della storia che scorre da un prima a un dopo è messa da parte e il suo posto è preso dall’idea della compresenza e dell’intreccio.
Del resto, la citazione della tragedia di Shakespeare, “Time is out of joint”, è anche il titolo di un racconto distopico dello scrittore statunitense Philip K. Dick. Pubblicato nel 1959, il racconto (tradotto in italiano come Tempo fuori luogo e Tempo fuor di sesto) è uno straordinario trattato sulla natura della realtà.
In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni ’50, il protagonista è il campione di un concorso a premi, in cui bisogna indovinare in quale zona di una mappa quadrettata apparirà un omino verde. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi portano il protagonista a dubitare che la normalità della sua vita quotidiana (compreso il concorso) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici: la realtà è in sincrono con chi la percepisce? è un continuo compatto, consecutivo e condiviso? o non presenta invece delle crepe – non visibili a tutti nello stesso modo e momento – attraverso cui trapelano segnali dal passato o dal futuro, strati di altri tempi?
Questa seconda mostra nella Galleria Nazionale mette decisamente in opera l’idea dello scardinamento dei tempi e del loro riversarsi nel presente.
Ogni sala si presenta  a sua volta come una mostra a tema, un’arena di collegamenti, un invito a decifrare gli indizi che collegano due o più epoche distanti, richiamate nell’attualità dello stesso luogo e del visitatore che vi si trova in quel momento. Ogni opera una porta d’uscita e d’ingresso nel tempo di chi la guarda e la ricolloca; ogni gruppo di opere un nodo di reti orizzontali e diacroniche.

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Questo tipo di disposizione è una sfida per la didattica e anche un invito a nozze per progettare quella che attualmente si chiama gamification, cioè l’applicazione di forme di gioco in contesti non ludici.
Quanti gradi (o quadri) di separazione dividono un’opera dall’altra? per quali vie sono arrivate vicine, attraversando la storia, la rilettura critica, l’immaginazione letteraria, la serendipity? (un gioco simile è stato proposto alla Gnam nel 2015 in occasione dei Giochi di Sala).
E un gioco d’artista partecipativo è effettivamente già in corso alla Galleria Nazionale: si tratta del Museum Beauty Contest, un concorso di bellezza fra le più belle figure femminili e maschili rappresentate nelle opere della Galleria; inventato dall’artista Paco Cao, coinvolge il pubblico per diversi mesi, fino alla finale nel marzo 2017.
Ma questa proposta di disposizione è un invito a nozze anche per la progettazione di realtà aumentate che raccontino – oltre alla vita delle opere – anche le forme delle precedenti sistemazioni delle sale o per il rilascio di app (o l’avvio di laboratori) che consentano di ricreare una propria parziale configurazione temporanea. Ritrovare il pavimento specchiante di Alfredo Pirri che introduceva nella Gnam, ricostituire le quadrerie, spostare, ricombinare, fermare una configurazione.
Il tempo come linea, il tempo come cerchio, il tempo come rete, il tempo come blocco dove tutto continua ad avvenire nel momento in cui lo si racconti di nuovo, emergono come artifici paralleli di rappresentazione.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

L’artista del Lunedì: Camille Henrot

Se dovessimo attribuire un colore a ogni giorno della settimana, quello del lunedì sarebbe probabilmente il blu. Lo cantavano i New Order nel loro singolo Blue Monday (1983) e lo ribadiva qualche anno dopo Robert Smith, voce dei The Cure: “I don’t care if Monday’s blue…” (da Friday I’m in Love, 1992). Certo, lui al venerdì si innamorava, perciò come poteva importargli di iniziare la settimana con il piede sbagliato? Qualora questi brani non bastassero a convincerci, conferma potremmo trovarla nel nome dato alla celebrazione del giorno più triste dell’anno: Blue Monday, appunto, fissata al terzo lunedì di gennaio sulla base di una finta equazione matematica che sfrutta la coincidenza di determinati fattori (il meteo, il salario, la distanza dal prossimo Natale, i propositi per il nuovo anno già abbandonati ecc.). Del resto, specialmente nel mondo anglosassone, il blu è il colore per eccellenza della tristezza, della malinconia, della sofferenza: blues erano i canti degli schiavi afroamericani…
Camille Henrot Aureli
Sebbene declinato in sfumature molto tenui, non è forse un caso che lo stesso colore sia predominante sulle pareti della Fondazione Memmo di Roma, affrescate dall’artista Camille Henrot (Parigi, 1978) in occasione di Monday, la sua personale d’esordio in Italia. L’esposizione, curata da Cloé Perrone e visitabile fino al 6 novembre 2016, riflette sul tempo come costruzione culturale che ci intrappola nella griglia del calendario settimanale: il lunedì, giorno della ripresa lavorativa, porta con sé un bagaglio di speranze, facili entusiasmi ma anche ansie e scadenze incombenti. Alternando affreschi in polvere di marmo e stucco a grandi sculture di bronzo, Henrot affronta il tema dando vita a una varietà di personaggi ibridi che incarnano quello stato di inconsolabile spleen che ci prende non appena realizziamo che una nuova settimana è alle porte. Viene quasi voglia di metterci a piangere come la figurina di A Long Face che si scioglie in lacrime e poi le raccoglie in due bicchieri già mezzi pieni.
“Monday, you can hold your head”, cantava ancora Smith: è lunedì, tutto ciò che puoi fare è startene con la testa tra le mani e aspettare che passi. Henrot sembra fargli eco con A Lie before Breakfast, l’immagine di una donna in poltrona infelice e pensierosa. Che sia una moderna Melencolia di Dürer impreparata ad affrontare gli appuntamenti segnati sull’agenda?
Nel 2013 Henrot presentava alla Biennale di Venezia Grosse Fatigue, opera premiata con il Leone d’argento. La fatica del titolo alludeva allo sforzo, vertiginoso e in fondo vano, di condensare in un video di tredici minuti l’intera storia dell’universo attraverso stratificazioni e salti tra teorie scientifiche e miti della creazione. Se quella sequenza di immagini trattava del tempo millenario dell’evoluzione e inevitabilmente si perdeva – mi si passi il gioco di parole – nella notte dei tempi, Monday mette in luce una percezione più umana del suo trascorrere: umana non solo perché è circoscritta al singolo giorno della settimana, ma anche perché è legata all’influenza che esso può avere sullo stato d’animo e quindi sulle nostre azioni più semplici. In mostra, su una piccola porzione di muro spicca una figura maschile a capo chino, intenta a sostenere con fatica sulle spalle un’enorme sfera blu. Benché non manchino le allusioni al mito di Atlante o a quello di Sisifo, in realtà il titolo A Dog’s Life rimette in gioco la nostra quotidianità riecheggiando alcuni comuni modi di dire: “che vita da cane”, oppure “lavorare come un cane”. La “grande fatica” stavolta è la nostra, a testa bassa davanti alla prospettiva di una settimana dura e piena di impegni.
Monday fa parte di un progetto espositivo più ampio che arriverà a comprendere i restanti giorni della settimana e sarà ultimato per la personale di Camille Henrot al Palais de Tokyo di Parigi in programma nel 2017. Circa l’evolversi delle prossime sei opere, tuttavia, l’artista ha scelto di restare ironicamente evasiva, dichiarando in una recente intervista: “non so dire molto altro. In fondo la settimana è lunga, e siamo appena a lunedì”.
Roberta Aureli

1971 Diary di Ian Breakwell

Presso la sede istituzionale del British Council di Roma, si conserva un’opera dell’artista inglese Ian Breakwell (Derby, 1943 – Londra, 2005).
Si tratta di 1971 Diary, parte del Continuous Diary iniziato nel 1965, manifesto della produzione del video-artista, scrittore e fotografo britannico, tutta incentrata sulla registrazione dello scorrere del tempo e, di riflesso, sul diario.
La particolarità della ricerca artistica portata avanti da Breakwell sta nel fatto che le sue pagine di diario non costituiscono una registrazione del suo vissuto personale. Al contrario, l’artista osserva, giorno per giorno, ciò che accade attorno a lui da un punto di vista privilegiato: una finestra del suo studio, collocato al terzo piano di uno stabile che si affaccia sullo Smithfiled Market di Londra, il più antico e grande mercato all’ingrosso della carne del Regno Unito.

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Pertanto le cose che Breakwell sceglie di annotare non sono eventi importanti, ma stranezze, bizzarrie, accadimenti fuori dall’ordinario: tutti episodi prelevati da quell’hortus conclusus che è lo Smithfiled Market, vero e proprio palcoscenico sul quale commercianti, venditori, clienti diventano attori inconsapevoli. Lo stesso Breakwell una volta ha dichiarato che i suoi diari sono una forma di finzione letteraria perché delle venti cose che succedono attorno a lui, egli ogni volta decide di registrarne due o, al massimo, tre.
Ciò che unisce tutte le sue annotazioni è il fatto che egli non descrive il contesto nel quale nascono gli eventi registrati, tralasciando i dettagli che potrebbero spiegare cosa, in realtà, egli ha osservato di preciso. Così facendo, Breakwell evidenzia l’elemento straniante ed assurdo dei brandelli di conversazioni annotate nelle agende, tutte riportate adoperando inchiostri dai colori sgargianti, così da conferire al testo una vivace visualizzazione spaziale che contrasti violentemente con il foglio standardizzato del diario.
Profilo biografico e selezione di  opere di Ian Breakwell sul sito del British Council
Michele Brescia

Giorni e ore di Marisa Volpi

Il tempo va avanti e niente come un diario segue l’accumularsi successivo dei giorni, una data dopo l’altra. Niente però come un diario può anche cogliere – insieme alla successione – le anomalie dello scorrere del tempo, le ripetizioni e i ritorni, l’emergere imprevedibile dei ricordi, il presente inspiegabile dei sogni, la forza sospensiva dello sguardo. È quello che fa il lunghissimo diario, scritto su decine di quaderni scolastici, da Marisa Volpi, storica dell’arte, critica e curatrice di mostre, insegnante universitaria e scrittrice, scomparsa il 13 maggio 2015 (era nata a Macerata nel 1928). Sono pile di quaderni che risalgono il tempo, dall’ultimo presente fino agli anni Quaranta, riempiti di annotazioni scritte di getto o in differita, che parlano di tutto: incontri, letture, viaggi, relazioni, sogni, “cose viste”, tutti i giorni di una vita raccontata contemporaneamente durante, dopo, a volte prima che accada. Queste pile di quaderni, con le loro migliaia di pagine (in parte pubblicate in riviste e poi nel volume Le ore, i giorni. Diari 1978-2007, Medusa Edizioni 2010), sono uno dei lasciti preziosi di Marisa Volpi.
Immagine 1Nata professionalmente come storica dell’arte, esperta sia della grande pittura classicista del Seicento e Settecento, sia dell’avanguardia novecentesca; sostenitrice degli artisti americani ed europei dell’Informale, del Pop, del concettuale, Marisa Volpi dal 1978 inizia a scrivere racconti, pubblicandoli su riviste e  in raccolte. Con una di queste, Il Maestro della betulla (Vallecchi), nel 1986 vince il premio Viareggio. I racconti si distinguono fra quelli di pura finzione e ambientazione attuale e quelli ispirati alle vicende biografiche e alle opere di artisti e artiste (soprattutto romantici, simbolisti, impressionisti) fra cui vengono in mente Monet e Manet, la pittrice Berthe Morisot, lo svizzero Arnold Böcklin, i Preraffaelliti inglesi.
Il gioco del tempo, in questi racconti, si svolge su tanti piani interpolati: il presente storico dei protagonisti, il  presente di lei, la scrittrice che racconta, il  passato dei fatti avvenuti e di nuovo il presente sempre rinnovato delle opere d’arte, osservate attraverso la scrittura.
Il tempo sta lì, intorno e dentro i desideri, gli amori e le perdite, le umiliazioni, i trionfi dei personaggi e della narratrice; il tempo è il quesito invisibile da cui comincia e ricomincia ogni pagina, dove non è raro incontrare il nome di Sant’Agostino, con i brani dalle Confessioni sulla consapevolezza indicibile del tempo, e quello di Emily Dickinson, la poetessa statunitense che ha accostato nei suoi versi  l’attimo e l’eternità.
Anche nel romanzo autobiografico La casa di via Tolmino (Garzanti 1993), in cui Marisa Volpi ricostruisce gli anni di formazione, fra la città natale di Macerata, Roma, in cui la famiglia si trasferisce, Firenze, dove va a studiare e diviene amica di Carla Lonzi, i tanti luoghi dei viaggi, l’andirivieni temporale è continuo, con sbalzi – nel giro di pochi capoversi – dalla “fine degli anni Quaranta” a “un giorno d’inverno”, per poi tornare indietro a “Sette anni prima”. E iperboli, come “Era in via Tolmino, forse un secolo fa”.
Anche nei saggi di storia dell’arte, anche in quelli più fedeli a un formato storico, la capacità di evocare diversi affacci temporali dà una dimensione narrativa alla lettura storico-artistica, che la rende inconfondibile e a suo modo esemplare. Ed entrambe le attività di Marisa Volpi, quella di storica dell’arte e quella di narratrice, si appoggiano alla stesura costante dei diari, che porta con sé, e affina, una competenza nei fenomeni del tempo. Il tempo percepito internamente, il tempo atmosferico, il tempo misurato da calendari e orologi, convergono nella casa romana della scrittrice, nella sua camera che, come “la cabina di lusso di un Concorde”, vola “verso ovest”, nel tempo che arriva e che passa,  e che si ripete, anche quando pare interrompersi per sempre.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Il sito www.marisavolpi.it con le notizie delle iniziative in corso 

 

Quadri e date in gioco: 19 aprile 2015, GNAM Roma

Girare per le sale della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (Gnam – viale delle Belle Arti, 131) con un elenco di date storiche – dall’antichità romana alla seconda guerra mondiale – in cerca dei dipinti che rappresentino gli eventi accaduti in quei giorni. Selezionare, dalla ricchissima collezione della Gnam, le opere, di qualunque materia e forma, che richiamino i mesi dell’anno, per costruire un calendario da condividere sul sito web della Galleria. E ancora, cercare le figure retoriche nelle immagini e nelle installazioni; individuare alfabeti nei segni; inventare pseudonimi sulla scia di Duchamp; seguire collegamenti personali e motivati fra opere lontane: sono i Giochi di Sala della Gnam di Roma, che si svolgeranno domenica 19 aprile 2015.
Proposti e ideati da Antonella Sbrilli (docente di Storia dell’arte contemporanea alla Sapienza), secondo l’idea di collocare le opere nello spazio, nel tempo e nella rete di connessioni che le collegano, rete che si rinnova a ogni nuovo sguardo di ciascun osservatore, i giochi sono stati messi a punto con Martina De Luca (Servizi educativi della Gnam), Paolo Castelli (Gnam), Elena Lago (corso magistrale di Storia dell’arte della Sapienza) e saranno condotti da una decina di studenti del Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo dell’ateneo romano.
La data di domenica 19 aprile corrisponde all’Educational Day, promosso dall’Amaci, con decine di iniziative in tutta Italia, con lo scopo di avvicinare il pubblico ai musei, rendendoli “centri di formazione permanente, luoghi di scambio e di crescita”.
bottobrunoeducationaldayAccompagnati dalla fotografia Silent Walk degli artisti Botto & Bruno (una figura nel paesaggio “silenziosa ma non passiva”) che fa da immagine-guida all’Educational Day, la Gnam e il Dipartimento di Storia dell’arte della Sapienza, per questa giornata, scelgono il gioco, inteso come partecipazione attiva, rielaborazione di regole, competizione, creatività, divertimento. E allora, come recita il quaderno di gioco che attende i partecipanti domenica 19 aprile 2015: “Benvenuti nelle sale della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, la più grande collezione d’arte dell’Ottocento e del Novecento in Italia, un museo carico di storia nazionale e internazionale, che conserva opere famose e riserva tante interessanti sorprese. Seguendo i percorsi proposti ne scopriremo insieme alcune e altre emergeranno dai vostri contributi”.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)
Gnam, viale della Belle Arti, 131, Roma – Domenica 19 aprile h. 10.30; 12.00; 15.30; 17.00
Prenotazione obbligatoria: : gnam.edu@gmail.com (max 20 persone a turno) – Tel. 06 32298219
La partecipazione è aperta a tutti, dai 16 anni circa in su, previa iscrizione. Qui le

info sul sito Gnam e il comunicato stampa.
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