15 Novembre

15 novembre 2015

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Verso il 15 novembre la season era in piena fioritura: l’Opera e i vari teatri spiegavano tutte le loro attrazioni, gli inviti a pranzo cominciavano ad accumularsi e si fissavano le date dei grandi balli. E, verso quell’epoca, la signora Archer diceva puntualmente che New York era molto cambiata

Edith Wharton, L’età dell’innocenza, 1920, tr. it. A. d’Agostino Schanzer, ed. cons. Feltrinelli, 1960, p. 295

A novembre riprendono le attività sociali della New York della fine dell’Ottocento, in cui si muovono i protagonisti del romanzo L’età dell’innocenza. Le famiglie benestanti che combinano matrimoni fra gli eredi, controllando il comportamento degli individui ribelli alle consuetudini, hanno riaperto le case di città agli incontri. Per il giovane avvocato Newland Archer è il secondo anno di nozze con May, una donna gradevole e convenzionale, eclissata – nel suo desiderio – dalla cugina Ellen, che ha vissuto in Europa esperienze molto diverse da quelle della buona società newyorkese. Anche a New York si sente l’eco delle novità che arrivano da oltreoceano, invenzioni, mode, nuovi comportamenti si affacciano sulla Quinta Strada, mentre è in arrivo il Giorno del Ringraziamento, che cade il quarto giovedì di novembre. 

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14 Novembre

14 novembre 2015

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Non sto più dietro al calendario. Direte: ma il sogno del 14 novembre scorso? Ci sono intervalli, ma fra un sogno e l’altro, non ne rimane coscienza. Il mondo intorno a noi si dissolve, lasciando qua e là chiazze di tempo. Il mondo è un cancro che si divora… Penso a quando il grande silenzio scenderà su tutto e dappertutto; allora infine trionferà la musica. E quando tutto si sarà ritratto in grembo al tempo, tornerà il caos, ed il caos è la partitura su cui è scritta la realtà. Tania, tu sei il mio caos. Ecco perché canto. Non io, è il mondo che muore, che depone la pelle temporale. Ma io ancora vivo, ancora ti scalcio in grembo, sono ancora una realtà di cui si possa scrivere

 Henry Miller, Tropico del cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1973, p.16

 

È l’autunno del secondo anno a Parigi per il protagonista di Tropico del Cancro, un giovane americano senza “soldi, né risorse, né speranze”, ma con la sicurezza di essere un artista. A Parigi, nei primi anni Trenta, abita in un albergo dal nome italiano, Villa Borghese, gestito dall’amico Boris che compare proprio all’inizio del romanzo, con le sue idee sul Tempo e i pidocchi. Insieme a Boris, compaiono gli amici e le amiche di Montparnasse, fra cui Tania, evocata in questa pagina che parla di sogni, di sesso e ancora di tempo. 

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13 Novembre

13 novembre 2015

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A Buenos Aires lo Zahir è una moneta comune, da venti centesimi; graffi di coltello o di temperino tagliano le lettere NT e il numero due; 1929 è la data incisa sul rovescio. (A Guzerat, alla fine del secolo XVIII, fu Zahir una tigre; in Giava, un cieco della moschea di Surakarta, che fu lapidato dai fedeli; in Persia, un astrolabio che Nadir Shah fece gettare in mare; nelle prigioni del Mahdi, intorno al 1892, una piccola bussola avvolta in un brandello di turbante, che Rudolf Cari von Slatin toccò; nella moschea di Cordova, secondo Zotenberg, una vena nel marmo di uno dei milleduecento pilastri; nel ghetto di Tetuàn, il fondo di un pozzo).
Oggi è il tredici di novembre; il giorno sette di giugno, all’alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l’accaduto. Ancora, seppure parzialmente, sono Borges

Jorge Luis Borges, Lo Zahir (1947) in L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, I Meridiani Mondadori, 1985, I, p. 847

Dopo aver passato la notte vegliando l’amica Teodelina Villar, in un giorno di giugno, come resto di un’aranciata ordinata in una mescita di Buenos Aires, il narratore di questa storia – che si chiama Borges come l’autore- riceve una moneta da 20 centesimi. Da quel momento,  il piccolo oggetto diventa un’ossessione, un pensiero a cui non si riesce a sfuggire, un’immagine forte come un incantesimo, a cui gli Arabi danno il nome di Zahir. Chi incontra lo Zahir – sotto qualunque forma – non può pensare ad altro, fino a dimenticare il mondo reale, guadagnando, però, forse, la visione di tutti i “futuri possibili”. L’oggi in cui il narratore scrive è – come oggi – un 13 di novembre. 

Dicono del libro
“i racconti di questo libro appartengono al genere fantastico”.
(Dal’Epilogo di Borges nell’ed. Mondadori, op. cit.)

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12 Novembre

12 novembre 2015

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Quando ebbe richiuso la porta della stanza dietro di sé, si rese conto che lì non c’era altri che lui. Cercò di distruggere la sua solitudine mettendo in ordine gli oggetti da toeletta, i vestiti, i libri. Tentò di entusiasmarsi pensando che abitava in Rue de Caboul e che questa città è la capitale dell’Afghanistan, ma senza riuscirvi. Sentiva lo sciacquone scaricare di continuo. Collocò un tavolino sotto la lampada, prese un quaderno nuovo di zecca e si sedette di fronte alla pagina bianca che graffiò con la sua scrittura. Vincent Tuquedenne sapeva che quel giorno era un gran giorno e che inaugurava una nuova fase della sua vita. Perciò gli serviva per il suo diario un quaderno nuovo. Sul primo foglio annotò, molto semplicemente, Diario del 12 novembre 1920

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed. cons. Newton Compton, 2012, p. 42

A partire da ottobre, un ottobre del 1920 che, per colpa della prima guerra mondiale, non è più come prima (“le granate hanno mandato le stagioni a gambe all’aria”) compaiono via via i protagonisti del romanzo Gli ultimi giorni. Prima il signor Brabbant, poi il vecchio  professore di storia Tolut, che ritroviamo nel salotto di casa Brennuire qualche giorno dopo, l’undici di novembre (“due anni e due giorni dopo che Guillaume Apollinaire è morto”),  insieme al giovane studente Rohel. Il giorno successivo, il dodici novembre, arriva a Parigi da Le Havre un altro studente, Vincent Tuquedenne, per iscriversi al primo anno del corso di Lettere alla Sorbona. Dopo aver trascorso la giornata camminando, torna nella modesta stanza dell’albergo vicino alla stazione Saint-Lazare e si accinge a raccontare quella prima giornata. Una poesia Novembre 1920 e un tentativo di Diario del 12 novembre 1920 sono il risultato del suo primo impatto con Parigi, dove si muovono, insieme a lui e alle stagioni che ciclicamente ritornano, diversi destini. 

La citazione letta da Stefano Bollani (Dimmi Quando, DeeJay TV, 12.11.2014)

 

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Altre storie che accadono oggi

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“… Il giovedì dodici novembre, il commendatore Visanio e la signora Trigliona celebrarono in gran pompa il battesimo del piccolo Nivasio…”
Alberto Savinio, Infanzia di Nivasio Dolcemare

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“… Quando Fernand de Beaumont si suicidò, il dodici novembre del 1935, Bartlebooth era nel Mediterraneo…”
Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso

 

11 Novembre

11 novembre 2015

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“Ho promesso di sposarti quando sarò maggiorenne, e tanto basta. Ho una parola sola. Ho promesso di sposarti appena avrò ventun anni, e non tollero che si continui ad angustiarmi. Di angustie ne ho a sufficienza. A parte la mia parola, non è probabile che ti lasci, dopo aver speso tutti questi soldi. E poi sono inglese, e non mi rimangio mai la parola. Jacky, sii ragionevole. Certo che ti sposerò. Soltanto smettila di tormentarmi.”
“Quand’è il tuo compleanno, Len?”
“Te l’ho detto e ridetto, l’undici novembre prossimo. Ora togliti un momento dalle mie ginocchia; qualcuno deve preparare la cena, suppongo”

Edward M. Forster, Casa Howard, 1910, tr. it. L. Chiarelli, ed. cons. Feltrinelli, 1991, p. 56


In un seminterrato di una strada chiamata Camelia Road, in un quartiere periferico di Londra, vive il giovane Leonard Bast. Modesto impiegato di una compagnia di assicurazioni, Leonard – detto Len – cerca di migliorare la sua posizione sociale e la sua cultura in un periodo – l’inizio del ‘900 – in cui le differenze fra i ceti sono forti. A un concerto alla Queen’s Hall, ha appena conosciuto  le sorelle Margaret e Helen Schlegel, vivaci intellettuali di origine tedesca, rappresentanti di una borghesia aperta alle relazioni fra classi sociali diverse. Dalla casa in centro delle sorelle, Leonard è arrivato, a piedi, alla sua abitazione, che condivide con una donna più grande di lui, Jacky. Insoddisfatto di questa relazione, Leonard ha comunque promesso alla sua compagna di sposarla, non appena la maggiore età gli consentirà di farlo senza il consenso della famiglia. Leonard Bast diventerà maggiorenne di lì a poco, un 11 novembre, un giorno di un mese più volte richiamato nel romanzo Casa Howard, mese di partenze e cambiamenti di vite. 

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10 Novembre

10 novembre 2015

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E così, per quanto incredibile possa sembrare, nello studio della casetta dietro la cappella congregazionalista, la sera di domenica 10 novembre 1896, il signor Fotheringay, sollecitato e invitato dal signor Maydig, cominciò a compiere miracoli. L’attenzione del lettore è richiamata in modo particolare e ben determinato sulla data. Egli obietterà, probabilmente ha già obiettato, che alcuni punti di questa storia sono improbabili, che se qualcosa del genere fosse veramente accaduto, sarebbe stato su tutti i giornali un anno fa. I particolari che seguono immediatamente li troverà abbastanza difficili da accettare, perché, tra le cose, comportano la conclusione che il lettore – o la lettrice – in questione deve essere stato ucciso in modo violento e senza precedenti più di un anno fa. Ora, un miracolo non è nulla se non è improbabile, e in realtà il lettore fu ucciso davvero in un modo violento e senza precedenti un anno fa. Nella parte successiva di questa storia la cosa diventerà perfettamente chiara e credibile, come ogni lettore onesto e ragionevole dovrà ammettere. Ma non è questo il luogo per la fine della storia, che ha appena passato la metà

Herbert G. Wells, L’uomo che poteva compiere miracoli, 1900, tr. it. P. Carta, in Racconti, Garzanti 1985, pp.130-31

La storia raccontata da Wells inizia e termina un sabato di novembre nel bar del “Long Dragon”, in cui si discute di miracoli fra scettici, come il signor Fotheringay, e possibilisti. Fra il principio e la fine della storia si insinua – forse – la domenica 10 novembre, quando Fotheringay, accortosi di avere dei poteri miracolosi, comincia ad usarli. Prima compie piccoli prodigi e poi via via osa azioni sempre più audaci. Con il proposito di migliorare il mondo, si ritrova addirittura a fermare il tempo, con conseguenze inimmaginabili, apocalittiche ma anche, nel racconto, reversibili. 

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9 Novembre

9 novembre 2015

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Era il 9 di novembre, vigilia del suo trentottesimo compleanno, com’egli ebbe spesso a ricordare in seguito. 
Stava rincasando a piedi verso le undici, dalla casa di Lord Henry dove aveva pranzato, ed era avviluppato in una pesante pelliccia perché la notte era fredda e nebbiosa. All’angolo di Grosvenor Squaree South Audley Street gli passò accanto nella nebbia un uomo che camminava molto in fretta, col bavero del pastrano grigio rialzato e una valigia in mano. Dorian lo riconobbe: era Basil Hallward. Fu preso da uno strano, inesplicabile senso di paura. Non fece segno alcuno di averlo riconosciuto e proseguì frettolosamente verso casa. Hallward però l’aveva visto ; e Dorian l’udì prima fermarsi sul marciapiede, poi corrergli dietro e dopo pochi istanti sentì la sua mano posarglisi sul braccio

Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1891, tr. it. E. Grazzi, in Tutte le opere, Newton Compton, 1994, p. 107

Prima di partire da Londra per Parigi, dove ha intenzione di trattenersi sei mesi, il pittore Basil Hallward è passato a fare visita a Dorian Gray, l’amico che ha ritratto anni prima in un dipinto che, da allora, nessuno ha più rivisto. Realizzato mentre Dorian Gray era nel pieno della bellezza e del fascino, il dipinto – per un sortilegio inspiegabile – ha preso su di sé il passare del tempo, lasciando il volto di Dorian Gray uguale – bello e puro come nell’adolescenza – e registrando sulla tela  i segni dell’invecchiamento, del cinismo, degli eccessi compiuti da Dorian nella vita reale. Il pittore ha atteso dalle nove il rientro di Dorian a casa e sta per incamminarsi verso la stazione, quando incontra l’uomo all’esterno. Rientrati in casa, Basil si mostra preoccupato per la condotta del vecchio amico e quando gli chiede di rivedere il ritratto, la rivelazione dell’anima di Dorian impressa nel quadro come in un diario, scatena una reazione incontrollata da parte di questi. La data è il nove novembre, giorno in cui si perdono le tracce del pittore Basil Hallward.

 

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8 Novembre

8 novembre 2015

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La fiesta non sarebbe cominciata che molto più tardi e le strade che ricordavano tanti altri Giorni dei Morti erano praticamente deserte. Labari e festoni smagliavano: la grande ruota panoramica meditava lucente sotto gli alberi, immobile. Anche la città intorno e sotto di loro era già colma di rumori bruschi, remoti, come scoppi di colori sgargianti. 
¡Boxe! annunciava un manifesto.  ARENA TOMALÍN di fronte al Jardín Xicotancatl. Domenica 8 di novembre 1938. 4  emozionanti combattimenti

Malcolm Lowry, Sotto il vulcano, 1947, tr. it. G.Monicelli, ed. cons. Feltrinelli, 1984, p. 61
Il romanzo Sotto il vulcano ha inizio il due novembre del 1939 nella cittadina messicana di Quauhnahuac, con due uomini – il dottor Vigil e Jacques Laruelle –  che sulla terrazza di un hotel rievocano il Console Geoffrey Firmin, morto l’anno prima. E il due novembre dell’anno prima, di nuovo il giorno dei Morti, fa la sua comparsa il Console, alcolizzato e sofferente per il rapporto con la moglie Yvonne. La complessa storia del Console e il suo destino seguono l’ordine dei dodici capitoli, dodici come i mesi dell’anno, in cui novembre ha il suo rilievo. La città si prepara alla fiesta, agli spettacoli, agli incontri di boxe – come quelli annunciati dal manifesto per l’8 di novembre – mentre il tempo è un abisso che è sempre pronto ad aspettarti dietro l’angolo.

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7 Novembre

7 novembre 2015

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Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1827-40, ed. cons. Garzanti, 1981, pp. 7-8

La vicenda narrata ne I promessi sposi ha inizio nel novembre del 1628, a ridosso della rivolta di San Martino, provocata dalla carestia. La  data scelta da Manzoni per introdurre la storia, e il personaggio di Don Abbondio, è il 7 novembre. È una giornata autunnale, appena dopo il tramonto, con il sole che ancora illumina i monti, mentre Don Abbondio percorre la strada sulla quale incontrerà i bravi di Don Rodrigo che gli intimeranno di non celebrare le nozze fra Renzo e Lucia. Sempre a novembre, nell’anno successivo, le prime avvisaglie della peste faranno la loro comparsa a Milano e l’anno dopo ancora, il 1630, la vicenda iniziata il 7 novembre del 1628 troverà il suo compimento col matrimonio dei due giovani. 

 

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6 Novembre

6 novembre 2015

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Il  sei novembre, dopo colazione, Franco prese le sue grosse forbici da giardiniere per fare il solito sterminio di seccumi nel giardinetto e sulla terrazza. Era un’ora di tanta bellezza, di tanta pace da stringere il cuore. Non una foglia che si muovesse; purissima, cristallina l’aria da ponente; sfumanti a levante, dentro lievi vapori, le montagne fra Osteno e Porlezza; la casa sfolgorata dal sole e dai riverberi tremoli del lago; il sole assai caldo ma i crisantemi del giardinetto, gli ulivi, gli allori della costa più visibili fra il rosseggiar delle foglie caduche, certa segreta frescura dell’aria imbalsamata d’olea fragrans, il silenzio d’ogni vento, le aeree montagne del lago di Como bianche di neve accordantisi malinconicamente a dire che la cara stagione moriva

Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, 1895, ed. cons. Garzanti, 1981, p. 163

Siamo a metà della storia raccontata in Piccolo mondo antico, storia che si svolge  in Valsolda, fra il 1850 e il 1859, alle soglie della seconda guerra di indipendenza.  Franco Maironi – di nascosto e contro il volere della nonna, unica parente rimasta – ha sposato Luisa e poco dopo  è nata Maria. I rapporti con la famiglia d’origine sono interrotti, anche perché il giovane – così come sua moglie e lo zio Piero – sono di idee liberali e anti-austriache. Il sei novembre, a cui si riferisce questa pagina, è una giornata soleggiata nel giardino della casa dove la coppia vive con la bambina. Lo zio Piero –  appena destituito dal suo incarico di ingegnere con l’accusa di essere un suddito infedele dell’Austria – sta per arrivare, mentre Franco lavora in giardino, nella luce novembrina del lago.

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5 Novembre

5 novembre 2015

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Il cinque novembre 1718, che rispetto all’epoca fissata era tanto vicino ai nove mesi di calendario quanto qualsiasi marito in senno si sarebbe potuto aspettare, fui io, Tristram Shandy, Gentiluomo, messo in questo scorbutico e disastroso mondo nostro. Vorrei essere nato nella Luna, o in qualsiasi altro pianeta (eccetto Giove o Saturno, siccome non ho mai potuto sopportare il freddo) perché non la sarebbe potuto andare molto peggio per me in uno qualunque di essi (sebbene non mi pronunci su Venere) di quanto è andata in questo vile, lurido pianeta nostro, che, sia detto col dovuto rispetto, credo essere stato fatto cogli sbrendoli e ritagli degli altri

Laurence Sterne, La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, 1760-1767, tr. it. A. Meo, Einaudi 1990, p.12

L’ironica e inafferrabile vita di Tristram Shandy ha inizio col racconto del suo concepimento, avvenuto – pare –  “la notte fra la prima domenica e il primo lunedì di marzo, nell’anno di nostro Signore mille settecento diciotto”. E la nascita  ha luogo – in anticipo sui nove mesi della gravidanza – il 5 novembre. È una data significativa nella storia della Gran Bretagna: il giorno di Guy Fawkes, quando si commemora, con fuochi d’artificio, la fallita congiura delle polveri del 1605. Raccontata nel brevisssimo capitolo quinto, la nascita di Tristram Shandy è occasione per considerazioni sul “disastroso mondo nostro”, in cui i destini degli uomini sono in balìa della fortuna ed è vano seguire una linea diritta, tanto nella vita, quanto nel suo impossibile racconto. Lo scrittore Laurence Sterne era nato il 24 novembre del 1713, quattro anni, undici mesi e 19 giorni prima del suo personaggio.  

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4 Novembre

4 novembre 2015

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Il fruscio delle carte da gioco, il muoversi delle mani, il murmure monotono del cronofono nel soffitto della Caserma del fuoco “… una e trentacinque, mattino, martedì, 4 novembre.. una e trentasei… una e trentasette, mattino…”. Il lieve battito delle carte sul piano sudicio del tavolo, tutti i rumori raggiungevano Montag dietro i suoi occhi chiusi, dietro la barriera che aveva eretto momentaneamente. Poteva sentire la Caserma del fuoco piena di scintillii, di luminosità e di silenzio, di colori bronzei, i colori delle monete, dell’oro, dell’argento. Gli uomini invisibili dall’altra parte della tavola stavano sospirando sulle loro carte, in attesa di “… una e quarantacinque…” e la voce del cronofono si rattristava sulla fredda ora di un freddo mattino di un ancor più gelido anno

Ray Bradbury, Fahrenheit 451, 1953 (1951), tr. it. G. Monicelli, Mondadori 1989, p.38

La storia di Fahrenheit 451 e del pompiere Guy Montag – impiegato nella squadra che appicca il fuoco alle biblioteche, dichiarate fuorilegge dal regime – ha inizio in autunno. Cadono le foglie e piove, quando Montag incontra Clarisse McClellan, una giovane vicina di casa che si comporta in modo diverso da tutte le persone che Montag conosce, dalla moglie Mildred – presa dalle serie televisive -, così come dai colleghi incendiari. Indipendente e curiosa, Clarisse suscita in Montag un imprevedibile disagio verso la sua vita consueta, che lo porta via via a farsi domande e a dubitare del suo lavoro. Come accade durante una partita a carte con i colleghi nella Caserma del Fuoco, mentre il cronofono segna il tempo nelle prime ore del 4 novembre.

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3 Novembre

3 novembre 2015

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E quando abbiamo finito di caricare le casse sul camion, uno di quegli ufficiali viene da me forse perché ero il più vecchio e mi dà la mano da stringere, ma vigliacco se io gliel’ho stretta. È stata una scena, chiedete alla gente di Alba che stava a vedere dalle finestre e non respirava nemmeno più per la paura che succedesse qualcosa da un momento all’altro. E questo è capitato il 3 di novembre ed è stata una cosa speciale perché se non è speciale che un vivo giochi la sua pelle per portare a casa dei morti, allora di speciale non c’è più niente

Beppe Fenoglio, Vecchio Blister, 1952, in I ventitré giorni della città di Alba, Mondadori 1974, p.66

Il racconto del vecchio Blister, un partigiano che si è macchiato di un furto e attende la sentenza dei compagni, rievoca un episodio della storia di Alba. Conquistata il 10 ottobre del 1944 dalle forze partigiane, la città piemontese cade di nuovo in mano all’esercito della Repubblica Sociale “alle ore due pomeridiane del giorno 2 novembre 1944”. E il 3 novembre, il vecchio Blister recupera i cadaveri dei partigiani morti nella battaglia del giorno prima.

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2 Novembre

2 novembre 2015

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Il giorno dei Morti i due fidanzati godevano di una grande occasione: anche Mussia accompagnava il marito nella consueta visita al cimitero ed essi potevano così fare tutto con loro comodo, giovandosi anche del letto dei genitori. Si spogliavano un poco alla volta e Mirella andava a dipingersi il viso e gli occhi con rossetto, bistri e matite perché così piaceva a Luigi. E poi compariva nuda nella cupa stanza di noce, dipinta come un’attrice o una ballerina, con un paio di orecchini arabi di filigrana d’argento che tinnivano per tutto il pomeriggio come due campanelli. 
Durante sei anni di fidanzamento il giorno dei Morti e l’amore nella camera buia e ingombra di mobili lucidi e torniti, di specchiere e di arazzi, trascorsero tranquilli fin dopo l’imbrunire: quando una vaga tristezza s’impadroniva dei due fidanzati al punto da far diventare Mirella sempre più intraprendente e fantasiosa come per cacciare l’oscurità e la solitudine

Goffredo Parise, Il fidanzamento, 1956, ed. cons. in La grande vacanza. Il fidanzamento. Atti impuri, Mondadori, 1993, pp. 185-186

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1 Novembre

1 novembre 2015

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Registrava ogni incontro sulle pagine del calendario, usando un codice che stava ancora inventando: l’ora esatta in cui era uscita di casa e rientrata, notazioni sul tempo atmosferico, tutto messo per iscritto con voci del tipo: N1T2″0412* //**KL1704 (1° novembre, giovedì, pioggia, uscita alle 12.04, rientrata alle 4.17, con i dettagli dell’incontro nel mezzo), in modo tale che a posteriori, quando veniva colta dal terrore che la cosa non fosse reale – che non fosse nulla, che non fosse neanche successa – poteva dare un’occhiata a quegli appunti e tranquillizzarsi

Jennifer Egan, Guardami, 2001, tr.it. M. Colombo, M. Testa, minimum fax 2012,  versione kindle, 3502-3507

Charlotte, un’adolescente che porta lo stesso nome della protagonista del libro – ed è figlia di una sua amica d’infanzia – ha una storia con un professore della sua scuola. L’uomo, più grande di lei, è capitato nella cittadina per caso; ha un comportamento misterioso ed effettivamente nasconde il segreto di una doppia vita, che Charlotte non può immaginare. Anche lei, nel suo piccolo, tiene riservata quella relazione, inventando un codice per registrare gli incontri con lui e quello che fanno insieme, un codice fatto di asterischi e slash, lettere maiuscole e numeri. Un codice che nasconde, ma che nello stesso tempo memorizza le ore trascorse a casa dell’uomo, i percorsi in bicicletta, la pioggia, come in questo primo di novembre. 

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31 ottobre

31 ottobre 2015

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Con quell’idea buttai giù una breve domanda nella quale chiedevo, ad un’intelligenza immaginaria, in quale canto dell’Ariosto si trovasse la predizione del giorno della mia liberazione. Poi composi una piramide rovesciata con i numeri risultanti dalle parole della mia interrogazione, e sottraendo il numero nove da ciascuna coppia di cifre, trovai alla fine, per risultato, ancora il numero nove. Ritenni perciò che nel nono canto c’era quello che cercavo. Seguii lo stesso metodo per sapere in quale stanza, di quel canto, si trovava la predizione, e trovai il numero sette. Curioso infine di sapere in qual verso della stanza si trovasse l’oracolo, ottenni l’uno. Col cuore palpitante presi subito in mano l’Ariosto e trovai che il primo verso della settima strofa del nono canto era:

Tra il fin d’ottobre e il capo di novembre.

La precisione di quel verso, e il fatto di vederlo così appropriato al mio caso, mi sembrarono tanto mirabili che, senza dire di avervi prestato fede, il lettore mi vorrà perdonare se gli dichiarerò che mi disposi a fare tutto quello che dipendeva da me per favorire il verificarsi dell’oracolo. Lo strano è che “tra il fin d’ottobre e il capo di novembre” non v’è che mezzanotte, e fu precisamente al suono della campana di mezzanotte del 31 ottobre che io uscii dai Piombi, come il lettore vedrà

Giacomo Casanova, Fuga dai Piombi, 1787, ed. cons. a c. di G. Spagnoletti, Fuga dai Piombi – Il Duello, Rizzoli, 1989, pp. 132-133

Rinchiuso nella prigione dei Piombi a Venezia, Giacomo Casanova ha già tentato la fuga in agosto, ma un imprevisto cambio di cella ha mandato all’aria il suo piano. In ottobre, sta organizzando di nuovo la fuga fra Ognissanti e i Morti, quando gli Inquisitori di Stato prendono qualche giorno di vacanza. Cercando di decidere quale sia il giorno migliore per mettere in atto il progetto, Casanova confida in una rivelazione e si affida a un metodo usato nella sua epoca: la consultazione di un libro come se fosse un oracolo. Poiché ha a disposizione l’Orlando Furioso, Casanova – con un sistema che traduce le parole in numeri – interroga il poema dell’Ariosto e ottiene come responso un verso da cui deduce che la data migliore per fuggire corrisponde alla notte del 31 ottobre. 

 

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30 Ottobre

30 ottobre 2015

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Ora devo dirti quello che mi è capitato. Lo devo, lo capisco, ma al solo pensiero mi esce dal petto una risata folle. O mio carissimo Lotario, non so come incominciare per farti sentire almeno in parte come ciò che mi è toccato alcuni giorni  orsono abbia potuto veramente distruggere la mia vita. Se tu fossi qui, potresti vedere con i tuoi occhi; così invece mi prenderai per un visionario farneticante. Per farla breve, la cosa orrenda che mi è capitata (e invano mi sforzo di allontanarne l’impressione mortale) consiste in questo: che alcuni giorni fa, il 30 di ottobre, esattamente a mezzogiorno, un venditore di barometri entrò nella mia stanza e mi offerse la sua merce. Io non comprai nulla e minacciai di buttarlo giù dalle scale: dopo di che se ne andò da sé

Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, L’uomo della sabbia, 1815, tr. it.E. Pocar, in L’uomo della sabbia e altri racconti, Rizzoli, 1983, p. 13

Il racconto L’uomo della sabbia si apre con la lettera del protagonista Nataniele all’amico Lotario e con una data, il 30 ottobre, che segna l’ingresso – o meglio il ritorno – di un personaggio inquietante nella vita del giovane. Da bambino, infatti, Nataniele ha avuto modo di conoscere e temere l’avvocato Coppelius che la sera si intratteneva col padre in esperimenti chimici. Nella sua immaginazione, ha identificato Coppelius con il fiabesco “uomo della sabbia” , che getta manciate di sabbia negli occhi ai bambini che non vogliono andare a dormire. Responsabile della morte del padre, Coppelius è sparito dalla vita di Nataniele.  Finché un 30 ottobre uno strano personaggio, che si fa passare per un piemontese di nome Giuseppe Coppola, compare nella casa del giovane, portando strumenti ottici dai poteri magici e fatali. 

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29 Ottobre

29 ottobre 2015

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Comunque, questa era la situazione quando il Duce era venuto a inaugurare Pomezia, il 29 ottobre 1939: il mondo era in guerra. Ma ciò che le sembrerà più strano è che per noi Peruzzi la cosa più grave non fosse questa – ossia la guerra – bensì che quel giorno a Pomezia a inaugurare la nuova città non ci fosse più, insieme al Duce, l’Edmondo Rossoni. S’era stufato anche di lui stavolta. Cacciato

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, 2010, Mondadori, p. 340

Fra il 29 ottobre del 1937, quando viene inaugurata Aprilia – città di nuova fondazione nell’Agro romano –  e  il 29 ottobre del 1939, quando è inaugurata Pomezia, il mondo è cambiato. La Germania di Hitler, sempre più potente, ha bombardato Guernica, ha iniziato la persecuzione degli ebrei e ha invaso la Polonia. Mussolini segue l’alleato tedesco, aderendo alla politica antisemita con le leggi razziali del ’38. Fra i tanti deportati nei campi di concentramento, troverà la morte anche  “il figliastro di Petrucci, uno di quei due architetti di Aprilia e di Pomezia”. Dal punto di vista della famiglia Peruzzi – la cui storia è raccontata nel libro insieme a quella della bonifica  delle paludi pontine – la data segna la caduta della fortuna politica del compaesano, e protettore, Edmondo Rossoni, in un giorno, un 29 ottobre,  che condensa vicende private, anniversari e decisioni storiche. 

Dicono del libro

 

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28 Ottobre

28 ottobre 2015

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Accanto alla finestra è appeso un termometro, leggo la temperatura della stanza: diciotto gradi. Piuttosto gradevole: Eppure ho freddo. Vado nell’ambulatorio, prendo un’aspirina. Sarai forse sorpreso di quanto siano precisi i miei ricordi di quel giorno, di quelle ore. Ci ricordiamo con tanta esattezza soltanto degli avvenimenti storici dei quali siamo stati testimoni oculari, oppure delle circostanze in cui è avvenuta la morte di una persona cara, e ne parliamo allo stesso modo, con l’identica assurda pedanteria: era martedì, l’una e mezza del pomeriggio, il ventotto di ottobre

Sándor Márai, Divorzio a Buda, 1935, tr. it. L. Sgarioto, Adelphi, Milano, 2002, p. 170

La vita del giudice Kristóf Kómives, nella città di Budapest, fra le due guerre, segue un ritmo regolare, e i giorni scorrono seguendo il calendario pubblico delle udienze civili e quello privato della famiglia. Alla vigilia di una causa di divorzio che deve presiedere, l’uomo riceve la visita di un suo vecchio compagno di scuola – Imre Greiner – che ora è medico ed è uno dei coniugi il cui matrimonio – con una donna di nome Anna – dovrebbe essere sciolto l’indomani. Entrambi alle soglie dei quarant’anni, il giudice e il dottore non si sono mai frequentati, ma le loro vite sono strette da un nesso imprevedibile e involontario, che verrà svelato nel corso del lungo racconto che Imre  fa al giudice. La memoria gioca un ruolo decisivo, sia per Kristóf che ascolta episodi del passato a cui non aveva più ripensato (se non in sogno), sia per il medico, che rievoca i più minuti dettagli del giorno in cui la realtà ha perso, per lui, il suo senso familiare, pur rimanendo tutte le cose – in apparenza – al loro posto, nello spazio e nel tempo. 

Dicono del libro

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27 Ottobre

27 ottobre 2015

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Il 27 ottobre, alle sei di sera, mi restavano diciassette lire e cinquanta. Presi la pistola, il pacco delle lettere e discesi. Ebbi cura di non chiudere la porta, per poter rientrare più presto quando avessi fatto il colpo. Non mi sentivo bene, avevo le mani fredde e il sangue alla testa, gli occhi mi pizzicavano. Guardavo i negozi, l’edificio delle scuole, la cartoleria dove compro le matite, e non li riconobbi. Mi dicevo: “Che strada è questa?” Il boulevard Montparnasse era pieno di gente. Mi spingevano, mi ricacciavano indietro, mi urtavano con i gomiti o con le spalle. Mi lasciavo sballottare, mi mancava la forza per farmi largo tra loro. Mi vidi d’un tratto nel cuore di questa folla, orribilmente piccolo e solo

Jean-Paul Sartre, Erostrato, 1939, tr. it. E. G., in Il muro, Einaudi 1974, pp.79-80

Come Erostrato, che incendiò il tempio di Efeso procurandosi una fama duratura e sinistra, Paolo Hilbert ha deciso di compiere un atto gratuito ed eclatante, diretto contro il genere umano. Con una pistola carica di sei colpi, progetta di uccidere un gruppo di passanti in un boulevard parigino, per poi scappare e togliersi a sua volta la vita. Le cose non andranno come egli se le immagina nei suoi piani esaltati e deliranti. A partire dalla data scelta per l’azione, il 27 ottobre, quando decide di rimandare “all’indomani l’esecuzione del progetto”, andando a cenare alla Coupole per sedici franchi e ottanta. 

Dicono del libro

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