29 Dicembre

29 dicembre 2013

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Oki era l’unico viaggiatore in quel vagone. Sprofondato nel sedile, guardava distratto la poltrona sull’altro lato, che continuava a girare su se stessa. Non che girasse sempre nella medesima direzione o con la medesima velocità. Accelerava, rallentava, si arrestava di tanto in tanto e a volte rimaneva completamente  immobile per qualche minuto, poi riprendeva a girare nella direzione opposta. Guardando la poltrona che girava da sola nel vagone deserto Oki sentiva affiorare la solitudine stagnante in fondo al suo cuore, dove continuavano a fluttuare pensieri incerti. Era il ventinove dicembre. L’anno stava per finire. Oki aveva preso il treno perché voleva sentire il suono delle campane a Kyoto, nell’ultima notte dell’anno

Yasunari Kawabata, Bellezza e tristezza, 1965, tr. it. A. Suga, Einaudi 1983, p. 3

A due giorni dalla fine dell’anno, il celebre scrittore Oki sta viaggiando sul treno per Kyoto. Tutti gli anni, per capodanno, la radio trasmette i rintocchi delle campane di Kyoto e Oki vuole sentirli dal vivo. Ma non solo per questo ha intrapreso il viaggio. A Kyoto vive una donna con cui molti anni prima ha avuto una relazione, quando lei era una sedicenne e lui un uomo sposato. La storia era finita male, con un bambino nato morto e un tentativo di suicidio della ragazza. Dopo quella vicenda, Oki aveva pubblicato un libro di grande successo. Ora vuole rivedere la donna, che fa la pittrice e vive nel recinto di un tempio buddista. Per questo è sul treno, il 29 dicembre, mentre viene buio presto e il monte Fuji appare all’orizzonte. 

Dicono del libro
“L’arte, la contemplazione della natura, il mondo dei giovani, la fragilità dei sentimenti, l’omosessualità. Ma come in tutti i libri di Kawabata il senso nascosto è lo spietato incalzare del tempo”.

(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)

Altre storie che accadono oggi

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“… Fu l’effetto cumulativo di tutto questo che indusse Perry Parkhurst, il 29 dicembre, a prendere una decisione…”
Francis Scott Fitzgerald, La parte posteriore del cammello

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“… Tali, in certo senso, furono per me i giorni successivi a quel 29 dicembre, anzi sera, secondo 29 dicembre eterno della mia vita…”
Anna Maria Ortese, Il porto di Toledo

 

28 Dicembre

28 dicembre 2013

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Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case

Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, 1910, in Novelle per un anno, Giunti, 1994, vol. I, p. 572

In uno scompartimento di prima classe di un treno che percorre la Sicilia, i viaggiatori rievocano il terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908 e alcuni episodi di salvataggi ed eroismi che che accaddero in quella tragica occasione. Il professore protagonista della novella, però, ha un parere tutto suo sul tema dell’eroismo e sulle conseguenze di atti a prima vista sublimi. Più che esaltare l’attimo glorioso il professore considera l’evolversi successivo dei fatti, quando la vita ordinaria – passata l’emergenza – riprende il sopravvento. Come esempio porta se stesso, autore, anni prima, del coraggioso salvataggio di una famiglia di sei persone la cui riconoscenza, col tempo, è diventata una catena e un peso che ha rovinato la sua vita.

Dicono del libro
“Pubblicata nel ‘Corriere della sera’ del 10 aprile 1910; in La trappola, Milano, Treves, 1915; in L’uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922″.

(Dalla nota nell’ed. Giunti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte del 28 dicembre dell’anno 1713 ho fatto un sogno. Man mano che mostravo forza di volontà, anche il contenuto del sogno cambiava…”
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure

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“… Durante la notte dal 27 al 28 dicembre, il Nautilus abbandonò i paraggi di Vanikoro a grande velocità, facendo rotta per sud-ovest…”
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari

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“… Che cosa direbbe Goethe della veduta, che si ha da questa finestra, della strada invernale, male illuminata…”
Saul Bellow, L’uomo in bilico

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“… Lunedì 28 dicembre 1987. E torno così alla creazione di questo diario … Ho 12 anni,quasi 13. Sono scout…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo

 

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“… gli altri vecchietti lo seguivano con la distratta attenzione da 28 dicembre, giorno tradizionalmente riempitivo e privo di significato”
Marco Malvaldi,La tombola dei troiai

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“… Il 28 dicembre scorso, all’ora del tè, mi sono recato a Westminster, all’albergo dell’Elmo d’oro…”
Wu Ming, Manituana (segnalazione di @seanmichaelhall) 

 

27 Dicembre

27 dicembre 2013

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Così, la sera del 27 dicembre, si diresse verso le Petrovskie linii e, uscendo, mise nel manicotto la rivoltella di Rodja, carica e senza sicura, decisa a sparare contro Viktor Ippolitovic se lui le avesse risposto con un rifiuto, l’avesse fraintesa o comunque umiliata. Camminava per le vie festanti, in preda a un profondo turbamento, senza accorgersi di nulla intorno a sé. Nella sua testa già era echeggiato il colpo di pistola, non importava contro chi. Quello sparo era l’unica cosa di cui fosse cosciente. Seguitò a sentirlo per tutto il tragitto: era diretto contro Komarovskij, contro se stessa, contro il proprio destino, contro la quercia di Dupljanka, nella radura, col bersaglio intagliato nel tronco

Borìs Pasternàk, Il dottor Živago, 1957, tr. it. P. Zveteremich, ed cons. Feltrinelli, 1994, p. 67

Nelle case di Mosca, la sera del 27 dicembre di un anno al principio del Novecento, si festeggia la Festa dell’Albero di Natale ed è a una di queste feste che si sta recando la giovane Larisa Guichard, detta Lara. E non per prendere parte al rito tradizionale delle danze, delle luci e delle conversazioni. La sua intenzione è quella di sparare all’avvocato Komarovskij, un faccendiere che ha rovinato diverse persone, amante della madre e seduttore di Lara stessa. Nella fredda sera di dicembre, la ragazza cammina nella strada dei negozi, con la pistola del fratello nascosta nel manicotto e il desiderio di  compiere un gesto eversivo e liberatorio. Non riuscirà a uccidere Komarovskij, anzi la pallottola colpirà di striscio un altro ospite della festa e Lara, semisvenuta, attirerà l’attenzione e l’ammirazione di un giovane medico, Juri Živago, lì presente. È un giorno fatale, in cui si accavallano avvenimenti densi di conseguenze per le vite dei protagonisti, mentre intorno si preparano cambiamenti epocali durante i quali Lara e Juri si incontreranno e perderanno di vista diverse volte. 

Dicono del libro
“Borìs Pasternàk nacque ne 1890 a Mosca. Il suo ingresso nella vita intellettuale russa coincise con la moda del cubofuturismo e con le più accese esperienze di rinnovamento letterario. ma per quanto animato da un ansioso bisogno di ricerca, egli nn dimenticò mai la più genuina tradizione della su terra come testimonia l’opera poetica e, ancor meglio e di più, il romanzo. La sua poesia, così improduttiva ai fini della propaganda, non lo mise mai in buona luce presso le autorità; egli stesso , non per una ben individuata ragione di ordine politico, ma per un preciso bisogno di salvare la libertà dell’arte e del pensiero, sin dal 1930 visse in disparte nella sua dacia di Peredelkino, presso Mosca, dove morì nel 1960. Fu in questa volontaria solitudine che maturò e fu scritto Il dottor Živago”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 27 di dicembre fuggì di casa col piccolo…”
Saul Bellow, Il re della pioggia

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“… E’ il 27 dicembre. Sediamo sulle stesse sedie. Sul tavolo c’è la stessa teiera, gli stessi sottobicchieri sotto le tazze da tè…”
Peter Høeg, Il senso di Smilla per la neve

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“… Un 27 dicembre mi sposai. Un quadro di Paul Klee dedicato al numero 27 sintetizza le luci e le ombre della società segreta…”
Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile

26 Dicembre

26 dicembre 2013

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Il signor Willard mi portò in macchina sugli Adirondacks. Mi sentivo rimpinzata, ottusa e delusa, come sempre mi accade il giorno dopo Natale quasi che tutte le promesse, qualunque esse fossero: rami di pino, candele, regali avvolti in nastri d’oro e d’argento, fuoco del ceppo di betulla, tacchino natalizio e inni cantati al pianoforte mai si realizzassero. A Natale desideravo quasi di essere cattolica. Dapprima guidò il signor Willard, poi io. Non so di che parlassimo, e mentre ci lasciavamo alle spalle la campagna ormai sprofondata sotto precedenti nevicate e ci inoltravamo in un paesaggio ancora più squallido e gli abeti, di un verde così cupo da parer neri, scendevano a gruppi dalle grigie colline fino sull’orlo della strada, mi sentivo sempre più tetra

Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963, tr. it. D. Menicanti, Mondadori, 1979, p. 80

In un albergo di New York, città dove sta svolgendo uno stage in una rivista, la giovane Esther, aspirante scrittrice, sente risvegliarsi un dolore alla tibia. È un dolore profondo, che la riporta a un episodio altrettanto doloroso, accaduto durante le feste di Natale. Il suo amico Buddy Willard, studente di medicina con cui ha una contrastata relazione, è ricoverato in un ospedale sui monti Adirondack, per curare una malattia dei polmoni. Esther va a trovarlo insieme col padre di lui, il signor Willard, che guida la macchina nel paesaggio innevato. La ragazza, in realtà, vorrebbe tornare indietro, ma non riesce a farlo e prosegue il viaggio verso Buddy e verso un incidente con gli sci, in cui riporterà la frattura della gamba. Il viaggio si svolge il 26 dicembre,  il giorno successivo al Natale, giornata che riflette in pieno – con la sua atmosfera da giorno-dopo la festa – l’insoddisfazione di Esther in quel momento. 

Dicono del libro
“E se il giovane Holden fosse stato una ragazza? In un albergo di New York per sole donne Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto dalla rivista di moda più sofisticata, incomincia a sentirsi ‘come un cavallo da corsa in un mondo senza piste’. Intorno a lei, sopra di lei, l’America degli anni Cinquanta chiude una campana di vetro da cui sfugge a poco a poco l’aria. L’alternativa sta tra abbandonarsi al fascino soave della morte o ritrovarsi con la mente invasa dalle onde azzurre dell’elettroshock”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il secondo giorno delle feste natalizie non si distinse altrimenti dagli altri comuni della settimana…”

Thomas Mann, La montagna incantata

 

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“… Un giornale del mattino basterà sempre a darmi notizie di me: X…, 26 dicembre…”
André Breton, Nadja

 

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“… Così terminava il sunto di Stillman del libretto di Henry Dark, datato 26 dicembre 1690, settantesimo anniversario dello sbarco della Mayflower…”
Paul Auster, Città di vetro

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“… Il giorno di Santo Stefano furono avvistate le prime rondini…”
Arto Paasilinna, L’allegra apocalisse

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I Cani,Il pranzo di Santo Stefano (segnalazione di Laura Serranti  @lau_serr)

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25 Dicembre

25 dicembre 2013

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Terribile senso di desolazione. Incombeva su di me da anni. Se credessi nelle stelle dovrei credere che io fossi proprio sotto l’influenza di Saturno. Tutto quel che mi succedeva era troppo tardi per significare qualcosa. Fu così anche la mia nascita. Fissato per Natale, venni al mondo con mezz’ora di ritardo. Parve sempre a me che io dovevo essere il tipo di individuo che uno è destinato a diventare per esser nato il 25° giorno di dicembre. L’ammiraglio Dewey nacque in quel giorno, e così Gesù Cristo… forse anche Krishnamurti, ch’io sappia. Comunque questo ero il tipo che io dovevo essere

Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1987, p. 67

In Tropico del Capricorno, romanzo largamente autobiografico che prende il titolo dal segno zodiacale di questo periodo, lo scrittore americano Henry Miller (nato il 26 dicembre del 1891), si presenta sotto le spoglie del protagonista della storia. Un giovane inquieto e contraddittorio, che guarda spietatamente dentro di sé mentre vive, negli anni Venti, a New York, impiegato nell’ufficio del personale della Cosmodemonic Telegraph Company. In questa pagina il discorso cade sulla data di nascita, giorno fatale che può segnare tutto il destino futuro, delle persone comuni, come dei grandi della storia e della religione, Gesù compreso. 

Dicono del libro
“Miller ha affermato più d’una volta che il Tropico del Capricorno è la sua opera più importante, e molti critici lo considerano il suo capolavoro. le origini del libro sono antiche; racconta lo stesso Miller : ‘Nell’anno 1927, mentre ero ancora in America. e mi immaginavo di avere, come Abelardo, sofferto più dolorosamente di qualche comune mortale, stesi il piano per un grosso libro della mia vita che mi proponevo di scrivere un giorno. Ma fu solo nel 1938, a Parigi, che il primo frammento di quell’opera – l’inizio di una serie di romanzi autobiografici – apparve. Lo chiamai Tropico del Capricorno“.

(dalla Notizia nell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Non le venne in mente di voltare il foglio e di leggerlo. Avrebbe saputo allora che, tra le 4 e le 6 antimeridiane del 25 dicembre, il capitano MacWhirr…”

Joseph Conrad, Tifone

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“… Fu un Natale corto e freddo…”
Herman Melville, Moby Dick

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“… Ma ora, il giorno di Natale, il nostro Natale benedetto, se vi decideste a portare il pranzo al forno…”
George Eliot, La bella storia di Silas Marner

 

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“… Il giorno di Natale la signora Samzelius dà un grande pranzo a Ekebù…”
Selma Lagerlof, La saga di Gosta Berling

 

24 Dicembre

24 dicembre 2013

 

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Una mattina, all’alba (era il 24 dicembre 1744) Paul scorse, alzandosi, una bandiera bianca inalberata sul monte La découverte. Era il segnale di un bastimento che si vedeva in mare. Paul corse in città nella speranza che portasse notizie di Virginie, e vi rimase fino al ritorno del pilota del porto che era salito sul bastimento, secondo l’usanza, per procedere al riconoscimento. L’uomo non tornò fino alla sera. Riferì al governatore che il bastimento segnalato era il Saint-Géran, aveva una portata di settecento tonnellate ed era comandato dal capitano M. Aubin; si trovava a quattro leghe al largo, e avrebbe gettato l’ancora nelle acque di Port-Louis il pomeriggio del giorno seguente, in caso di vento favorevole. Per il momento di vento non ne tirava affatto

Bernardin de Saint-Pierre, Paul e Virginie, 1787 tr. it. R. Carifi, Bompiani, 1995, pp. 100-101

La vicenda di Paul e Virginie si svolge nel Settecento nell’isola Mauritius, dove i due protagonisti sono cresciuti insieme sin da piccoli. Figli di due donne francesi che hanno dovuto rifarsi una vita lontano dalla patria, i due giovani sono vissuti felicemente nella natura, ignari della civiltà, finché Virginie non è stata costretta a tornare in Francia per una questione di eredità. Dopo una lunga assenza, la ragazza ritorna all’isola, al suo piccolo paradiso e al suo innamorato. La nave ha affrontato la traversata nel periodo degli uragani ed è giunta in prossimità dell’isola il 24 dicembre, giornata afosa, col cielo coperto di nubi basse. È il segno che di lì a poco si scatenerà una tempesta, dalla quale non tutti i passeggeri della nave riusciranno a salvarsi. Malgrado gli sforzi di Paul, Virginie sarà travolta dalle acque a poca distanza dalla riva, nel caldo del dicembre australe. 

Dicono del libro
Paul e Virginie inizia con ‘le rovine di due piccole capanne’ e si conclude con l’immagine della ‘terra desolata’ dove giace il corpo di Virginie. Nella parabola disegnata da questa duplice rovina è come se la natura venisse sottratta al tempo e restituita a un tempo immobile  primordiale, esattamente come la morte trasforma l’amore dei due ragazzi in un assoluto”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… è nostra immutabile usanza – disse Mr Wardle – alla vigilia di Natale, stare insieme, domestici e tutti, come siamo adesso, e aspettare i 12 rintocchi che annunciano il Natale…”
Charles Dickens, Il Circolo Pickwick

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“… Ha già un’ora e mezzo di ritardo-fece Arthur in tono lamentoso. Bè, si sa, è la vigilia di Natale – disse Annie…”
David H. Lawrence, Figli e amanti  

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“… Mio padre mi aveva angariato per anni, e una vigilia di Natale, reso ostile dall’alcol, lo sfidai…”
John Fante, A ovest di Roma

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“… Nell’epoca della Colonia, le famiglie abbienti si riunivano il 24 dicembre intorno a una grande tavola…”
Isabel Allende, Eva Luna

23 Dicembre

23 dicembre 2013

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Anche nell’altro scatolone c’erano oggetti poco interessanti. Un’incisione vittoriana della cappella del King’s College. Una sveglia Waralarm da pochi soldi, regolata per suonare alle undici, in una custodia di fibra nera. Una radiolina. Un tocco accademico e una toga polverosa. Una boccetta d’inchiostro. Un telescopio. Una copia del “Times” del 23 dicembre 1942, piegata alla pagina del cruciverba che era stato compilato in due grafie diverse, una molto minuta e meticolosa, l’altra più arrotondata, probabilmente femminile. Sopra il cruciverba era scritto 2712815. E infine, in fondo allo scatolone, una carta che, aperta, risultò essere non dell’Inghilterra e nemmeno della Germania, come la signora Armstrong aveva sospettato e sperato, bensì del cielo notturno

Robert Harris, Enigma, 1995, tr. it. R. Rambelli, Mondadori, 1996, pp. 110-111

Dall’inizio della II guerra mondiale, il giovane matematico inglese Tom Jericho lavora a Bletchley Park, l’unità dei servizi segreti britannici destinata alla decifrazione dei messaggi in codice tedeschi, in particolare di quelli relativi alle missioni dei sottomarini U-Boot. All’inizio in pochi, gli addetti alla decrittazione dei messaggi sono aumentati col passare dei mesi, trasformando la residenza di Bletchley Park in un quartier generale dove si muovono – accanto al matematico Alan Turing – le menti più geniali della logica e dell’analisi dei linguaggi. I tedeschi cifrano i messaggi con una macchina chiamata Enigma, un congegno portatile in grado di trasformare il testo originale in un crittogramma, sfruttando un numero “astronomico, e tuttavia calcolabile” di permutazioni. Dalla decifrazione di questi messaggi dipende la navigazione dei convogli alleati nell’Atlantico e a Bletchley Park si lavora su macchine altrettanto potenti – dette Bombe – che possano trovare la chiave dei testi in tempo per salvare le navi. Dopo un crollo nervoso dovuto alla tensione, ai ritmi e alla responsabilità del proprio compito, Tom Jericho è stato mandato a Cambridge per un periodo di riposo, ma è presto richiamato in servizio. Gli scatoloni con le sue cose sono stati recapitati nella pensione dove risiederà e la padrona di casa, la signora Armstrong, curiosando fra libri e carte, vi trova una copia del Times del 23 dicembre, con il cruciverba compilato. Insieme con gli scacchi, il cruciverba è uno dei pochi passatempi di Jericho, che lo usa anche come verifica delle sue facoltà mentali, sovraffaticate dal lavoro. Il gioco delle parole crociate (come racconta Stefano Bartezzaghi nell’Orizzonte verticale) aveva fatto la sua comparsa negli Stati Uniti una trentina d’anni prima, il 21 dicembre del 1913;  dagli anni Venti aveva conquistato larga popolarità, e durante la guerra la sua storia si sarebbe intrecciata con quella dello spionaggio. Non pochi degli addetti di Bletchley Park furono reclutati fra enigmisti con un concorso su un quotidiano inglese. La pagina del Times nello scatolone di Tom Jericho risale all’antivigilia di Natale, a un momento di pausa in cui la ricerca della chiave –  sempre in bilico fra il caos e il significato -, è per qualche minuto trasferita alla soluzione di uno schema di parole crociate:  “un matematico, come un pittore o un poeta, è qualcuno che crea schemi”.  (an.s.)

Per giocare con il cruciverba a sorpresa dell’artista Aldo Spinelli, vai al post del 21_12

Dicono del libro
“Il romanzo è ambientato sullo sfondo di un evento storico reale. I messaggi della Marina tedesca citati nel testo sono tutti autentici. I personaggi, al contrario, sono interamente inventati”.
(Nota dell’autore nell’ed. Mondadori, op. cit.)
Sulle date in Enigma, vedi il post 4 marzo. Da Sherlock Holmes alla II guerra mondiale

Altre storie che accadono oggi

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“… Lo ammetto, mi vestii un po’ più in fretta del solito quella nevosa, ventosa, gelida notte. Era il 23 di dicembre, 197…”  Stephen King, Una storia d’inverno

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“… La Dalmazia è grande. Se non si sa esattamente in quale porto è nato il capitano Stalio, serve poco sapere quando, cioè il 23 dicembre 1854…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso

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“… una guida giornaliera ai programmi televisivi trasmessi da un’anonima città dell’emisfero settentrionale il 23 dicembre 1999 offre un’interessante prospettiva sulle origini del disastro …”
James G. Ballard, Una guida alla morte virtuale

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“… Era dicembre, l’antivigilia di uno di questi ultimi natali, e a Madrid faceva freddo, molto…”
Saramago, Una notte a Plaza Major

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“… Passò ancora qualche settimana, senza fornirmi risposte; poi, al mattino del 23 dicembre, presi un taxi per Roissy…”
Michel Huellebecq, Piattaforma

 

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“… Era il mezzogiorno del 23 dicembre. Fuori faceva freddo, il cielo era nuvoloso…”
Sarah Winman, Quando dio era un coniglio (segnalazione di Sandra Muzzolini)

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“… tra due giorni è Natale, non va bene e non va male…”
Francesco De Gregori, Natale (segnalazione di @LiviaVigorito, @GiuliAntonia, @lau_serr)

22 Dicembre

22 dicembre 2013

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Industriosi come api, se proprio non lievi come fate, i quattri pickwickiani si ritrovarono il mattino del ventiduesimo giorno di dicembre dell’anno di grazia nel quale furono intraprese e compiute le avventure qui fedelmente registrate. Natale era ormai prossimo, con tutta la sua schietta e franca letizia; era la stagione dell’ospitalità, della gioia, della bontà. L’anno vecchio, simile a un antico filosofo, si preparava a chiamare a raccolta i suoi amici e, fra tripudio di feste e giubilo, andarsene tranquillo e pacifico. Lieta e serena era quella stagione, e lieti e sereni erano almeno quattro dei tanti cuori esultanti per l’avvicinarsi di quel giorno. […] Ma presi dall’incanto del Natale, lasciamo aspettare al freddo sull’imperiale della diligenza per Muggleton, appena presa, Mr Pickwick e i suoi amici, tutti ben avvolti in cappotti, scialli, trapunte. Borse e sacche sono state caricate; Mr Weller e il postiglione si sforzano di far entrare nel bagagliaio anteriore un enorme merluzzo di gran lunga troppo grande per starci

Charles Dickens, Il circolo Pickwick, 1836-1837, tr. it. G. Lonza, Garzanti 1990, vol. I, pp.431-32

Dicono del libro
“Con Il Circolo Pickwick, capolavoro dell’umorismo, Dickens conquista una popolarità straordinaria. Pubblicato a dispense mensili, dalle 400 copie della prima puntata passò in breve tempo alle 40.000. La trama è poco più d’un pretesto per mettere in scena una città e il brulichìo incessante dei suoi abitanti: gentiluomini e ciarlatani, impiegati, sguatteri, burocrati e vetturini affollano le strade “alte” di Londra e i suoi quartieri poveri, sciamano tra i suoi palazzi, le locande, gli uffici, il tribunale e anche il carcere. Se ne ricava l’immagine idealizzata e nostalgica di un’Inghilterra eccentrica e cordiale, estrosa e ricca di umanità, non ancora frammentata nonostante l’affermarsi sempre più vistoso delle divisioni di classe”.

(Dalla scheda del libro nel sito Garzanti)

Altre storie che accadono oggi

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“… William era atteso a Portsmouth per il 24: il 22 sarebbe stato dunque l’ultimo giorno che avrebbe trascorso con loro…”
Jane Austen, Mansfield Park

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“… Turbin incominciò a morire durante la giornata del 22 di dicembre: una giornata opaca, bianca e tutta impregnata del riflesso del vicino Natale…”
Michail Bulgakov, La guardia bianca

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“… E infatti il 22 dicembre Cosimo Zaccaria, che alla pesca ci stava appassionato, si recò con canna e vermi sulla punta del molo di ponente…”
Andrea Camilleri, Par condicio

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“… ricorderò sempre la data, 22 dicembre, tutti in attesa del sorteggio della lotteria di Natale, io non giocavo …”
Almudena Grandes, Atlante di geografia umana

21 Dicembre

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21 dicembre 2013

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Era una giornata freddissima; perciò ella prese il trovatello e lo nascose nel cassettone della sua stanza. Il ventuno dicembre, a desinare, io stavo dicendo: “Bambine, è il solstizio d’inverno”,  e proprio allora dalle tubazioni del riscaldamento (il radiatore era sotto il buffet) giunse il vagito del neonato. Io abbassai la testa del mio berretto da caccia, di lana pesante, che portavo sempre a tavola, e per nascondere lo stupore mi misi a discorrere d’altro. Infatti Lily rideva, guardandomi con aria saputa, il labbro di sopra abbassato a coprire i denti, e in viso un caldo pallore. Guardai Ricey e vidi nei suoi occhi una tacita felicità

Saul Bellow, Il re della pioggia, 1958, tr. it. L. Bianciardi, ed. cons. Mondadori, 1984, p. 23

La scena si svolge verso la fine degli anni Cinquanta, in una città americana, a casa di Eugene Henderson, ricco e irrequieto discendente di una famiglia di pionieri. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, mentre la famiglia è a tavola, un vagito rivela che c’è un neonato nella stanza della figlia. È un bimbo trovato in una macchina, che rimarrà però poco a casa degli Henderson. Quel 21 dicembre, segnato dai preparativi per il Natale e dalla viva novità del bambino, è una delle ultime giornate trascorse da Henderson in famiglia. Di lì a poco, spinto dall’inquietudine, partirà all’improvviso per l’Africa, dove perderà la cognizione del tempo acquisendo un coraggio mai immaginato e il nome di Re della pioggia.

Dicono del libro
“Premio Nobel per la letteratura nel 1976, Saul Bellow racconta nel Il re della pioggia la vicenda di Eugene Henderson, un americano che, giunto a cinquantacinque anni pieno di donne, di figli e di denaro, fugge nel cuore dell’Africa alla ricerca di verità fondamentali sul mondo e su se stesso: ne emerge un ritratto fortemente comico, ma insieme inedito e corrosivo, del tradizionale ‘innocente’ americano”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… La mattina del lunedì, il ventun dicembre, scrisse a Lotte la lettera seguente, che dopo la sua morte fu rinvenuta sigillata sul suo scrittoio…” Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther

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“… uccisero due amanti giovani / su un’auto ferma al parco di Saint-Cloud / lungo il viale della Felicità / sul calar della sera / del ventuno dicembre / millenovecentocinquantasei…”
Salvatore Quasimodo, Notizia di cronaca

 

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“… Il freddo – fine d’anno: il 21 dicembre…”
Roberto Bazlen, Città grigia

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“… Era il mattino del 21 dicembre 1931. Sandusky era distante sessanta miglia, e Hector dormì per quasi tutto il viaggio…”
Paul Auster, Il libro delle illusioni

20 Dicembre

20 dicembre 2013

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La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo. Nel cielo, spinte da un vento fortissimo, correvano mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, che di quando in quando lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi ora brevi e secchi e ora interminabili delle folgori. Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sulle numerose navi ancorate al di là delle scogliere si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un’altissima rupe tagliata a picco sul mare due punti luminosi, due finestre illuminate. Chi mai vegliava a quell’ora nell’isola dei sanguinari pirati?

Emilio Salgari, Le Tigri di Mompracem, 1900 (pubbl. in volume), ed. cons. Newton Compton, 1976, p. 35

La sera del 20 dicembre Sandokan, giovane principe del Borneo spodestato, in lotta contro i soldati inglesi stanziati nell’isola di Labuan, attende il ritorno del suo amico, l’avventuriero portoghese Yanez de Gomera. È una data decisiva, che segna l’inizio di una lunga serie di avventure. È in quella sera che Sandokan decide di sfidare i suoi nemici nel loro stesso territorio, attirato dalla leggenda della Perla di Labuan, la bellissima Marianna Guillonk, per metà inglese e per metà italiana, e nipote di un capitano della Marina britannica. La pagina con la data è l’inizio della storia e si ritrova anche nel romanzo di Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana. Il protagonista, dopo un incidente che gli fatto dimenticare la sua vita – ma non i libri che ha letto -, torna nella casa dell’infanzia, in cerca di memorie. Fra albi di fumetti, volumi di Dumas, storie di Sherlock Holmes, ritrova una copia del romanzo di Salgari, col suo indimenticabile inizio:”La notte del 20 dicembre 1849, un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem…” (a.s.)

Dicono del libro
Le Tigri di Mompracem è infatti antecedente, comparve in 150 puntate con il titolo La Tigre della Malesia sulla Nuova Arena di Verona dall’ottobre 1883 al marzo 1884. Per quanto il romanzo sia stato raccolto in volume parecchio più tardi, nel 1900, e in una redazione alquanto modificata, rimane il fatto che l’avventura fantastica di Salgari e di Sandokan comincia da lì”.

(Dall’introduzione di S. Campailla all’ed. Newton Compton op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Per contrasto, alla sera, a letto, avevo aperto Le Tigri di Mompracem di Salgari: La notte del 20 dicembre 1849…”

Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana

 

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“… 20 dicembre è stato il destino di dover rattristare coloro ai quali sarei stato debitore di gioie…”
Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther

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“… Finalmente arrivò il 20 dicembre! Su tutto il piatto paesaggio era ora disteso il più perfetto dei tempi invernali…”
Mary Mapes Dodge, I pattini d’argento

 

 

19 Dicembre

19 dicembre 2013

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Il 19 dicembre 1853 partii da Saint Louis col treno della sera, diretto a Chicago. Non c’erano che ventotto passeggeri in tutto: non c’erano né donne né bambini. Eravamo di ottimo umore e facemmo ben presto buona conoscenza. Il viaggio si iniziò sotto lieti auspici, e credo che non un solo componente della comitiva avesse il benché minimo presentimento degli orrori che avremmo patito di lì a poco. Alle undici di sera cominciò a nevicare fitto. Poco dopo aver lasciato il piccolo villaggio di Welden ci inoltrammo in quella spaventosa prateria solitaria che si estende per leghe e leghe nel suo desolato squallore fino al campo di Jubilee. I venti, non ostacolati da alberi o da colli e neppure da rocce solitarie, sibilavano fieramente sulla pianura deserta, cacciando innanzi la neve come spruzzi di schiuma dalle onde crestate di un mare in tempesta. E la neve si accumulava rapidamente; si capiva, dalla diminuita velocità del treno, che la macchina si scavava un passaggio con difficoltà sempre crescente. E difatti, qualche volta si fermava addirittura, in mezzo a gran turbini di neve che si ammucchiavano lungo la linea come colossali monumenti funebri. La conversazione cominciò a languire

Mark Twain, Cannibalismo in treno, 1867 ca., tr. it. O. Previtali, in Il ranocchio saltatore e altri racconti, Rizzoli , 1950, p.108

Sul treno per Saint Louis, il narratore della storia incontra un uomo di mezza età, dall’aspetto mite e bonario, che inizia a raccontare un “capitolo segreto” della sua vita. Questa storia-nella-storia ha avuto inizio nella fredda sera del 19 dicembre sul treno diretto da Saint Louis a Chicago. Una tormenta eccezionale blocca il treno nella neve, in mezzo alla campagna deserta. Non c’è speranza di liberare la motrice e per i passeggeri si prospetta una lunga attesa, senza niente da mangiare e da bere. Con l’aumentare della fame, i viaggiatori prendono infine una decisione terribile, quella di sacrificare qualcuno del gruppo per mangiarlo. La decisione però, racconta l’uomo che – si viene a sapere – è stato anche un membro del Congresso, non è attuata con la violenza, ma attraverso le procedure di un paradossale dibattito in parlamento, con proposte, votazioni, obiezioni, dimissioni. Il racconto va avanti con l’elenco di tutti i viaggiatori cucinati, finché l’uomo non arriva alla sua stazione e scende. Sarà infine il controllare a chiarire ciò che è vero e ciò che immaginario, nella storia del viaggio in treno del 19 dicembre. 

Dicono del libro
“Dissimili tra loro per ambienti e per spunti (dall’America dei cercatori d’oro e degli interminabili viaggi transcontinentali alle isole incantate delle Bermude e alla Svizzera dei turisti; dal caricaturale mondo ottocentesco a quello del medioevo, più caricaturale ancora; da motivi tratti dalle contraddizioni della vita reale ad altri impostati sulla letteratura di maniera), questi nove racconti sono uniti tutti dalla medesima personalissima vena umoristica dell’autore”.

(Dalla Nota nell’ed. Rizzoli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…Così abbandonai l’isola il 19 dicembre, come potei constatare sul libro di bordo dell’anno 1686, dopo esservi rimasto per 28 anni , 2 mesi e 19 giorni…”
Daniel Defoe, Robinson Crusoe

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“… La sera del 19 dicembre, prima di andare a letto, uscii per vedere se sarebbe piovuto…”
Karen Blixen, La mia Africa

 

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“… 19 dicembre, 1961 Charles Wainwright era al telefono con un cliente di Omaha…”
Don DeLillo, Underworld

 

 

18 Dicembre

18 dicembre 2013

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Il 17 del mese di dicembre, Vincent Tuquedenne bevve un caffè, ossia un franco, pranzò per la cifra di cinque franchi e trenta, comprò un astuccio di tabacco da un franco e una scatola di fiammiferi controvento da zero franchi e venti centesimi, prese il métro due volte, ossia un franco, cenò per la cifra di sei franchi e dieci centesimi, e comprò il “Journal”. Quest’ultima spesa ammontava a zero franchi e quindici centesimi.
Il 18 partì per Le Havre perché c’erano le vacanze, e inoltre i suoi genitori traslocavano. A partire dal primo gennaio dovevano trovarsi in Rue de la Convention, da nonna Tuquedenne, a causa della crisi. Il giorno della partenza, andò a vedere un’ultima volta il mare; cercava di fumare una pipa che una pioggia insistente spegneva. In treno, i passeggeri parlavano di Landru

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed, cons. Newton Compton, 2007, pp. 57-58

Vincent Tuquedenne, un giovane “timido, anarco-individualista e ateo”, è arrivato a Parigi da Le Havre nel novembre del 1920, per studiare Lettere alla Sorbona. Trascorre le prime giornate parigine fra la stanzetta in affitto vicino alla stazione e il quartiere latino, in lunghe passeggiate senza meta e in conversazioni con un vecchio compagno di liceo sugli esami e gli ordinamenti, su Bergson e Nietzsche, lo spiritismo, la reincarnazione. Novembre passa così, con spese regolari per i pasti, il giornale, i fiammiferi, il métro, e qualche confronto con compagni di studio, da cui esce scontento di sé, valutandosi vigliacco nella discussione e constatando la propria inesperienza con le ragazze. Passa così anche la metà di dicembre e Tuquedenne si prepara a tornare a Le Havre per le vacanze di Natale, da cui rientrerà a gennaio con l’intera famiglia. Dopo la solita routine di pasti e spostamenti, prende il treno – dove la gente discute di cronaca nera – nella piovosa giornata del 18 dicembre. 

Dicono del libro
“Nella Parigi del quartiere latino, della Sorbona e dei piccoli caffè, giovani e vecchi ingannano il tempo tra conversazioni di filosofia e letteratura. E il tempo è il vero protagonista di questo gustoso romanzo, inteso ciclicamente come ritorno e alternanza ma anche come unica e ineludibile direzione che consegna l’uomo alla vecchiaia e alla morte. Ciascuno ha la propria idea e la propria prospettiva: gli studenti carichi di speranza, gli anziani frequentatori del café Soufflet, il barista astrologo perso nei suoi calcoli sulla fine imminente dell’universo, il malinconico poeta Tuquedenne. Gli ultimi giorni è un capolavoro di costruzione e incastro, in cui si intrecciano le storie, i racconti e le opinioni, narrati con stile sempre accorto e misurato, per restituire al lettore il senso multiforme, ora gioioso ora tragico, dello scorrere del tempo”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Newton Compton, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Vedo in tutto questo i cattivi castigati, sì; ma non ci trovo nessuna consolazione per le infelici vittime. Parigi, 18 dicembre 17**…”
Choderlos de Laclos, I legami pericolosi

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“… Dicembre 18, domenica. È con la maestra dalla penna rossa il nipotino del vecchio impiegato che fu colpito all’occhio dalla palla di neve di Garoffi..”

Edmondo De Amicis, Cuore

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“… 18 dicembre. Di primo mattino era grigio scuro. In tarda mattinata, grigio medio. A mezzogiorno, grigio chiaro…”
Daniel Glattauer, In città zero gradi

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18th of December,
The Deep Dark Wooods (segnalazione di Carmine Tretola @Citazionista)

17 Dicembre

17 dicembre 2013

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Verso la fine del primo trimestre ci fu il concerto di Natale. Il 17 dicembre. Frédérique suonò il pianoforte. Beethoven, Sonata Op.49, n.2. Fu applaudita. Nella sala ci fu un silenzio tombale, trattenuto. La direzione ai primi posti, le professoresse, la negretta. Frédérique entrò come un automa, suonò con una certa passione, si inchinò come un automa, e gli applausi non sembrarono sfiorare le sue orecchie. È stata una grande pianista, quel giorno prima di Natale, Frédérique? Io credo di sì. Il suo modo di apparire colpiva. Era senza emozione, senza vanità, senza modestia, come se seguisse le sue spoglie. Afferrò i suoi polsi e le mani suonarono. Impassibile, ma negli occhi e nella bocca qualcosa aleggiò di fuggitivo. Una violenza dell’anima per una rara volta trasfigurò il suo viso, pur immobile. Frédérique tornò al suo posto

Fleur Jaeggy, I beati anni del castigo, 1989, ed. cons. Adelphi 1993, p.40

Il calendario segna il 17 dicembre in un collegio femminile nel cantone svizzero dell’Appenzell, con le sue foreste di abeti e le distese di neve. L’istituto Bausler è frequentato da ricche adolescenti provenienti da tutto il mondo, immerse nella disciplina del collegio. Nascono fra loro amicizie e attrazioni, come accade alla narratrice della storia. Il suo ideale è incarnato da Frédérique, un’affascinante sedicenne francese, di poco più grande di lei. Alla carismatica  Frédérique è affidato il concerto che il 17 dicembre chiude il primo trimestre. La sonata opera 49 n. 2 di Beethoven, perfettamente eseguita, risuona nella sala insieme con gli applausi e rimarrà impressa – insieme con la data del 17 dicembre – nella memoria della narratrice. Quando, molti anni dopo, si troverà a raccontare di quel giorno, ecco che la radio, per caso, trasmette un concerto di Beethoven e lei si chiede “se Frédérique non mi stia perseguitando mentre scrivo di lei. Spengo la radio. E torna il silenzio”. 

Dicono del libro
“Intinta nell’inchiostro blu dell’adolescenza, la penna di Fleur Jaeggy è il bulino di un incisore che disegna le radici, i ramoscelli e i rami dell’albero della follia che cresce nello splendido isolamento del piccolo giardino svizzero della conoscenza fino a oscurare col suo fogliame ogni prospettiva. Una prosa straordinaria. Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’autrice: il resto della vita (Iosif Brodskij)”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Adelphi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 17 del mese di dicembre, Vincent Tuquedenne bevve un caffè, ossia un franco…”
Raymond Queneau, Gli ultimi giorni

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“… 17 dicembre. son salito sul ponte all’alba. Si costeggia la terra. Il verde s’è innalzato come una cortina che si prolunga all’infinito…”
Guido Gozzano, Verso la cuna del mondo

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“… Il 17 dicembre si avvicina come un treno ed è impossibile spostarsi…”
Matteo Cellini, Cate, io

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“… Toni innescò l’ultima carica a mezzogiorno del 17 dicembre. Tutti si allontanarono lungo il bordo della foresta…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso

16 Dicembre

16 dicembre 2013

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Che per seimila anni, e nessuno sa per quanti milioni di secoli prima, le grandi balene abbiano continuato a sfiatare su tutto il mare e a spruzzare e vaporare i giardini dell’abisso come tanti annaffiatoi e vaporizzatori, e che per qualche secolo passato migliaia di cacciatori siano stati vicinissimi alla fontana della balena a osservarne gli spruzzi e le sfiatate:  che tutto questo sia avvenuto e, intanto, fino a questo benedetto minuto (l’una e quindici primi e un quarto di secondi pomeridiani del 16 dicembre, A. D. 1851) permanga ancora un mistero se queste sfiatate sono, dopo tutto, davvero acqua o nulla più che vapore, è certo una cosa notevole

Herman Melville, Moby Dick o la Balena, 1851, tr. it. C. Pavese, ed. cons. Adelphi, 1994, p. 395

La lotta ingaggiata dal capitano Achab con la balena bianca, che gli ha strappato una gamba, è una resa dei conti fra titani: da una parte il baleniere mutilato, dall’altra un enorme cetaceo, Moby Dick, dalla forza formidabile. Tutto quello che riguarda le balene è epico, nel racconto che di questa lotta fa il marinaio Ismaele, imbarcato sulla baleniera di Achab, il Pequod. Le lance, gli attrezzi, gli uomini, i rituali della caccia, le leggende. Capitolo dopo capitolo, Ismaele illustra le abitudini e il carattere dei branchi e descrive il grande corpo dell’animale in tutti i dettagli. La fontana,  cioè  lo spruzzo che i cetacei emettono dallo “sfiatatoio” in cima alla testa, è l’oggetto di questa pagina. Siamo introdotti nell’apparato respiratorio della balena, nelle credenze dei marinai che temono il contatto con la “sfiatata”, nell’immagine dell’animale che “naviga solenne in un calmo mare tropicale, col capo enorme e dolce sovrastato da un baldacchino di vapori, originati dalle sue contemplazioni inesprimibili”. È un 16 dicembre, mentre Ismaele riflette sulla sfiatata delle balene ed era dicembre anche all’inizio della narrazione, quando lo stesso Ismaele aveva trovato alloggio allo “Spouter-Inn”, la Locanda dello Sfiatatoio.  

Dicono del libro
“Il primo capitolo di Moby Dick comincia con una dichiarazione non umana, ma angelica. Call me Ishmael: chiamatemi Ismaele, non già mi chiamo Ismaele. Non ha importanza il nome del protagonista narratore, ma ciò che egli simboleggia. Ismaele è l’uomo che si sa dotato di una superiorità non riconosciuta dal mondo: il primogenito di Abramo è un bastardo cacciato nel deserto, fra altri reietti; là impara a sopravvivere a questa morte, in perfetta solitudine, indurito contro le avversità”. Élemire Zolla

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Adelphi, op. cit)

Altre storie che accadono oggi

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“… sposata il 16 dicembre 1810 con Charles, figlio ed erede di Charles Musgrove…”
Jane Austen, Persuasione

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“… Chi, in quella grigia mattina del 16 dicembre 19.., si fosse introdotto furtivamente, e a proprio rischio e pericolo, nella camera in cui si svolge la scena…”
Achille Campanile, Se la luna mi porta fortuna

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“… Il 16 dicembre cominciavano per tradizione i preparativi per le feste di Natale, si chiudevano i conti colonici…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

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“… Mi chiamo Jason Taverner – disse all’impiegato. – Sono nato a Chicago, al Memorial Hospital, il 16 dicembre 1946…”
Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto

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“… Perché dovevo  dirlo. Almeno una volta. Anche al nulla. Era il 16 dicembre. Il freddo mi congelava le ossa…”
Jean-Claude Izzo, Solea

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“… Giornate così, dal tredici dicembre a questo venerdì sedici, piene di strani gerundi…”

Matteo Cellini, Cate, io (segnalazione di Feedbooks Italia)

pittura

“Le date… più passa il tempo e più divengono belle”
Alighiero Boetti (nato il 16 dicembre 1940)

15 Dicembre

15 dicembre 2013

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Il 15 dicembre era il centesimo compleanno del decano. Le sue figliole avevano lungamente atteso quel giorno, e avevano sempre desiderato festeggiarlo come se il loro caro padre fosse ancora tra i suoi discepoli. […] 
Grandi fiocchi di neve cadevano fitti, e i solchi lasciati dalla slitta erano rapidamente cancellati. Il generale Loewenhielm sedeva impassibile a fianco di sua zia, col mento affondato nell’alto bavero di pelliccia del pastrano. Quando il folletto dai capelli rossi ch’era al servizio di Babette aprì la porta della stanza da pranzo, e gli ospiti ne varcarono la soglia lentamente, questi non si tennero più per mano e rimasero in silenzio. Ma era un dolce silenzio, perché in ispirito essi si tenevano ancora per mano, cantando. Babette aveva messo una fila di candele in mezzo alla tavola, e quelle fiammelle brillavano contro le giacche e le vesti nere, e contro l’unica uniforme scarlatta, e si riflettevano nei chiari occhi umidi

Karen Blixen, Il pranzo di Babette, 1958, tr. it. P. Ojetti, in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.22, 34

Arrivata a casa delle sorelle Martina e Filippa nel 1871, dopo i fatti della Comune di Parigi, la cuoca francese Babette Hersant è al loro servizio da dodici anni. Nel paesino norvegese di Berlevaag, la vita è andata avanti tranquilla, regolata dalle abitudini di una comunità timorata di Dio che con gli anni ha accettato la presenza della straniera, senza però penetrarne mai del tutto il mistero. La data intorno alla quale i destini dei protagonisti si intrecciano è un 15 dicembre, anniversario della nascita del padre di Martina e Filippa, il decano, fondatore della setta religiosa a cui la comunità di Berlevaag si ispira. Le sorelle vorrebbero festeggiare quel giorno in modo sobrio e degno della memoria del padre, che avrebbe compiuto 100 anni. Intanto è accaduto l’imprevedebile: Babette ha vinto 10.000 franchi a una lotteria francese e ha chiesto  il permesso di partire per il suo paese. “Potevano sperare che ella sarebbe rimasta con loro oltre il 15 dicembre?” si chiedono le sorelle, non immaginando il piano che Babette ha in mente per la festa: la replica di un pranzo raffinatissimo a cui parteciperanno degli ospiti inattesi, chiudendo il cerchio di avvenimenti lontani.

Dicono del libro
“…non meno avvincente risulta la figura femminile al centro di Il pranzo di Babette, la cuoca comunarda che, al crollo dei suoi ideali rivoluzionari, è costretta a sacrificare tutto e a vivere esule (lei, ‘grande artista’) a contatto con un mondo grigio e frugale. Ma il potere visionario di Babette trionfa, paradossalmente e orgogliosamente, sulle miserie della quotidianità”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Natale, Capodanno, la Befana, quando verso il 15 dicembre comincio a sentire parlare di feste, tremo…”
Alberto Moravia, Il picche nicche

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“… Dopo il telegiornale della sera di lunedì 15 dicembre, Vivés uscì dalla fiaschetteria e si ritirò nell’ufficio della Cooperativa come se volesse meditare sui suoi fogli…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

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“… una mattina (poteva essere il quindici o il sedici dicembre) mi decisi ad alleviare la gravità dei suoi dubbi…”
Paul Auster, Mr Vertigo

pittura

Andrea Mastrovito, Martin Creed sunning himself on December 15 in Monfalcone, 2006

14 Dicembre

14 dicembre 2013

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Questo era avvenuto il 2 dicembre. Una settimana più tardi Bismarck giunse a Varzin e Innstetten previde che fino a Natale, e forse più oltre, egli non avrebbe più avuto una giornata di quiete. Il principe aveva una predilezione per lui ancora fin dai tempi di Versailles, e lo invitava spesso alla sua tavola, sia quando v’erano visite che da solo, perché Innstetten, parimenti notevole per la sua presenza ancora giovanile e l’acuta intelligenza, era anche nelle grazie della principessa.
Il 14  venne il primo invito. Nevicava, ed Innstetten decise di compiere in slitta le due ore di viaggio fino alla stazione, dove lo attendeva poi ancora un’ora di treno fino a Varzin.
“Non aspettarmi, Effi. Prima di mezzanotte non potrò essere di ritorno. E può darsi che si facciano le due o anche più tardi. Ma non verrò a disturbarti. Sta bene. e arrivederci a domattina”. Con queste parole montò sulla slitta e i due cavalli color isabella si diressero al galoppo attraverso la città alla stazione. Era il primo lungo distacco, quasi dodici ore. Povera Effi, come avrebbe passato la sera?

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti 1981, p.57

Effi Briest, una giovane ragazza tedesca spensierata e vivace, si è sposata con il barone von Innstetten, di parecchi anni più grande di lei. Dopo un viaggio di nozze in Italia, si è trasferita col marito nella cittadina settentrionale di Kessin, in un ambiente con poche distrazioni, e in una casa in cui stenta ad ambientarsi. A dicembre, il marito è richiamato fuori casa da impegni di lavoro ed Effi si trova ad affrontare da sola un tempo completamente vuoto, scandito dal ticchettio dell’orologio nella sala e dalla sola compagnia del cane.  La notte del 14 dicembre Effi sperimenta la paura di trovarsi in balia delle sue immaginazioni – fantasmi, presenze, suggestioni – che le impediscono sia di leggere, sia di addormentarsi, provocando, il giorno dopo, i rimproveri del marito e un’inquietudine che segnerà le vicende successive. 

Dicono del libro
Nel centenario della nascita, Thomas Mann rende omaggio a Fontane celebrando il suo capolavoro, Effi Briest: «Non si usa forse dire che nessuna costruzione prodotta dalla mano dell’uomo può essere perfetta? E invece, per quanto si possa essere propensi a esortare gli uomini alla modestia, l’affermazione è sbagliata, la cosa perfetta esiste: sognando, l’uomo che è artista ogni tanto la produce. Sono casi, come si è detto, fortunati e rarissimi; perché accada si rende necessaria un’incredibile benevolenza e grazia delle circostanze, fin le più sottili: ma se tutto torna, ecco che la cosa si forma, e il cristallo risulta puro. Fontane ha potuto godere nella sua vecchiaia la felicità e la malinconia di questa combinazione, che porta alla luce qualcosa di assoluto e di sommo».”

(Dalla scheda del libro nel sito Garzanti)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte tra il 13 e il 14 di dicembre le morte caserme del vicolo Brest-Livoskji si rianimarono…”
Michail Bulgakov, La guardia bianca

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“… Foglia d’oro (ginkgo): caduta da un libro, La verità su Terra, che Aqua mi ha dato prima di ritornare ala sua Casa. 14.XII.69…”
Vladimir Nabokov, Ada

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“… Qualche minuto dopo le 5 del pomeriggio di domenica 14 dicembre la Mercedes di Giocondini prendeva la salita del Pincio…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

13 Dicembre

13 dicembre 2013

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Alle ore 6 e 10 minuti del 13 dicembre la Mercedes di piazza dello chauffeur Giocondo Giocondini si staccava solenne dal portone degli Oddi-Semproni, percorreva, ancora con la prima marcia, l’ultimo tratto di via Ca’ Fante e poi entrava con cautela ma facilmente, a fari abbaglianti, nella discesa del Pincio. Lì tutti i viaggiatori guardarono in alto, tra i rami ancora neri degli ippocastani, per vedere cosa prometteva il tempo. Il cielo non si vedeva, mentre biancheggiava di fronte, e poi sul lato sinistro, il campo tra le Vigne e la Fortezza, apertissimo e alzato proprio come la lavagna civica di Subissoni: la neve sopra era intatta, anche se non arrivava dappertutto, appoggiata come uno scialletto, traforato e sfrangiato là dove il suo filo, specie ai margini, non riusciva a coprire qualche piccola gobba o qualche arbusto. – Il tempo lo vedremo bene a Fossombrone

Paolo Volponi, Il sipario ducale, 1975, ed. cons. Garzanti, 1979, p. 43

È il 13 dicembre del 1969, il giorno dopo l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, in piazza Fontana.  A Urbino, dove si svolge la storia del Sipario ducale, la notizia si è diffusa nelle case, nei caffè, nelle fiaschetterie, provocando reazioni visibili e invisibili nella vita della città e dei suoi abitanti. Un forte colpo, le bombe del 12 dicembre lo provocano nel professor Gaspare Subissoni, anarchico visionario, e nella sua compagna Vivés, conosciuta durante la guerra di Spagna. Dal giorno dopo divorano i giornali in cerca di informazioni e Vivés si lancia in un’indagine delle cause dell’attentato, progettando anche un viaggio a Milano, che non potrà compiere. Parallela si svolge la vicenda della nobile famiglia Oddi-Semproni, chiusa nel suo palazzo e nelle sue antiquate abitudini. Il 13 dicembre, gli Oddi-Semproni partono con l’autista per un viaggio di piacere verso la Puglia, mentre Vivés discute delle bombe di Milano con i facchini dell’ente comunale dei consumi, e la neve ricopre le strade trasformandole in lavagne bianche su cui scrivere.

Dicono del libro
“Il sipario ducale
è stato, nel ’75, l’avvio di una nuova fase nella narrativa di Volponi. Lo scrittore abbandonava la forma anche esteriormente piu diretta della prima persona, non per dimettere, ma anzi per offrirsi una maggior libertà di intervento e di giudizio. Tutto ciò sembrava richiesto da una materia incandescente, anche temporalmente concentrata (la storia dura nella misura classica di pochi giorni) in una data: quella cruciale del 12 dicembre 1969, con lo scoppio della bomba in piazza Fontana a Milano. Tuono che echeggia, qui, nella remota Urbino, microcosmo rinascimentale velato da un sipario che tutto copre, e attutisce forse, ma sotto cui fermentano l’utopia e la ribellione. L’evento agisce su due mondi diversi: quello del giovane conte Oddino Oddi-Semproni, attorniato da un insensibile coro di zie, e quello di una coppia di anarchici, il professore Gaspare Subissoni, visionario insoddisfatto, e la sua compagna Vivés”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nashe si rese conto che sarebbe stato possibile riportarsi a zero il giorno del suo compleanno, che cadeva il 13 dicembre…”
Paul Auster, La musica del caso

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“… Il 13 dicembre erano quasi arrivati a Shoshone e continuavano a salire verso il tetto delle Montagne Rocciose…”
Stephen King, L’ombra dello scorpione

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“… il 13 dicembre 1930 era la giornata inaugurale della sagra all’aperto che teniamo ogni anno…”
Fannie Flagg, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop

 

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Santa Lucia, Francesco De Gregori, Lucio Dalla (segnalazione di @laurauras, @ayradw)

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“… Il 13 dicembre Santa Lucia…”
Al Bano, 13 Storia d’oggi (segnalazione di @lauraleuzzi)

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“… È per te il 13 dicembre…”
Jovanotti, Per te (segnalazione di @benedetta_)

12 Dicembre

12 dicembre 2013

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Era il 12 dicembre del 1902, l’indomani li avrebbero liberati, da un’ora all’altra, senza preavviso, per  evitare che all’uscita del carcere, si organizzassero delle manifestazioni. Diciannove quanti erano, quattro o sei per volta, si abbracciarono e si strinsero le mani.
“Domattina ci si ritrova nei cantieri.”
“Ci sarà lavoro?”
“Ce lo daranno?”
“Speriamo”

Vasco Pratolini, Metello, 1955, ed. cons. Mondadori, 1965, pp. 349-350

Arrestato nell’estate del 1902 per uno sciopero al cantiere edile, durante il quale sono scoppiati dei gravi disordini, il muratore fiorentino Metello Salani ha compiuto trent’anni in carcere. È la seconda volta che va in galera. Fra i due arresti, Metello, che ha un carattere indipendente che non si tira indietro, ha maturato una coscienza politica e una maturità umana. Si è sposato con Ersilia e ha avuto un figlio di nome Libero. La notizia del rilascio arriva il 12 dicembre e quando esce dalle Murate,  Ersilia, incinta di sei mesi, lo aspetta fuori, sotto un cielo “pulito e compatto, con tutte le stelle e tre quarti di luna”. In mezzo alle grandi date della storia d’Italia e della città di Firenze,  risaltano – nella comunità di Metello – anche le date  degli scioperi e delle  vittorie salariali ottenute a caro prezzo, le date degli arresti e  quelle delle liberazioni, come questo 12 dicembre, quando i lavoratori si salutano dicendosi:  “Anche questa è passata”. 

Dicono del libro

Metello rievoca gli anni 1875 e il 1902, quando la classe operaia della giovanissima nazione, alla luce delle nuove dottrine socialiste, si univa al generale fermento di rivendicazioni che già scuotevano la società europea dell’ultimo Ottocento”:
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 12 dicembre 1747. Eventi straordinari si sono stranamente intrecciati alla mia vita…”
 Elisabeth Gaskell, La Clarissa

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“… Un giorno, il 12 dicembre 1845, verso le 9 di mattina, la cuoca gli aveva portato su in camera da letto una lettera…”
Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale

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“… il famoso colpo che trafisse il braccio al marchese di Gavaudan il 12 dicembre del 1885…”
Gabriele D’Annunzio, Il piacere

 

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“… E con occhi ispirati le due sorelle Oddi-Semproni, ognuna dalla sua finestra, guardavano quella notte del 12 dicembre ’69 disporsi nel loro giardino in rima gli alberelli…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

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“… Il 12 dicembre ’69, alle ore 16,47 le bombe (una bomba?) sono (è?) esplose a Milano presso la Filiale della Banca Nazionale Agricoltura in piazza Fontana (N?)…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

11 Dicembre

11 dicembre 2013

 

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Mercoledì 11 dicembre Quandt arrivò più tardi del solito e assai eccitato. Mentre rincasava da scuola aveva avuto un vivace alterco con un carrettiere, il quale aveva frustato crudelmente il proprio cavallo, che non riusciva a trascinare il pesante carico su per un’erta. Quandt gli aveva rivolto le proprie rimostranze, chiamando a testimoni di tanta inumana crudeltà alcuni passanti. Allora quell’omaccio l’aveva aggredito brandendo la frusta e urlandogli di andare all’inferno e non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano. — Grazie al cielo so come si chiama e ne farò rapporto al tenente di polizia, — concluse Quandt, e non si stancò di ripetere più e più volte come quel villano avesse continuato a tirare per la cavezza lo sfortunato ronzino, le cui vene si gonfiavano come corde sotto le magre costole. — Mascalzone — borbottava, — gl’insegnerò io a tormentar così un animale

Jacob Wassermann, Caspar Hauser, 1908, tr. it. L. Magliano, Rizzoli 1961, p.365

Un mercoledì undici dicembre di un anno dell’Ottocento, nella cittadina tedesca di Ansbach, il maestro di scuola Quandt racconta  un episodio che gli è capitato tornando a casa. Lo racconta a tavola, dove siedono la moglie e un giovane, che la famiglia ospita in casa da alcuni mesi. Il nome del giovane è Caspar Hauser e la sua storia misteriosa sta per giungere al termine, proprio in quel mese di dicembre. Di origini ignote, Caspar Hauser aveva fatto la sua comparsa a Norimberga nel 1828: un ragazzo sbucato dal nulla,  segregato fino ad allora nel buio di una stanza, ignaro della lingua e delle abitudini dei suoi contemporanei. Da allora, Caspar è stato ospite di diverse famiglie e oggetto di indagini e illazioni sulla sua provenienza, che lo danno a volte come un principe spodestato, a volte come un impostore. “Enigma del suo tempo”, Caspar Hauser passa gli ultimi mesi della sua vita in casa del maestro Quandt, un uomo pedante e di poca umanità. Il cavallo maltrattato di cui il maestro racconta quel giorno ricorda l’unica compagnia che Caspar Hauser ha avuto negli anni di segregazione, un cavallino di legno con cui ha trascorso un periodo indefinito, quando ancora – fuori della società – non aveva una cognizione del tempo. 

Dicono del libro
“È l’opera che segna la maturità artistica di Jacob Wassermann, lo scrittore tedesco tanto vicino a Thomas Mann: racconto che ha tutti gli aspetti del fantastico, nonostante sia attinto alla realtà storica. La vicenda centrale del libro, quella del giovane Caspar Hauser, la cui nascita e la cui morte furono avvolte nel mistero, e nel quale si credette di ravvisare un principi vittima di oscuri intrighi dinastici, ispirò non pochi drammi, liriche e romanzi: dei quali ultimi questo è indubbiamente il più suggestivo”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Era l’undici di dicembre. nella grande anticamera tappezzata in color cuoio scuro…”
Jens Peter Jacobsen, Maria Grubbe

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“… 11 dicembre Ho camminato, per un buon tratto, camminato…”
Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio

10 Dicembre

10 dicembre 2013

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Altri avrebbero potuto farci un libro di fantasia, un romanzo, intorno alle vicende che accaddero a Vigàta la sera del dieci dicembre milleottocentosettantaquattro, quando il teatro “Re d’Italia”, appena inaugurato, venne distrutto dalle fiamme poche ore dopo lo spettacolo d’apertura. Certamente al proposito d’un romanziere non poche occasioni si sarebbero prestate a sostenerne la robusta immaginazione, perché già da subito molti punti parvero oscuri, e proprio perché appresso non chiariti, lasciarono libero campo anche alle più avventate e deliranti supposizioni.
È per me quasi un dovere non cedere alle lusinghe dell’immaginazione, proprio perché io stesso, che all’epoca non avevo compiuto dieci anni, diedi per primo l’allarme a Montelusa

Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, 1995, ed. cons. Sellerio, Palermo, 2000, p. 222

La sera di “mercoledì addì 10 dicembre” – come annunciano i manifesti affissi sui muri – viene inaugurato il nuovo teatro di Vigàta, con la discussa rappresentazione dell’opera Il birraio di Preston del compositore Luigi Ricci. Su questa contrastata inaugurazione, e sulla data del 10 dicembre 1874, convergono le storie dei protagonisti maggiori e minori: il prefetto venuto dalla Toscana, il questore, il delegato all’ordine pubblico, e poi i malavitosi, i latitanti, i nobili decaduti, gli onorevoli, le mogli e anche un bambino di dieci anni, Gerd Hoffer, che apre e chiude circolarmente il racconto. È lui, in “una notte che faceva spavento”, ad avvisare il padre, ingegnere minerario e pompiere, che una strana luce emana da Vigàta: si tratta dell’incendio che devasta il teatro la sera dello spettacolo. E alla fine – in un capitolo che è l’ultimo, ma anche il primo –  è il bambino ormai cresciuto a dare una ennesima versione dei fatti accaduti quel 10 dicembre e raccontati, nel corso del libro, da diversi, compresenti, punti di vista. 

Dicono del libro
“Camilleri inventa poco delle vicende che trasforma sulla pagina in vorticosi caroselli di persone e fatti – qui il fatto vero, conosciuto dalla celebre Inchiesta sulle condizioni della Sicilia del 1875-76, è il susseguirsi di intrighi, delitti e tumulti seguiti alla incomprensibile determinazione del prefetto di Caltanissetta, il toscano Bortuzzi, di inaugurare il teatro di Caltanissetta con una sconosciuta opera lirica, Il birraio di Preston“.

(Dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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 “… Si mise in viaggio già il 10 dicembre. Prima della partenza disse all’amministratore: Sarò di nuovo qui in febbraio…”
Joseph Roth, La milleduesima notte

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“…Il 10 dicembre, verso mezzogiorno l’oceano si quietò di colpo nel suo moto instancabile…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso (segnalazione di Valeria Reali)

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“… Si stava suicidando a due settimane da Natale…”
George Saunders, Dieci dicembre

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“… 10 dicembre 1943 Sfilo queste pagine dalla fodera interna dell’uniforme, dove le tengo nascoste…”

Ruth Ozeki, Una storia per l’essere tempo