2 Luglio | 2 Juli

2 luglio 2024

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Ich stellte heut ein Horoskop,  sagte der Armenier, und da sah ich, daß dieser Abend mir etwas bringen wird. Saturn steht unheimlich, Mars neutral, Jupiter dominiert. Li Tai Pe, sind Sie nicht ein Julikind?
Ich bin am zweiten Juli geboren.
Ich dachte es. Ihre Sterne stehen verwirrt, Freund, nur Sie selbst könnten sie deuten. Fruchtbarkeit umgibt Sie wie eine Wolke, die nahe am Bersten ist. Seltsam stehen Ihre Sterne, Klingsor, Sie müssen es fühlen.

Hermann Hesse, Klingsors letzter Sommer, 1920

“Oggi ho tratto l’oroscopo” disse l’Armeno, “e ho veduto che questa sera deve portarmi qualcosa. Saturno minaccia, Marte è neutrale, Giove domina. O Klingsor Li Tai Pe, non siete voi un nato di luglio?”
“Son nato il 2 luglio.”
“Lo pensavo. C’è gran confusione nelle vostre stelle, amico, solo voi potreste interpretarle. La fecondità vi avvolge come una nuvola pronta a scoppiare. Le vostre stelle stanno in uno strano congiungimento, Klingsor; dovreste sentirlo”

Hermann Hesse, L’ultima estate di Klingsor, 1920, tr. it. B. Allason, in Romanzi, I Meridiani Mondadori 1977, p. 627

L’ultima estate del pittore Klingsor trascorre in una località “del sud” fra monti, boschi, vallate, distese di girasoli e amici, con cui parlare di arte e poesia. Il mese di luglio è particolarmente intenso per il pittore, che cerca di fissare i colori infuocati dell’estate al suo culmine, come se presentisse, di lì a poco, il volgere della stagione e della sua stessa vita. Del resto luglio è il suo mese, essendo nato – come veniamo a sapere dall’astrologo che gli fa l’oroscopo – il 2 di luglio. Lo stesso giorno in cui era nato, nel 1877, l’autore del romanzo, Hermann Hesse.

 

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I Luglio | July first

1 luglio 2024

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July first. It parts the year like the part in a head of hair. I had foreseen it as a boundary marker for me – yesterday one kind of me, tomorrow a different kind. I hd made my moves that could not be recalled. Time and incidents had played along, had seemed to collaborate with me. I did not ever draw virus down to hide what I was doing for myself. No one made me take the course I had chosen.


John Steinbeck, The Winter of Our Discontent, 1961

Primo luglio. Divide l’anno come la scriminatura divide una testa di capelli. Lo avevo previsto come un segno di confine: ieri un me, domani un me diverso. Avevo fatto le mie mosse, irripetibili. Tempo e incidenti erano entrati nel giuoco, erano parsi collaborare con me. Non avevo nemmeno cercato di nascondere a me stesso quel che stavo facendo. Nessuno mi aveva spinto a prendere la strada che avevo scelto

John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento, 1961, tr. it. L.Bianciardi, Mondadori ed. cons. 1991, p. 264

Il primo luglio del 1960 è una data spartiacque per Ethan Hawley, discendente di una famiglia di balenieri, un tempo proprietario di un negozio di alimentari nella cittadina di New Baytown e ora commesso nel negozio gestito da Marullo, immigrato negli Stati Uniti dalla Sicilia. Scontento della sua condizione, Ethan è ossessionato dal motto che i soldi fanno i soldi, poco importa che vengano da speculazioni, quiz televisivi truccati o bravura negli affari. Per tutto l’inverno ha meditato su come cambiare la vita sua e della sua famiglia, progettando addirittura una rapina in banca per i primi di luglio. La rapina non avrà luogo, ma molte cose cambieranno a partire da quella giornata estiva, quando “il confine orlato di luce a oriente era luglio, perché giugno se n’era andato via quella notte”.

 

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30 Giugno | 30 Juin

30 giugno 2024

« »Le lendemain, mardi 30 juin, à six heures, la descente fut reprise.
Nous suivions toujours la galerie de lave, véritable rampe naturelle, douce comme ces plans inclinés qui remplacent encore l’escalier dans les vieilles maisons. Ce fut ainsi jusqu’à midi dix- sept minutes, instant précis où nous rejoignîmes Hans, qui venait de s’arrêter.
« Ah ! s’écria mon oncle, nous sommes parvenus à l’extrémité de la cheminée. »
Je regardai autour de moi ; nous étions au centre d’un carrefour, auquel deux routes venaient aboutir, toutes deux sombres et étroites. Laquelle convenait-il de prendre?


Jules Verne, Voyage au centre de la terre, 1864

L’indomani, martedì 30 giugno, alle sei, la discesa riprese. Seguivamo sempre la galleria di lava, vera rampa naturale, dolce come quei piani inclinati che sostituiscono le scale in certi antichi palazzi. Continuammo così fino a mezzogiorno e diciassette minuti, l’istante preciso in cui Hans, che ci precedeva, si fermò.
– Ah, – esclamò mio zio, – siamo arrivati a una biforcazione!
Mi guardai intorno: eravamo al centro di uno slargo da cui partivano due strade, entrambe scure e strette. Quale scegliere?

Jules Verne, Viaggio al centro della Terra, 1864, tr. it. C. Fruttero e f. Lucentini, Einaudi 1989, p. 54

Le date hanno grande importanza nel Viaggio al centro della Terra. In un antico documento ritrovato dallo scienziato tedesco Lidenbrock nel maggio del 1863, si parla di un cratere, in Islanda, che conduce al centro del pianeta. Per identificarlo, bisogna seguire l’ombra proiettata su di esso da un monte, negli ultimi giorni di giugno. Lo scienziato, insieme al nipote Axel che racconta la storia, parte subito alla volta dell’Islanda e lì, identificato il cratere, ha inizio l’esplorazione, lungo strade e gallerie di lava, come questa in cui si trovano a mezzogiorno del 30 giugno, mentre scendono in direzione sud-est.

 

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29 Giugno

29 giugno 2024

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Sebbene, specie da principio, lo sforzo fosse durissimo, mi feci una sorta di punto d’onore di sottostare scupolosamente ai divieti di Micòl. Basti dire che essendomi laureato il 29 di giugno, ed avendo immediatamente ricevuto dal professor Ermanno un caldo bigliettino di felicitazioni nel quale era contenuto, tra l’altro, un invito a cena, credetti opportuno rispondere di no, che mi dispiaceva ma non potevo. Scrissi che avevo mal di gola, e che il papà mi proibiva di uscire la sera. La ragione vera del mio rifiuto, tuttavia, era che dei venti giorni di esilio impostimi da Micòl, ne erano trascorsi soltanto sedici

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, 1962, p. 241

Nella storia dell’amicizia del narratore con la famiglia Finzi-Contini – soprattutto con la giovane Micòl – nella Ferrara degli anni Venti e Trenta del Novecento, si incontrano poche date. Alcune richiamano avvenimenti storici, come le infauste leggi razziali contro gli Ebrei, emanate nel 1938. La data del 29 giugno appare verso la fine della vicenda, è il giorno della laurea del protagonista, la cui felicità è incrinata dalla promessa fatta a Micòl di non vedersi per un po’. Il 29 giugno richiama, come un chiasmo, il primo incontro fra i due giovani, nel giugno del ’29 quando il narratore, rimandato agli esami di licenza ginnasiale, era capitato sotto il muro di cinta della dimora dei Finzi-Contini. E Micòl, allora tredicenne, l’aveva invitato a scavalcare il muro per entrare nel giardino. Quando la vicenda viene raccontata, la famiglia Finzi-Contini è stata decimata dalla guerra e dall’Olocausto e il narratore si chiede: “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno?”

Il 29 giugno 2015 a Fahrenheit – Radio 3 Rai conversazione di Tommaso Giartosio con Alberto Bertoni, Roberto Pazzi e Antonella Sbrilli su Giorgio Bassani e i suoi 29 giugno (leggi razziali del 29 giugno 1939 e nascita del figlio dello scrittore).

 

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28 Giugno | 28 Juin

28 giugno 2024

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Lorsqu’il fut sur le trottoir, il demeura un instant immobile, se demandant ce qu’il allait faire. On était au 28 juin, et il lui restait juste en poche trois francs quarante pour finir le mois. Cela représentait deux dîners sans déjeuners, ou deux déjeuners sans dîners, au choix. Il réfléchit que les repas du matin étant de vingt-deux sous, au lieu de trente que coûtaient ceux du soir, il lui resterait, en se contentant des déjeuners, un franc vingt centimes de boni, ce qui représentait encore deux collations au pain et au saucisson, plus deux bocks sur le boulevard. C’était là sa grande dépense et son grand plaisir des nuits ; et il se mit à descendre la rue Notre-Dame-de-Lorette.

Guy de Maupassant, Bel-Ami, 1885

Quando fu sul marciapiede, rimase per un attimo immobile, incerto sul da farsi. Era il 28 di giugno, e gli restavano in tasca solo tre franchi e quaranta per tirare avanti fino alla fine del mese. Il che significava due pranzi senza colazione, o due colazioni senza pranzo, a scelta. Dato che i pasti del mattino costavano ventidue soldi rispetto ai trenta di quelli della sera, pensò che limitandosi ai primi gli sarebbe avanzato un franco e venti centesimi, la qual cosa significava altri due spuntini a base di pane e salame, più due boccali di birra sul boulevard. Ch’era poi tutta la spesa e tutto il piacere delle sue notti; e s’avviò lungo rue Notre-Dame de Lorette

Guy de Maupassant, Bel-Ami, 1885, tr. it. D. Selvatico Estense, Mondadori, 1993, p. 5

È una giornata calda come un forno a Parigi, il 28 giugno di un anno alla fine dell’Ottocento. Il giovane impiegato delle Ferrovie Georges Duroy, tornato dall’Algeria, con pochi soldi in tasca e molta sete, sta per incontrare l’amico ed ex commilitone Charles Forestier, che lo introdurrà nel mondo del giornalismo. Quel giorno di giugno comincia per Georges – detto Bel-Ami,amico del cuore – la personale discutibile scalata alla società parigina, dalla redazione del giornale La Vie Française, ai salotti della politica e della finanza, alle donne importanti, fra le quali anche la moglie dell’amico incontrato il 28 giugno, al principio della storia.

 

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27 Giugno | 27 Juin

27 giugno 2024

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Une fin d’après-midi radieuse. Un soleil presque sirupeux dans les rues paisibles de la Rive Gauche. Et partout, sur les visages, dans les mille bruits familiers de la rue, de la joie de vivre.
Il y a des jours ainsi, où l’existence est moins quotidienne et où les passants, sur les trottoirs, les tramways et les autos semblent jouer leur rôle dans une féerie.
C’était le 27 juin. Quand Maigret arriva à la poterne de la Santé, le factionnaire attendri regardait un petit chat blanc qui jouait avec le chien de la crémière.
Il doit y avoir des jours aussi où les pavés sont plus sonores. Les pas de Maigret résonnèrent dans la cour immense

Georges Simenon, La guinguette à deux sous, 1931 |

Un tardo pomeriggio radioso. Un sole quasi languido nelle strade tranquille della Rive Gauche. E ovunque la gioia di vivere, sui visi, nei mille rumori familiari della strada. 
Ci sono giorni come questo, in cui l’esistenza è meno banale, e i passanti sui marciapiedi, i tram e le auto sembrano uscire da una fiaba.
Era il 27 giugno. Quando Maigret arrivò alla postierla della Santé, la guardia osservava intenerita un gattino bianco che giocava con il cane della lattaia.
E ci sono giorni in cui anche il selciato dev’essere più sonoro. I passi di Maigret risuonarono nell’immenso cortile

Georges Simenon, La balera da due soldi, 1931, tr. it. E. Vicari, Adelphi e-book 2012

Come spesso accade nelle storie del commissario Maigret, l’atmosfera della giornata è una cornice in cui tutti gli eventi narrati si dispongono, sia i crimini che vengono commessi, sia la vita simultanea della città e soprattutto le mosse, i pensieri, i tragitti dello stesso commissario. Il 27 giugno – un giorno di luce straordinaria, che contrasta con il luogo in cui si dirige – Maigret varca la porta della prigione per incontrare il condannato a morte Jean Lenoir, per il quale quel 27 giugno è l’ultimo giorno. Ma l’incontro fra i due è anche l’ingresso in un’altra storia, accaduta anni prima e segnata da altre date da ricostruire, mentre l’estate si fa più calda e Maigret rimanda le ferie in campagna di giorno in giorno.

 

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26 Giugno

26 giugno 2024

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Una mattina calda, affannosa, il 26 del giugno, capitarono le prime notizie di una battaglia orribile: l’Austria era disfatta, diecimila morti, ventimila feriti, le bandiere perdute, Verona ancora nostra, ma vicina a cedere, come le altre fortezze, all’impeto infernale degli Italiani. 
Mio marito era in villa, e doveva starci una settimana. Suonai con furia; la cameriera non veniva; tornai a suonare; si presentò all’uscio il domestico. 
“Dormite tutti? maledetti poltroni. Fammi venire subito il cocchiere, ma subito, intendi?”
Qualche minuto dopo entrò Giacomo sbigottito, abbottonandosi la livrea.
“Da qui a Verona quante miglia ci sono?”

Camillo Boito, Senso, 1883, in Senso Storielle vane, Garzanti, 1990, pp. 359-60

La giovane e seducente contessa Livia, sposata a un uomo molto più anziano di lei, racconta nel suo diario (“lo scartafaccio segreto”) l’adulterio commesso con un ufficiale dell’esercito austriaco, Remigio Ruz. Sullo sfondo della guerra italo – austriaca del 1866, fra Venezia, Trento e Verona, si consuma la relazione della donna con il tenente, basata sull’interesse, da parte di lui, al denaro con cui pagare i vizi e l’esonero dalla vita militare. Il 26 giugno è il giorno fatale della vicenda, nel quale Livia, arrivate le notizie di una terribile battaglia (la data è prossima a quella della battaglia di Custoza, vinta dagli Austriaci, con ingenti perdite da entrambe le parti), decide di recarsi di sorpresa dall’amante a Verona. Trovatolo con un’altra donna, ricambia la sua slealtà con una denuncia ai superiori, segnandone così la fine, in poche ore di quel giugno afoso.

 

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25 Giugno | 25 juin

25 giugno 2024

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Vers quatre heures, ce 25 juin, tout semblait prêt pour le sacre de Talou VII, empereur du Ponukélé, roi du Drelchkaff.
Malgré le déclin du soleil, la chaleur restait accablante dans cette région de l’Afrique voisin de l’équateur, et chacun de nous se sentait lourdement incommodé par l’orageuse température, que ne modifiait aucune brise. Devant moi s’étendait l’immense place des Trophées, situé au coeur même d’Ejur, imposante capitale formée des cases sans nombre et baignée par l’océan Atlantique, dont j’entendais à ma gauche les lointains mugissements.


Raymond Roussel, Impressions d’Afrique, 1910

 

Verso le quattro di quel 25 giugno tutto sembrava pronto per la consacrazione di Talù VII, imperatore del Ponukelé, a re del Drelchkaff. Il sole era tramontato; il calore era tuttavia opprimente in quella regione dell’Africa vicina all’equatore, e tutti noi sentivamo il greve peso dell’aria temporalesca, che nessuna brezza alleviava. Davanti a me si stendeva l’immensa piazza dei Trofei, situata proprio nel cuore di Ejur, imponente capitale formata da innumerevoli capanne e bagnata dall’Oceano Atlantico, di cui sentivo alla mia sinistra i lontani muggiti

Raymond Roussel, Impressioni d’Africa, 1910, tr. it. L. Lovisetti Fuà, Rizzoli, 1964, p. 7

Con la consacrazione dell’imperatore Talù sulla piazza dei Trofei, che sta per avere luogo nel pomeriggio del 25 giugno in un paese africano, mentre arriva un temporale, ha inizio il libro Impressioni d’Africa dell’artista francese Raymond Roussel. Per nove capitoli sono descritte dettagliatamente le fasi della cerimonia e nominate persone e circostanze bizzarre e surreali. Quando si arriva verso la metà del libro, la storia torna indietro di qualche mese, al viaggio della nave Lycée, partita da Marsiglia nel marzo precedente e naufragata sulla costa atlantica dell’Africa. I viaggiatori sono introdotti uno per uno e si riconoscono alcuni dei dettagli nominati nella prima parte. Anche se niente è chiarito e le frasi mantengono un’aria estranea. Il racconto – come spiega lo stesso scrittore – è costruito attraverso un procedimento che segue le immagini prodotte dal suono delle parole, come accade nei rebus. E intanto arriva di nuovo il 25 giugno, le vingt cinque juin: una data, o un suono, scelta chissà per quale artificio o incontro casuale.

 

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24 Giugno

24 giugno 2024

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Il ventiquattro di giugno vedeva sorgere un’alba strana sulle case vecchie della città. Non si udivano, nella prima luce del giorno, le grida dei cassonieri o i camion diretti alle fabbriche, e nemmeno si alzavano le saracinesche dei negozi o sbattevano le persiane delle case. Silenzio fino a mezzogiorno, persino sulle osterie. Sembravano borgate di morti. Ma dietro le facciate impenetrabili, non era la morte, bensì l’attesa di un momento di vita vera, sfrenata, libera; perché la gente cercava di dormire qualche ora in più per essere più sveglia la notte quando, con il primo buio, le porte si spalancavano, le strade si illuminavano a giorno e la gente correva fuori, nelle strade, nei campi, sugli argini, verso le colline. Sull’erba si mangiava, si
beveva, ed era l’amore per se stesso quello che imponeva l’ebbrezza comune, libero da distinzioni, da pudori, dalle oscure radici dell’intimità e dell’egoismo. Era una follia antica, che s’interrompeva allorché dai campanili arrivava il suono della mezzanotte

Alberto Bevilacqua, La califfa, 1964, Rizzoli 1980, pp.69-70 (altra ed. I Meridiani Mondadori, 2010, pp. 238-239)

Nella Parma dei primi anni Sessanta rievocata nel romanzo La califfa (trasposto anche in film con Ugo Tognazzi e Romy Schneider), il 24 giugno è un giorno franco, in cui – per ventiquattro ore – le lotte operaie, le liti familiari, i contrasti accaniti fra le classi sono sospesi. Si celebra allora, fra gli abitanti della zona povera dell’Oltretorrente, un rituale misto di fede e superstizione, appena tollerato dai preti: “loro credono che per San Giovanni, la notte del ventiquattro di giugno…gli cada in testa la manna. La manna dal cielo… che li renda fortunati come un terno al lotto”. È un momento di vita sfrenata, che somiglia al carattere della protagonista Irene Corsini, detta Califfa, nel senso di donna dominatrice e spregiudicata. Molte vicende la attendono, fra cui la morte del marito e la relazione con il padrone della fabbrica, appena dopo quella data magica del 24 giugno.

 

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23 Giugno

23 giugno 2024

Una pagina speciale per un giorno – il 23 giugno – che compare sia nel romanzo di Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso, sia ne Il pendolo di Foucault di Umberto Eco.  Stefano Bartezzaghi ha scritto per Diconodioggi un commento speciale, che segue questa data nelle due storie, in tempi diversi, nella stessa città di Parigi. 

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È il 23 giugno millenovecentosettantacinque, e stanno per scoccare le otto. Seduto davanti al suo puzzle, Bartlebooth è morto.
Sul panno del tavolo, chissà dove nel cielo crepuscolare del quattrocentonovantesimo puzzle, lo spazio nero dell’unico pezzo non ancora posato disegna la sagoma quasi perfetta di una X

Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso, 1978, tr. it. D. Selvatico Estense, ed. cons. Rizzoli 1989, pp. 501-502

 

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È il 23 giugno, ed è Parigi. Siamo nel XVII arrondissement, due isolati a nord del Parc Monceau. La casa è un palazzo di sette piani, compreso il rez-de-chaussée, più due piani di chambres de bonne, più il piano interrato delle cantine. Siamo nell’ora fra il lusco e il brusco, alla fine di un pomeriggio estivo: nel palazzo si svolgono ancora attività, la portinaia ha cambiato delle valvole, un tecnico si occupa della caldaia, in un appartamento si stanno ultimando i preparativi di un party, qualcuno cena già; è una delle giornate più lunghe dell’anno e a Parigi ci sarà ancora luce fino a oltre le ventidue.
«Manca poco alle otto di sera… Presto saranno le otto di sera… Fra poco saranno le otto di sera… Sono quasi le otto di sera … Fra un attimo saranno le otto di sera… Stanno per scoccare le otto di sera»: è nell’incipit appena variato degli ultimi sei paragrafi che Georges Perec fa in modo che il lettore che sta per voltare l’ultima pagina del suo romanzo La Vita istruzioni per l’uso (così il titolo, senza virgole punti o trattini; edizione originale 1978) si accorga che il romanzo si espande verso il passato a partire da un solo, luminescente punto temporale: appunto le otto meno pochi minuti o istanti del 23 giugno 1975. È in quel momento che l’occhio del narratore ha fatto a meno della facciata del palazzo sito all’11 di rue Simon-Crubélier (una via immaginaria che taglia in diagonale un quadrilatero di vie realmente esistenti) e ha esplorato gli ambienti che danno verso la strada: dieci per ognuno dei dieci piani, per un totale di novantanove capitoli, perché in Perec c’è sempre un elemento che sparisce. Le vite delle persone che occupano o occuparono quegli ambienti hanno lasciato tracce nella griglia del caseggiato, griglia che ricorda una cassetta da tipografi, o anche uno dei cruciverba di cui Perec era autore e che spesso erano proprio del formato 10 x 10. Un altro legame tra questo libro e il cruciverba è il fatto che proprio grazie a un contratto per fornire un cruciverba settimanale al giornale Le Point Perec ha potuto abbandonare il suo lavoro da documentalista in un istituto scientifico e scrivere così il romanzo che aveva in mente da tempo. Persone al posto delle lettere, incroci di storie anziché di parole; un istante, prima delle otto di sera, contiene la memoria e il racconto di centosette vicende umane (se non ho sbagliato a contare) che in media non demeritano l’aggettivo «rocambolesco», e si riavvolgono da quel 1975 al 1833. (Stefano Bartezzaghi)

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In quel momento, alle quattro del pomeriggio del 23 giugno, il Pendolo smorzava la propria velocità a un’estremità del piano d’oscillazione, per ricadere indolente verso il centro, acquistar velocità a metà del suo percorso, sciabolare confidente nell’occulto quadrato delle forze che ne segnava il destino

Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, 1988, Bompiani 1988, p.10

Ora teniamo ferma la data del 23 giugno ma spostiamoci di nove anni e tre arrondissement (a Sud-Est) più in là. Ora siamo nel III°, 292 rue Saint-Martin, ed è il 1984 (l’anno, peraltro, in cui il romanzo di Perec uscì in traduzione italiana). «Pim» Casaubon (Pim è un nomignolo, il primo nome del personaggio non è noto) è chiuso dalle cinque del pomeriggio nella garitta di un periscopio del Conservatoire des Arts et Métiers, dopo l’orario di chiusura, a qualche sala di distanza dal Pendolo di Foucault che da titolo al romanzo di Umberto Eco che stiamo leggendo ora. Mentre il tempo scorre lentamente Casaubon ci racconta una storia che aveva avuto inizio nel 1972: l’invenzione giocosa e l’incredibile avveramento di un piano esoterico che a partire dai Templari avrebbe coinvolto tutte le sette, i cabalismi, le alchimie, gli ermetismi, i complotti, il «Pensiero Pirla» (così lo stesso Eco, nei corsi universitari che teneva all’epoca della stesura del romanzo) dell’Occidente e non solo di quello. All’ora in cui nove anni prima Perec aveva scattato la sua istantanea, Casaubon è ancora chiuso vicino al periscopio, a ricapitolare la sua vicenda: ne uscirà verso le dieci di sera, e il romanzo che ha appena rievocato entrerà in presa diretta nella cronaca dei terribili eventi che lo concludono.

Per due volte, a Parigi, in due sere del 23 giugno, il tempo della narrazione ha concentrato in un punto le storie che attraversano i piani edilizi immaginati da Perec, i piani ermetici immaginati da Eco: sincronia di diacronie, giorno che contiene decenni e secoli, tempo nel tempo. (Stefano Bartezzaghi)

22 Giugno | June the 22nd

22 giugno 2024

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Marie Rogêt left the residence of her mother, in the Rue Pavée St. Andrée, about nine o’clock in the morning of Sunday June the twenty-second, 18—. In going out, she gave notice to a Monsieur Jacques St. Eustache, (*7) and to him only, of her intent intention to spend the day with an aunt who resided in the Rue des Drâmes. The Rue des Drâmes is a short and narrow but populous thoroughfare, not far from the banks of the river, and at a distance of some two miles, in the most direct course possible, from the pension of Madame Rogêt. St. Eustache was the accepted suitor of Marie, and lodged, as well as took his meals, at the pension. He was to have gone for his betrothed at dusk, and to have escorted her home. In the afternoon, however, it came on to rain heavily; and, supposing that she would remain all night at her aunt’s, (as she had done under similar circumstances before,) he did not think it necessary to keep his promise

Edgar Allan Poe, The Mystery of Mary Roget, 1842

Marie Roget aveva lasciato l’abitazione della madre, in Rue pavé Saint-André, la domenica 22 giugno 18.., alle nove circa del mattino. Uscendo, aveva informato un certo Monsieur St. Eustache, e lui solo, di passare la giornata con una zia che risiedeva nella Rue des Drômes, che è un’arteria breve ma affollata, non lontana dalle rive del fiume e a una distanza di due miglia in linea d’aria dalla pensione di Marie Roget. St. Eustache era il corteggiatore ufficiale di Marie, che alloggiava e prendeva i pasti alla pensione. Egli doveva andare prima di sera a riprendere e riaccompagnare la ragazza. Nel pomeriggio tuttavia si mise a piovere dirottamente e, nella supposizione che essa sarebbe rimasta la notte con la zia (come altre volte aveva fatto in circostanze analoghe) egli non ritenne necessario di mantenere la promessa

Edgar Allan Poe, Il mistero di Marie Roget, 1842, tr. it. G. Cambon e A. Guidi, in Racconti, Garzanti, 1982, p.350

Il mistero di Marie Roget è uno dei casi polizieschi a cui si dedica Auguste Dupin, gentiluomo francese, le cui capacità logiche e intuitive gli consentono di venire a capo di enigmi e problemi, rivelandone il funzionamento nascosto. Nel caso della morte di Marie, una giovane ritrovata nella Senna, Dupin si accorge di indizi tralasciati dagli investigatori. Ripercorre circostanze passate della vita della ragazza, che a ventidue anni era stata assunta come commessa in una profumeria del centro. In passato, la giovane era già scomparsa di casa per alcuni giorni senza rivelare il motivo ed è analizzando questo episodio all’apparenza secondario, le cronache apparse sui giornali, così come le mosse fatte nella giornata della scomparsa, il 22 giugno, che Dupin smonta e rimonta i meccanismi sia del caso (ispirato a un fatto realmente accaduto a New York) sia dell’indagine che lo affronta.  

 

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21 Giugno | 21. Juni

21 giugno 2024

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“Selbstverständlich.”
“Nein, das ist eine Eulenspiegel! Im Winter wachsen die Tage, und wenn der längste kommt, 21. Juni, Sommersanfang, dann geht es schon wieder bergab, sie werden schon wieder kürzer, und es geht gegen den Winter. Du nennst das selbstverständlich, aber wenn mal davon absieht, dass es selbstverständlich ist, dann kann einem angst und bange werden, momentweise, und man möchte krampfhaft nach etwas greifen. Es ist, als ob Eulenspiegel es so eingerichtet hätte, dass zu Wintersanfang eigentlich der Frühling beginnt und zu Sommersanfang eigentlich der Herbst… Man wird ja an der Nase herumgezogen, im Kreise herumgehockt mit der Aussicht auf etwas, was schon wieder Wendepunkt ist… Wendepunkt im Kreise. Denn das sind lauter ausdehnungslose Wendepunkte, woraus der Kreise besteht, die Biegung ist unlesbar, es gibt keine Richtungsdauer, und die Ewigkeit ist nicht ‘geradeaus, geradeaus’, sondern ‘Karussell, Karussell.”

Thomas Mann, Die Zauberberg, 1924

“Naturale!”
“Niente affatto, è una beffa, invece! A partire dall’inverno i giorni si allungano, e quando arriva il più lungo di essi, il 21 giugno, ossia l’inizio dell’estate, subito cominciano a calare, si accorciano e si va verso l’inverno. Tu dici che tutto questo è naturale, ma se provi a prescindere dall’idea che sia naturale, rischi, a tratti, di provare angoscia e paura, e con tutte le tue forze vorresti aggrapparti a qualcosa. È come se un burlone avesse arrangiato le cose in modo tale da far cominciare la primavera all’inizio dell’inverno e l’autunno all’inizio dell’estate… Veniamo menati per il naso e presi letteralmente in giro dalla speranza di qualcosa che è nuovamente una svolta… una svolta in un cerchio. E infatti il cerchio consiste solo di svolte che non hanno estensione, la curvatura non è misurabile, la direzione è priva di durata, e l’eternità non è ‘avanti, sempre avanti’, bensì ‘in tondo, sempre in tondo’.”

Thomas Mann, La montagna magica, 1924, tr. it. R. Colorni, Mondadori 2010, ed. cons. 2011, p. 547

Ventuno giorni doveva durare la visita di Hans Castorp al cugino Joachim, malato di tubercolosi e ricoverato in un sanatorio sulle Alpi svizzere. Ma proprio prima di ripartire, Hans si scopre anch’egli ammalato e rimane nella casa di cura per anni, stringendo relazioni con gli altri ospiti e acquisendo il ritmo cadenzato e dilatato della vita sulla montagna magica, o incantata. Il mistero del tempo si introduce in ogni discorso, dalla domanda “Che cos’è mai un giorno?”, alla descrizione delle stagioni che “si confondono, per così dire, e non si attengono al calendario”, fino alle riflessioni come questa sul paradosso del 21 giugno.   

 

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20 Giugno

20 giugno 2024

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Per il 20 giugno 1845 era stata fissata, già da tempo, l’inaugurazione della nuova strada di 80 chilometri tra la capitale e San Piero, grosso paese di 40.000 abitanti sito quasi ai confini del regno, in posizione isolata, tra spopolate lande. Il lavoro era stato iniziato dal vecchio governatore. Il nuovo, eletto da appena due mesi, non si era eccessivamente interessato dell’impresa e col pretesto di un’indisposizione si fece rappresentare alla cerimonia dal conte Carlo Mortimer, ministro degli Interni. Il viaggio inaugurale avvenne sebbene la strada non fosse completamente pronta e negli ultimi venti chilometri, verso San Piero, consistesse ancora in una rudimentale massicciata; ma il direttore dei lavori garantì che le carrozze sarebbero potute arrivare fino in fondo. D’altra parte non sembrò opportuno rinviare una cerimonia tanto attesa

Dino Buzzati, L’inaugurazione della strada, in Sessanta racconti, 1958, ed. cons. Mondadori, 1994, p. 365

Grandi feste sono pronte per il 20 giugno nella cittadina di San Piero, per l’apertura della strada che la unisce alla capitale del regno. Almeno così credono i viaggiatori che si sono avviati in carrozza e a cavallo lungo la nuova strada per assistere ai festeggiamenti. Ma la strada si fa sempre più disagevole e incerta, finché non scompare del tutto, mentre la cittadina di San Piero resta ancora invisibile all’orizzonte. Alcuni viaggiatori tornano indietro, i cavalli si rifiutano di proseguire. Come in un sortilegio, più distanza si percorre, più la mèta – sotto il sole caldo di giugno – si allontana, in un deserto “che sembrava dovesse continuare in eterno”.

 

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19 Giugno

19 giugno 2024

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Oggi posso farlo. Per la prima volta oggi, 19 giugno 1913, alle ore 11, poiché mi innalzo al di sopra della Morte, contemplo senza bisogno di protezione il fulgore del sole col massimo entusiasmo di vivere. Lascia che il sole sfolgori tumultuoso, lascialo traboccare mi dico – che debordi pure, con la sua luce e il suo calore: può pure essere più grande di me, ma non più forte – non oggi almeno

Ernst Weiss, L’Aristocratico, 1928, tr. it. M. De Pasquale, edizioni e/o, 1985, p. 42

Le vicende narrate nel racconto si svolgono fra il giugno e l’agosto del 1913, periodo in cui si compie la formazione del protagonista. Il giovane Boëtius, discendente di una famiglia aristocratica decaduta, in quell’estate termina i suoi studi e sceglie, uscito dal collegio, di andare a lavorare in una fabbrica di turbine, passando così da origini principesche a una condizione operaia. Il 19 giugno il ragazzo, che si trova ancora nel collegio, riesce a domare un cavallo nel maneggio della scuola, mettendo così alla prova il suo coraggio, che dovrà usare anche in altre occasioni, in quello stesso giorno e nei successivi. È una giornata indimenticabile – come ripete più volte – sospesa nel primo caldo esaltante dell’inizio dell’estate.

 

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18 Giugno | June 18

18 giugno 2024

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It was the morning June 18, 1956. I came down and said goodbye to Christine and thanked her for everything and walked down the road. She waved from the grassy yard. “It’s going to be lonely around here with everybody gone and no big huge parties on weekends”. She really enjoyed everything that had gone on. There she was standing in the yard barefooted, with little barefooted Prajna, as I walked along the horse meadow. I had an easy trip north, as though Japhy’s best wishes for me to get to my mountain that could be kept forever, were with me. 

Jack Kerouac, The Dharma Bums, 1958

Era la mattina del 18 giugno 1956. Ero sceso a salutare Christine e l’avevo ringraziata di tutto e m’ero incamminato lungo la strada. Lei mi aveva salutato con la mano dal cortile erboso. “Come sarà triste qui adesso che se ne sono andati tutti e non ci saranno più le grandi feste dei weekend.” Lei si era proprio divertita durante quegli eventi. Stava lì a piedi nudi nel cortile, con la piccola Prajna scalza pure lei, mentre io mi allontanavo costeggiando il pascolo dei cavalli.
Il viaggio verso nord procedette senza intoppi, come se mi accompagnassero gli auspici di Japhy perché potessi arrivare alla mia montagna da preservare in eterno

Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958, tr. it. N. Vallorani, in J. Kerouac, I capolavori, Mondadori 2004, p.619

Il giovane Ray Smith, poeta, vagabondo in grado di vivere con niente, alla costante ricerca di un’illuminazione, grande meditatore sull’illusorietà delle cose, ha trovato per l’estate un lavoro come vedetta del Servizio forestale a Desolation Park, nello stato di Washington. Viaggiando sui treni merci, con pochi dollari e poche esigenze, ha attraversato il “nulla dell’America, che è comunque un’America magica”. Ha trascorso le feste di Natale a casa della madre nel North Carolina e da lì, a marzo, è ripartito per un lungo viaggio in autostop che lo porterà in California, dall’amico Japhy, maestro di buddhismo, di scalate in montagna e di sesso rituale. La primavera passa fra il taglio della legna, grandi feste, meditazioni sul tempo senza principio, finché non arriva il momento di partire per raggiungere il Parco, il 18 giugno, alle soglie dell’estate. 

 

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17 Giugno | June 17th

17 giugno 2024

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There was a letter from Hilda on the breakfast-tray. “Father is going to London this week, and I shall call for you on Thursday week, June 17th. You must be ready so that we can go at once. I don’t want to waste time at Wragby, it’s an awful place. I shall probably stay the night at Retford with the Colemans, so I should be with you for lunch,Thursday. Then we could start at teatime, and sleep perhaps in Grantham. It is no use our spending an evening with Clifford. If he hates your going, it would be no pleasure to him”.
So! She was being pushed round on the chess-board again

David Herbert Lawrence, Lady Chatterley’s Lover, 1928

Sul vassoio della colazione c’era una lettera di Hilda. 
“Papà va a Londra questa settimana e io passerò a prenderti giovedì a otto, il 17 giugno. 
Fatti trovare pronta, così potremo partire subito. Non voglio sprecare tempo a Wragby, è un posto orribile. Probabilmente passerò la notte a Redford dai Coleman, perciò dovrei essere da te per il pranzo di giovedì. Potremmo poi partire all’ora del tè e forse dormire a Grantham. E’ inutile passare una serata con Clifford. Se gli dà fastidio che tu parta, non gli farebbe piacere”.
Ah, così! Ancora una volta la spingevano di qua e di là sulla scacchiera come una pedina

David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, 1928, tr. it. S. Melani, Garzanti 1987, p.257

La giovane Constance, detta Connie, ha sposato nel 1917 Clifford Chatterley, che è rimasto gravemente ferito durante la guerra. La coppia vive nella residenza di Wragby dove lui, costretto sulla sedia a rotelle, è preso dalla stesura di racconti. Per lei, il “tempo passava come va avanti un orologio, le otto e mezzo invece delle sette e mezzo” , e “i momenti si susseguivano senza che tra l’uno e l’altro vi fosse necessariamente un legame”. In febbraio, sconfinando dal parco verso il bosco, ha conosciuto il guardacaccia , l’ex ufficiale Oliver Mellors, che è diventato il suo amante e da cui aspetta un figlio. Quando la sorella Hilda ricorda a Connie la partenza per un viaggio in Italia, fissata il 17 giugno, la storia è a una svolta. Lo scandalo della relazione sta per emergere e Connie prenderà le sue decisioni, seguendo l’istinto, la natura e il futuro che “Dio solo sa dove stia”. 

 

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16 Giugno | sixteenth June

16 giugno 2024

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So Thursday sixteenth June Patk. Dignam laid in clay of an apoplexy and after hard drought, please God, rained, a bargeman coming in by water a fifty mile or thereabout with turf saying the seed won’t sprout, fields athirst, very sadcoloured and stunk mightily, the quags and tofts too. Hard to breathe and all the young quicks clean consumed without sprinkle this long while back as no man remembered to be without. The rosy buds all gone brown and spread out blobs and on the hills nought but dry flag and faggots that would catch at first fire

James Joyce, Ulysses, 1922

Così giovedì sedici giugno Pat. Dignam per colpo apoplettico deposto nella terra e oggi dopo forte siccità infine piovve, Dio volendo, un barcaiolo venuto per via d’acqua da circa cinquanta miglia con carco di torba disse che il grano non buttava, i campi assetati e di cattivo colore putivano gravemente, le paludi come lande. Aria soffocante e giovani polloni tutti secchi senza adacquate da tanto tempo che non v’era memoria d’una simile arsura. I boccioli di rose rappresi e iscuriti, sulle colline giunchi riarsi e rami secchi da infiammarsi in un momento

James Joyce, Ulisse, 1922, tr. it. G. Celati, Einaudi, 2013, pp. 545-546

Festeggiato in Irlanda e in altri paesi come Bloomsday, il 16 giugno è il giorno in cui, nell’anno 1904, si svolgono le vicende di Leopold Bloom, della moglie Molly, di Stephen Dedalus e degli altri protagonisti dell’Ulisse di Joyce. La data 16 giugno 1904 compare per esteso in una lettera scritta a macchina dalla segretaria dell’impresario Blazes Boylan, amante di Molly (episodio 10) e nel bilancio della giornata (episodio 17) ed è richiamata in vari punti del testo. Dalla casa di Bloom, attraverso le strade di Dublino, i pub, i bagni pubblici, la spiaggia, il cimitero, il bordello, la giornata trascorre, dalle 8 della mattina a notte fonda, segnando il tempo degli avvenimenti e dei pensieri simultanei di tutti. Il funerale di Patrick Dignam, svoltosi in mattinata, è richiamato la sera, mentre arriva la pioggia e Bloom si trova all’ospedale, in attesa del parto di una conoscente, la signora Purefoy.
Il numero 16 è citato nel confronto fra l’età di Bloom e quella di Stephen Dedalus (episodio 17) e torna, alla fine del monologo di Molly, quando la donna ricorda il giorno in cui è stata chiesta in sposa, “ed era un anno bisestile come adesso sì 16 anni fa”.
Vai a Dublino 1661904

 

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15 Giugno | 15. juni

15 giugno 2024

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Fredag den 15. juni 1990 stod der nu på kalendern. Det lyste imod hende. Allerede i januar havde hun skrevet “15 år” på det kaldenderblad. Hun syntes det gjorde ekstra indtryk at hun fyldte 15 den femtende. Det ville hun aldrig mere opleve

Jostein Gaarder, Sofies verden, 1991

Adesso il calendario riportava la data di VENERDÌ 15 GIUGNO, e già a gennaio lei aveva scritto su quel foglietto: “15 anni”. La impressionava doppiamente il fatto di compiere 15 anni proprio il giorno 15: una coincidenza del genere non si sarebbe mai più ripetuta

Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia, 1991, tr. it. M. Podestà Heir, Longanesi 1994 (2004), p. 301

Due ragazze norvegesi, Sofia e Hilde, stanno per compiere quindici anni il 15 giugno 1990. Le loro vite si sono collegate al principio di maggio, quando Sofia ha cominciato a trovare nella cassetta della posta una strana corrispondenza: lettere che contengono domande filosofiche e cartoline, indirizzate a Hilde, che portano il timbro del 15 giugno. Il tempo che manca al compleanno sarà occupato, per Sofia, da una serie di lezioni sui maggiori filosofi, tenute solo per lei da un personaggio misterioso, mentre Hilde riceverà – proprio il 15 giugno, come regalo di compleanno – la storia di Sofia, in un gioco di specchi e di coincidenze che si concluderà al solstizio d’estate.
(Coincidenze: nell’
Ulisse di Joyce, Milly, la figlia di Leopold e Molly Bloom, compie 15 anni il 15 giugno dell’anno narrato, che è il 1904: “Quindici anni ieri. Strano, anche il quindici del mese”).

 

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14 Giugno | June 14th

14 giugno 2024

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He pushed his chair back to get a locked drawer open. He took out a folded paper and passed it over. I unfolded it and saw it was a postal telegraph form. The wire had been filed at El Paso on June 14th, at 9.19 a.m. It was addressed to Dearce Kingsley, 965 Carson Drive, Beverly Hills, and read:

AM CROSSING TO GET MEXIVAN DIVORCE STOP WILL MARRY CHRIS STOP GOOD LUCK AND GOODBYE CRYSTAL

Raymond Chandler, The Lady in the Lake, 1943

Lui spinse indietro la poltroncina per aprire il cassetto della scrivania. Ne trasse un foglio piegato e me lo porse. Lo spiegai e vidi che era un telegramma spedito da El Paso il 14 giugno alle 9 e 19 antimeridiane. Era indirizzato a Derace Kingsley, 965 Carson Drive, Beverly Hills e diceva:

Varco frontiera per ottenere divorzio messicano stop sposerò Chris stop buona fortuna e addio – Crystal

Raymond Chandler, In fondo al lago, 1943, tr. it. I. Omboni, in Tutto Marlowe investigatore, Mondadori 1982, p.651

Due donne molto somiglianti fra loro sono scomparse, in questo caso affidato all’investigatore Philip Marlowe. Muriel, la moglie di Bill Chess, il custode della tenuta di Punta Puma, è sparita il 12 giugno, poco prima di Crystal, la moglie di Kingsley, padrone della tenuta. Quando Marlowe comincia ad occuparsi del caso è passato un mese dalle ultime tracce, un biglietto d’addio di Muriel e un telegramma spedito – così sembra – da Crystal, il 14 giugno, dal confine con il Messico. Le due sparizioni sono molto più collegate di quello che sembri e molto diverse da ciò che appare. Lo svelamento – tragico e sorprendente – di questo legame porterà Marlowe a capire cosa è accaduto il mese prima e chi ha veramente spedito il telegramma quel 14 giugno. 

 

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13 Giugno | 13. kesäkuu

13 giugno 2024

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Neuvostoliiton viranomaiset luopuivat vaatimuksistaan häntä kohtaan, ja viimein, kesäkuun 13. päivänä, Vatanen ohjattiin junaan Suomen asemalla. Saattava majuri halasi häntä lujasti, suuteli molemmille poskille, sanoi:
– Toveri, kun saat vapauden, vot, tule tass Astoriin, juomme silloin yhdessä!

Arto Paasilinna, Jäniksen vuosi, 1975

A Leningrado Vatanen fu alloggiato all’hotel Astoria, il tempo necessario per chiudere definitivamente il caso da parte sovietica. La giustizia sovietica rinunciò a ogni diritto su di lui e finalmente, il 13 giugno, Vatanen fu condotto alla stazione, al treno in partenza per la Finlandia. Il maggiore che l’accompagnava lo abbracciò calorosamente e lo baciò sulle due guance:
– Compagno, quando sarai libero, vot, vieni di nuovo all’Astoria, berremo un bicchierino insieme

Arto Paasilinna, L’anno della lepre, 1975, tr. it. E. Boella, Iperborea, Milano, 1994, p. 195

L’avventura dell’anno della lepre comincia in prossimità del solstizio d’estate, ai bordi di una foresta finlandese e si conclude dopo un anno, nella zona di confine fra Finlandia e Unione Sovietica e poi nella città che ancora – al tempo della storia – si chiamava Leningrado. Il protagonista, il giornalista Vatanen, dopo aver investito una lepre con la macchina, decide di lasciare lavoro, famiglia e vita cittadina per vivere alla giornata, lavorando come taglialegna, vaccaro, aiuto pompiere, sempre accompagnato dalla lepre. Ogni spostamento rivela a Vatanen qualcosa della natura, delle bestie, delle persone, della società: diffidenza e generosità, ottusità e una vena di follia, si alternano durante i mesi di questo vagabondaggio, finché Vatanen si trova a lottare con un grande orso, a inseguirlo oltre i confini della Finlandia, in territorio sovietico, da cui è rilasciato il 13 giugno, alle soglie del nuovo solstizio d’estate (e di una nuova fase della sua vita). 

 

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