Cavellini: il centenario di un genio, di Michele Brescia
Il centenario di un genio: lo strano caso di Guglielmo Achille Cavellini
di Michele Brescia
“Nel 2024 in una conferenza spiega come sia facile invertire il trascorrere del tempo”.
Nel curriculum di Guglielmo Achille Cavellini (1914 – 1990), fra gli iperbolici meriti che il collezionista e artista bresciano si attribuisce nell’ormai celebre voce enciclopedica redatta da sé medesimo, ritorna la sua eccentrica ossessione: l’autostoricizzazione, ovvero una febbrile attività autopromozionale finalizzata a celebrare in vita il suo genio. Un’impresa condotta sfidando il destino beffardo, il tempo che troppo spesso incensa gli artisti soltanto dopo la loro dipartita. “Io non voglio diventare famoso quando sono morto, io voglio diventare famoso quando sono vivo”.
Cavellini moriva il 20 novembre, ventiquattro anni fa, nel 1990. Ma il suo funerale era già stato celebrato il 17 ottobre 1979 quando l’artista realizza una performance in piazza Duomo a Brescia insieme al Gruppo Alternativo di Salerno. Durante l’esibizione, le ceneri dei suoi manifesti, bruciati nell’impeto di un’insolita damnatio memoriae in vita, vengono raccolte e convogliate all’interno di una galleria, dove una teoria di ceri accesi crea una sorta di cappella votiva. “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”: dove per “forte” con GAC vale l’accezione moderna di “divertente, bizzarro”.
Persino la morte trova così, nel felice incontro fra arte e vita, un posto d’onore nella singolare biografia di Cavellini, “uomo pittore” ancora tutto da riscoprire.
Ma chi era Guglielmo Achille Cavellini, o più semplicemente GAC? Prima di tutto, un grande collezionista dell’astrattismo italiano, un mecenate sensibile, colto e raffinato, capace di guadagnarsi l’affetto e la stima dei tanti amici artisti, sostenuti ed incoraggiati, nella loro ricerca, con infaticabile premura. A dimostrazione della sua straordinaria capacità di leggere in anticipo le tendenze del mercato dell’arte valga la rassegna Pittori moderni della Collezione Cavellini, allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1957. Ma è soprattutto come artista che Cavellini entra di diritto nella storia dell’arte del Novecento, elaborando un linguaggio artistico irriverente, dirompente nella sua giocosa impertinenza, nella sua caustica ironia, alla quale approda muovendosi con destrezza fra neodadaismo, performance e mail art.
L’artista italiano preferito da Andy Warhol (lo dichiara apertamente il grande interprete della Pop Art in un’intervista rilasciata alla rivista di settore «Fotografia italiana» nel novembre 1977) elabora una serie di iniziative protese ad esaltare il suo estro artistico, in una spirale autoreferenziale di narcisismo che, in realtà, cela una critica sfrontata al sistema dell’arte. In barba alle convenzioni imposte dalla critica, ai poteri forti che regolano il mercato dell’arte, con le sue stravaganti invenzioni, Cavellini riesce a mettere in luce tutte le contraddizioni di un mondo che rischia di mettere definitivamente a repentaglio l’autonomia dell’artista. Forse anche per questo, riesce a conquistarsi all’estero un’incredibile popolarità che, in Italia, invece, stenterà a raggiungere.
GAC incarna l’emblema dell’artista fuori dagli schemi, capace di sfuggire a qualsiasi categoria: ogni tentativo di ingabbiare dentro rigide classificazioni la sua produzione artistica risulta fallace, riduttiva, limitante. Un alieno (non a caso il giornalista Romano Battaglia lo annovera nella galleria di personaggi indimenticabili raccontati nel libro Vivono fra noi, pubblicato nel 1977) atterrato nel mondo sfavillante dell’arte. Un artista che intende sovvertire le regole del tempo, proiettandosi nel futuro, stabilendone i contorni, le forme, i colori, pur restando ancorato al presente contingente.
Fra le innumerevoli opere dell’artista bresciano rientranti nel filone dell’autostoricizzazione, ricordiamo la serie di francobolli realizzati utilizzando i ritratti eseguiti da alcuni dei grandi artisti a lui coevi, come Rotella e Ceroli; le 25 tele recanti il frontespizio di fantomatiche monografie dedicate, al suo genio artistico, dai grandi intellettuali della storia dell’umanità (“Le confessioni di Cavellini” di Sant’Agostino, solo per citarne una); le 24 lettere recapitategli da Van Gogh, frutto della sua magmatica e ironica inventiva.
Su tutte, però, spicca l’ideazione, nel 1971, di una retrospettiva personale da tenersi nel 2014, in concomitanza con il centenario dalla sua nascita, nel veneziano Palazzo Ducale e nei musei più prestigiosi del mondo. Per questa esposizione, immaginata da Cavellini per l’autunno di quest’anno, GAC elabora un’antesignana guerrilla marketing, realizzando manifesti, spille, francobolli che reclamizzano una mostra che, evidentemente, non avrà mai luogo. In realtà, se non fossero sorti dissidi insanabili fra gli eredi dell’artista, il sogno di Cavellini avrebbe potuto davvero tramutarsi in realtà al Mart di Rovereto: ma l’ipotesi di una vera retrospettiva, ad oggi, appare definitivamente tramontata. Nemo propheta in patria, verrebbe da dire, riprendendo il titolo di un suo libro d’artista. (m. b.)
Il sito del Centenario Cavellini.
Un evento nell’anno del centenario c’è: nella data anagrammatica del 04.12.2014, presso la Libreria Menabò di Milano (via Coni Zugna 39), si apre un tributo a GAC. Sono esposte opere, libri, documenti e foto dalla collezione di Aldo Spinelli, che firma anche il catalogo, ricordando i suoi incontri con Cavellini presso la Galleria Cenobio Visualità che nel 1972 espose i Manifesti del Centenario.