22 Giugno

22 giugno 2016

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Marie Roget aveva lasciato l’abitazione della madre, in Rue pavé Saint-André, la domenica 22 giugno 18.., alle nove circa del mattino. Uscendo, aveva informato un certo Monsieur St. Eustache, e lui solo, di passare la giornata con una zia che risiedeva nella Rue des Drômes, che è un’arteria breve ma affollata, non lontana dalle rive del fiume e a una distanza di due miglia in linea d’aria dalla pensione di Marie Roget. St. Eustache era il corteggiatore ufficiale di Marie, che alloggiava e prendeva i pasti alla pensione. Egli doveva andare prima di sera a riprendere e riaccompagnare la ragazza. Nel pomeriggio tuttavia si mise a piovere dirottamente e, nella supposizione che essa sarebbe rimasta la notte con la zia (come altre volte aveva fatto in circostanze analoghe) egli non ritenne necessario di mantenere la promessa

Edgar Allan Poe, Il mistero di Marie Roget, 1842, tr. it. G. Cambon e A. Guidi, in Racconti, Garzanti, 1982, p.350

Il mistero di Marie Roget è uno dei casi polizieschi a cui si dedica Auguste Dupin, gentiluomo francese, le cui capacità logiche e intuitive gli consentono di venire a capo di enigmi e problemi, rivelandone il funzionamento nascosto. Nel caso della morte di Marie, una giovane ritrovata nella Senna, Dupin si accorge di indizi tralasciati dagli investigatori. Ripercorre circostanze passate della vita della ragazza, che a ventidue anni era stata assunta come commessa in una profumeria del centro. In passato, la giovane era già scomparsa di casa per alcuni giorni senza rivelare il motivo ed è analizzando questo episodio all’apparenza secondario, le cronache apparse sui giornali, così come le mosse fatte nella giornata della scomparsa, il 22 giugno, che Dupin smonta e rimonta i meccanismi sia del caso (ispirato a un fatto realmente accaduto a New York) sia dell’indagine che lo affronta.  

 

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21 Giugno

21 giugno 2016

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“Naturale!”
“Niente affatto, è una beffa, invece! A partire dall’inverno i giorni si allungano, e quando arriva il più lungo di essi, il 21 giugno, ossia l’inizio dell’estate, subito cominciano a calare, si accorciano e si va verso l’inverno. Tu dici che tutto questo è naturale, ma se provi a prescindere dall’idea che sia naturale, rischi, a tratti, di provare angoscia e paura, e con tutte le tue forze vorresti aggrapparti a qualcosa. È come se un burlone avesse arrangiato le cose in modo tale da far cominciare la primavera all’inizio dell’inverno e l’autunno all’inizio dell’estate… Veniamo menati per il naso e presi letteralmente in giro dalla speranza di qualcosa che è nuovamente una svolta… una svolta in un cerchio. E infatti il cerchio consiste solo di svolte che non hanno estensione, la curvatura non è misurabile, la direzione è priva di durata, e l’eternità non è ‘avanti, sempre avanti’, bensì ‘in tondo, sempre in tondo’.”

Thomas Mann, La montagna magica, 1924, tr. it. R. Colorni, Mondadori 2010, ed. cons. 2011, p. 547

Ventuno giorni doveva durare la visita di Hans Castorp al cugino Joachim, malato di tubercolosi e ricoverato in un sanatorio sulle Alpi svizzere. Ma proprio prima di ripartire, Hans si scopre anch’egli ammalato e rimane nella casa di cura per anni, stringendo relazioni con gli altri ospiti e acquisendo il ritmo cadenzato e dilatato della vita sulla montagna magica, o incantata. Il mistero del tempo si introduce in ogni discorso, dalla domanda “Che cos’è mai un giorno?”, alla descrizione delle stagioni che “si confondono, per così dire, e non si attengono al calendario”, fino alle riflessioni come questa sul paradosso del 21 giugno.   

 

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20 Giugno

20 giugno 2016

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Per il 20 giugno 1845 era stata fissata, già da tempo, l’inaugurazione della nuova strada di 80 chilometri tra la capitale e San Piero, grosso paese di 40.000 abitanti sito quasi ai confini del regno, in posizione isolata, tra spopolate lande. Il lavoro era stato iniziato dal vecchio governatore. Il nuovo, eletto da appena due mesi, non si era eccessivamente interessato dell’impresa e col pretesto di un’indisposizione si fece rappresentare alla cerimonia dal conte Carlo Mortimer, ministro degli Interni. Il viaggio inaugurale avvenne sebbene la strada non fosse completamente pronta e negli ultimi venti chilometri, verso San Piero, consistesse ancora in una rudimentale massicciata; ma il direttore dei lavori garantì che le carrozze sarebbero potute arrivare fino in fondo. D’altra parte non sembrò opportuno rinviare una cerimonia tanto attesa

Dino Buzzati, L’inaugurazione della strada, in Sessanta racconti, 1958, ed. cons. Mondadori, 1994, p. 365

Grandi feste sono pronte per il 20 giugno nella cittadina di San Piero, per l’apertura della strada che la unisce alla capitale del regno. Almeno così credono i viaggiatori che si sono avviati in carrozza e a cavallo lungo la nuova strada per assistere ai festeggiamenti. Ma la strada si fa sempre più disagevole e incerta, finché non scompare del tutto, mentre la cittadina di San Piero resta ancora invisibile all’orizzonte. Alcuni viaggiatori tornano indietro, i cavalli si rifiutano di proseguire. Come in un sortilegio, più distanza si percorre, più la mèta – sotto il sole caldo di giugno – si allontana, in un deserto “che sembrava dovesse continuare in eterno”.

 

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19 Giugno

19 giugno 2016

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Oggi posso farlo. Per la prima volta oggi, 19 giugno 1913, alle ore 11, poiché mi innalzo al di sopra della Morte, contemplo senza bisogno di protezione il fulgore del sole col massimo entusiasmo di vivere. Lascia che il sole sfolgori tumultuoso, lascialo traboccare mi dico – che debordi pure, con la sua luce e il suo calore: può pure essere più grande di me, ma non più forte – non oggi almeno

Ernst Weiss, L’Aristocratico, 1928, tr. it. M. De Pasquale, edizioni e/o, 1985, p. 42

Le vicende narrate nel racconto si svolgono fra il giugno e l’agosto del 1913, periodo in cui si compie la formazione del protagonista. Il giovane Boëtius, discendente di una famiglia aristocratica decaduta, in quell’estate termina i suoi studi e sceglie, uscito dal collegio, di andare a lavorare in una fabbrica di turbine, passando così da origini principesche a una condizione operaia. Il 19 giugno il ragazzo, che si trova ancora nel collegio, riesce a domare un cavallo nel maneggio della scuola, mettendo così alla prova il suo coraggio, che dovrà usare anche in altre occasioni, in quello stesso giorno e nei successivi. È una giornata indimenticabile – come ripete più volte – sospesa nel primo caldo esaltante dell’inizio dell’estate.

 

 

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18 Giugno

18 giugno 2016

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Era la mattina del 18 giugno 1956. Ero sceso a salutare Christine e l’avevo ringraziata di tutto e m’ero incamminato lungo la strada. Lei mi aveva salutato con la mano dal cortile erboso. “Come sarà triste qui adesso che se ne sono andati tutti e non ci saranno più le grandi feste dei weekend.” Lei si era proprio divertita durante quegli eventi. Stava lì a piedi nudi nel cortile, con la piccola Prajna scalza pure lei, mentre io mi allontanavo costeggiando il pascolo dei cavalli.
Il viaggio verso nord procedette senza intoppi, come se mi accompagnassero gli auspici di Japhy perché potessi arrivare alla mia montagna da preservare in eterno

Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958, tr. it. N. Vallorani, in J. Kerouac, I capolavori, Mondadori 2004, p.619

Il giovane Ray Smith, poeta, vagabondo in grado di vivere con niente, alla costante ricerca di un’illuminazione, grande meditatore sull’illusorietà delle cose, ha trovato per l’estate un lavoro come vedetta del Servizio forestale a Desolation Park, nello stato di Washington. Viaggiando sui treni merci, con pochi dollari e poche esigenze, ha attraversato il “nulla dell’America, che è comunque un’America magica”. Ha trascorso le feste di Natale a casa della madre nel North Carolina e da lì, a marzo, è ripartito per un lungo viaggio in autostop che lo porterà in California, dall’amico Japhy, maestro di buddhismo, di scalate in montagna e di sesso rituale. La primavera passa fra il taglio della legna, grandi feste, meditazioni sul tempo senza principio, finché non arriva il momento di partire per raggiungere il Parco, il 18 giugno, alle soglie dell’estate. 

 

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17 Giugno

17 giugno 2016

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Sul vassoio della colazione c’era una lettera di Hilda. 
“Papà va a Londra questa settimana e io passerò a prenderti giovedì a otto, il 17 giugno. 
Fatti trovare pronta, così potremo partire subito. Non voglio sprecare tempo a Wragby, è un posto orribile. Probabilmente passerò la notte a Redford dai Coleman, perciò dovrei essere da te per il pranzo di giovedì. Potremmo poi partire all’ora del tè e forse dormire a Grantham. E’ inutile passare una serata con Clifford. Se gli dà fastidio che tu parta, non gli farebbe piacere”.
Ah, così! Ancora una volta la spingevano di qua e di là sulla scacchiera come una pedina

David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, 1928, tr. it. S. Melani, Garzanti 1987, p.257

La giovane Constance, detta Connie, ha sposato nel 1917 Clifford Chatterley, che è rimasto gravemente ferito durante la guerra. La coppia vive nella residenza di Wragby dove lui, costretto sulla sedia a rotelle, è preso dalla stesura di racconti. Per lei, il “tempo passava come va avanti un orologio, le otto e mezzo invece delle sette e mezzo” , e “i momenti si susseguivano senza che tra l’uno e l’altro vi fosse necessariamente un legame”. In febbraio, sconfinando dal parco verso il bosco, ha conosciuto il guardacaccia , l’ex ufficiale Oliver Mellors, che è diventato il suo amante e da cui aspetta un figlio. Quando la sorella Hilda ricorda a Connie la partenza per un viaggio in Italia, fissata il 17 giugno, la storia è a una svolta. Lo scandalo della relazione sta per emergere e Connie prenderà le sue decisioni, seguendo l’istinto, la natura e il futuro che “Dio solo sa dove stia”. 

 

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16 Giugno

16 giugno 2016

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Così giovedì sedici giugno Pat. Dignam per colpo apoplettico deposto nella terra e oggi dopo forte siccità infine piovve, Dio volendo, un barcaiolo venuto per via d’acqua da circa cinquanta miglia con carco di torba disse che il grano non buttava, i campi assetati e di cattivo colore putivano gravemente, le paludi come lande. Aria soffocante e giovani polloni tutti secchi senza adacquate da tanto tempo che non v’era memoria d’una simile arsura. I boccioli di rose rappresi e iscuriti, sulle colline giunchi riarsi e rami secchi da infiammarsi in un momento

James Joyce, Ulisse, 1922, tr. it. G. Celati, Einaudi, 2013, pp. 545-546

Festeggiato in Irlanda e in altri paesi come Bloomsday, il 16 giugno è il giorno in cui, nell’anno 1904, si svolgono le vicende di Leopold Bloom, della moglie Molly, di Stephen Dedalus e degli altri protagonisti dell’Ulisse di Joyce. La data 16 giugno 1904 compare per esteso in una lettera scritta a macchina dalla segretaria dell’impresario Blazes Boylan, amante di Molly (episodio 10) e nel bilancio della giornata (episodio 17) ed è richiamata in vari punti del testo. Dalla casa di Bloom, attraverso le strade di Dublino, i pub, i bagni pubblici, la spiaggia, il cimitero, il bordello, la giornata trascorre, dalle 8 della mattina a notte fonda, segnando il tempo degli avvenimenti e dei pensieri simultanei di tutti. Il funerale di Patrick Dignam, svoltosi in mattinata, è richiamato la sera, mentre arriva la pioggia e Bloom si trova all’ospedale, in attesa del parto di una conoscente, la signora Purefoy.
Il numero 16 è citato nel confronto fra l’età di Bloom e quella di Stephen Dedalus (episodio 17) e torna, alla fine del monologo di Molly, quando la donna ricorda il giorno in cui è stata chiesta in sposa, “ed era un anno bisestile come adesso sì 16 anni fa”.
Vai a Dublino 1661904

 

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15 Giugno

15 giugno 2016

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Adesso il calendario riportava la data di VENERDÌ 15 GIUGNO, e già a gennaio lei aveva scritto su quel foglietto: “15 anni”. La impressionava doppiamente il fatto di compiere 15 anni proprio il giorno 15: una coincidenza del genere non si sarebbe mai più ripetuta

Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia, 1991, tr. it. M. Podestà Heir, Longanesi 1994 (2004), p. 301

Due ragazze norvegesi, Sofia e Hilde, stanno per compiere quindici anni il 15 giugno 1990. Le loro vite si sono collegate al principio di maggio, quando Sofia ha cominciato a trovare nella cassetta della posta una strana corrispondenza: lettere che contengono domande filosofiche e cartoline, indirizzate a Hilde, che portano il timbro del 15 giugno. Il tempo che manca al compleanno sarà occupato, per Sofia, da una serie di lezioni sui maggiori filosofi, tenute solo per lei da un personaggio misterioso, mentre Hilde riceverà – proprio il 15 giugno, come regalo di compleanno – la storia di Sofia, in un gioco di specchi e di coincidenze che si concluderà al solstizio d’estate.
(Coincidenze: nell’
Ulisse di Joyce, Milly, la figlia di Leopold e Molly Bloom, compie 15 anni il 15 giugno dell’anno narrato, che è il 1904: “Quindici anni ieri. Strano, anche il quindici del mese”).

 

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14 Giugno

14 giugno 2016

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Lui spinse indietro la poltroncina per aprire il cassetto della scrivania. Ne trasse un foglio piegato e me lo porse. Lo spiegai e vidi che era un telegramma spedito da El Paso il 14 giugno alle 9 e 19 antimeridiane. Era indirizzato a Derace Kingsley, 965 Carson Drive, Beverly Hills e diceva:

Varco frontiera per ottenere divorzio messicano stop sposerò Chris stop buona fortuna e addio – Crystal

Raymond Chandler, In fondo al lago, 1943, tr. it. I. Omboni, in Tutto Marlowe investigatore, Mondadori 1982, p.651

Due donne molto somiglianti fra loro sono scomparse, in questo caso affidato all’investigatore Philip Marlowe. Muriel, la moglie di Bill Chess, il custode della tenuta di Punta Puma, è sparita il 12 giugno, poco prima di Crystal, la moglie di Kingsley, padrone della tenuta. Quando Marlowe comincia ad occuparsi del caso è passato un mese dalle ultime tracce, un biglietto d’addio di Muriel e un telegramma spedito – così sembra – da Crystal, il 14 giugno, dal confine con il Messico. Le due sparizioni sono molto più collegate di quello che sembri e molto diverse da ciò che appare. Lo svelamento – tragico e sorprendente – di questo legame porterà Marlowe a capire cosa è accaduto il mese prima e chi ha veramente spedito il telegramma quel 14 giugno. 

 

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13 Giugno

13 giugno 2016

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A Leningrado Vatanen fu alloggiato all’hotel Astoria, il tempo necessario per chiudere definitivamente il caso da parte sovietica. La giustizia sovietica rinunciò a ogni diritto su di lui e finalmente, il 13 giugno, Vatanen fu condotto alla stazione, al treno in partenza per la Finlandia. Il maggiore che l’accompagnava lo abbracciò calorosamente e lo baciò sulle due guance:
– Compagno, quando sarai libero, vot, vieni di nuovo all’Astoria, berremo un bicchierino insieme

Arto Paasilinna, L’anno della lepre, 1975, tr. it. E. Boella, Iperborea, Milano, 1994, p. 195

L’avventura dell’anno della lepre comincia in prossimità del solstizio d’estate, ai bordi di una foresta finlandese e si conclude dopo un anno, nella zona di confine fra Finlandia e Unione Sovietica e poi nella città che ancora – al tempo della storia – si chiamava Leningrado. Il protagonista, il giornalista Vatanen, dopo aver investito una lepre con la macchina, decide di lasciare lavoro, famiglia e vita cittadina per vivere alla giornata, lavorando come taglialegna, vaccaro, aiuto pompiere, sempre accompagnato dalla lepre. Ogni spostamento rivela a Vatanen qualcosa della natura, delle bestie, delle persone, della società: diffidenza e generosità, ottusità e una vena di follia, si alternano durante i mesi di questo vagabondaggio, finché Vatanen si trova a lottare con un grande orso, a inseguirlo oltre i confini della Finlandia, in territorio sovietico, da cui è rilasciato il 13 giugno, alle soglie del nuovo solstizio d’estate (e di una nuova fase della sua vita). 

 

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12 Giugno

12 giugno 2016

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Le dieci o dodici pagine successive erano riempite da una curiosa serie di annotazioni. C’era una data a un capo d’ogni riga, e all’altro capo una somma di danaro, come in un normale libro di conti; ma invece della causale c’era nel mezzo soltanto un numero variabile di croci. Al 12 giugno del 1745, per esempio, era annotata una somma di settanta sterline che evidentemente era dovuta a qualcuno, e non c’era nulla, a parte sei croci, che ne spiegasse il motivo. In qualche caso, però, era stato aggiunto il nome di una località, come “Al largo di Caraccas”, oppure una semplice indicazione di latitudine e longitudine: “62° 17′ 20″, 19° 2′ 40″”.

Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, 1883, tr. it. L. Maione, Feltrinelli 2001 (2010), p. 78

Dal pacchetto di tela cerata che il vecchio lupo di mare Billy Bones ha lasciato, morendo, nella locanda di Jim Hawkins, sono usciti un quaderno e una carta sigillata. Quest’ultima è la mappa di un’isola con tre croci in inchiostro rosso, la data di agosto 1750 e la scritta “Qui il grosso del tesoro”. Il quaderno è il libro dei conti del marinaio, che faceva parte dell’equipaggio del capitano Flint, il pirata. In un mondo in cui le date suggellano contratti, deposizioni, atti notarili, anche un pirata ha bisogno di mettere nero su bianco, con incerta scrittura, la parte del bottino che gli spetta, collegandola con esattezza al giorno del saccheggio. Come questo 12 giugno del 1745 in cui una nave sarà stata assalita e i poveretti che erano a bordo “si saranno tramutati da un pezzo in corallo”. 

 

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11 Giugno

11 giugno 2016

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“11 giugno. Oggi è il mio compleanno. Esattamente settanta anni fa precipitai dal ventre del grande Buio nella Luce e nella Vita. Mio Dio! Mio Dio! è più breve della rabbia di un’ora, più veloce di un sonno pomeridiano. Ul-Jabal mi ha fatto auguri calorosi, ne sembrava impaziente da tempo, e mi ha ricordato che settanta è uno dei numeri fatali, perché i suoi fattori sono sette, cinque e due: l’ultimo denota la dualità di nascita e morte, il cinque l’isolamento, il sette l’infinito. Lo ho informato che era anche il compleanno di mio padre, e di suo padre

Matthew Phipps Shiel, Il principe Zaleski (La pietra dei monaci di Edmundsbury) , 1895, tr. it. A. Carapezza, Sellerio 1986, p. 57

Una pietra preziosa che, se rubata o manomessa, porterebbe alla rovina la famiglia inglese che la possiede da secoli. Il seguace di un’antica setta orientale in cerca della stessa pietra, un tempo appartenuta al fondatore della setta. Il diario di Sir Jocelin Saul, ultimo discendente della famiglia, minacciato di morte. Intorno a tali elementi si svolge la storia di questo caso, risolto dal principe Zaleski, un detective di vasta cultura esoterica. E un velo di magia è posato su tutta la storia, anche sulla data che apre il diario, la data di nascita di Jocelin Saul, che si ripete fatalmente di padre e in figlio: l’undici di giugno.

 

 

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10 Giugno

10 giugno 2016

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Il 10 giugno del 1940 era una giornata nuvolosa. Erano tempi che non avevamo voglia di niente. Andammo alla spiaggia lo stesso, io e un mio amico che si chiamava Jerry Ostero. Si sapeva che al pomeriggio avrebbe parlato Mussolini, ma non era chiaro se si sarebbe entrati in guerra o no. Ai bagni quasi tutti gli ombrelloni erano chiusi; passeggiammo sulla riva scambiandoci supposizioni e opinioni, con frasi lasciate a mezzo, e lunghe pause di silenzio

Italo Calvino, L’entrata in guerra, 1954, in Romanzi e racconti, I Meridiani Mondadori, vol. I, 1991 (ed. cons. 2003), p. 485

La mattina del 10 giugno del 1940, il ragazzo, protagonista di questo racconto, è al mare con un amico. Il tempo è nuvoloso, ma una schiarita permette di fare un giro in moscone, di tirare su col remo una medusa, di corteggiare una ragazza. Tutto cambia in poche ore: “Quando ci ritrovammo verso le sei, eravamo entrati in guerra. Era sempre nuvolo; il mare era grigio”. L’annuncio di Mussolini che l’Italia parteciperà al conflitto al fianco della Germania, spezza in due quella giornata, anniversario anche del delitto Matteotti, avvenuto sedici anni prima. E porta i primi allarmi aerei, le prime manovre militari, le corriere con i profughi, alloggiati nella scuola. Il ragazzo si darà da fare per dare una mano agli sfollati, passando così, in poche ore che sembrano giorni e giorni, dalla gita in pattino al “continente grigio” della guerra. 

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9 Giugno

9 giugno 2016

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Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese dell’anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l’usanza nostra ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme

Dante Alighieri, Vita nuova, XXIX (XXX), 1292-1293 (ed. Garzanti 1993, pp. 55-56)

La Beatrice di Dante è identificata, storicamente, con la figlia di Folco Portinari, morta nel giugno del 1290. Nella Vita nuova, Beatrice – incontrata per la prima volta quando il poeta ha nove anni e di nuovo a distanza di nove anni – è evocata come immagine dell’amore, cortese e cristiano, e come tramite di una riflessione sulla vocazione poetica e profetica dell’autore. Al numero nove, simbolo di perfezione in quanto prodotto del tre (la Trinità) per sé stesso, “si legano sia la figura di Beatrice che le vicende raccontate nella Vita Nuova”. Nel paragrafo XXIX, la data della morte della donna è restituita – comparando diversi calendari – attraverso questa cifra: secondo l’usanza d’Arabia, Beatrice è spirata nella prima ora del nono giorno di quello che – secondo l’usanza di Siria – è il nono mese dell’anno. Poiché i mesi “secondo l’uso siriano” si contano da ottobre, il nono mese è giugno; quanto al giorno, è passato il tramonto dell’8 e, “secondo l’usanza d’Arabia”, è la prima ora del giorno nono. “Questa donna fu accompagnata da questo numero del nove, a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo”, una “perfetta armonia numerica”.

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8 Giugno

8 giugno 2016

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Mai una volta mi è saltato in mente di scoprire da dove veniva l’acqua di casa nostra. Si vede che c’è un pozzo. Te l’immagini! E abbiamo abitato qui fin da quando avevo dieci anni! L’8 giugno 1949. Io sono dei Gemelli. Il mughetto è il fiore del giorno della mia nascita. Lo sapevi che i mughetti sono molto velenosi? Facemmo il trasloco qui il giorno del mio compleanno. Niente festa. L’autotreno rimase incagliato fra i pali del cancello d’entrata proprio il giorno del trasloco

Saul Bellow, Il pianeta di Mr. Sammler, 1970, tr. it. L. Ciotti Miller, Feltrinelli 1981, p.216

Mentre l’amato nipote Elya sta morendo in un ospedale di New York, lo zio Arthur Sammler, un intellettuale polacco settantenne che è arrivato negli Stati Uniti dopo essere scampato alla guerra e all’olocausto, è a New Rochelle, nella casa del nipote. Shula, la figlia di Sammler, durante una conferenza, ha sottratto il manoscritto di un libro sul Futuro della Luna al professore indiano Govinda Lal, per darlo al padre, che da anni sta scrivendo un saggio sullo scrittore di fantascienza Herbert G. Wells. La restituzione di questo manoscritto riunisce in casa  diversi componenti della famiglia e scatena un vivace confronto di opinioni, credenze, aspettative e ricordi. Nel pieno della discussione, ecco che l’appartamento si allaga perché uno dei figli di Elya ha rotto un tubo dell’acqua cercando nelle tubature il denaro che forse il padre vi ha nascosto. L’incidente riporta alla memoria la vita della casa e nella casa, associazioni di pensieri e giornate di vent’anni prima, come l’8 giugno del 1949. Lo scrittore Saul Bellow (1915-2005) festeggiava il suo compleanno il 10 giugno. 

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7 Giugno

7 giugno 2016

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il giorno sette di giugno, all’alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l’accaduto. Ancora, seppur parzialmente, sono Borges

Jorge Luis Borges, Lo Zahir (1947) in L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, I Meridiani Mondadori, 1985, I, p. 847

Dopo aver passato la notte vegliando l’amica Teodelina Villar, all’alba del 7 giugno, come resto di un’aranciata ordinata in una mescita di Buenos Aires, il narratore di questa storia – che si chiama Borges come l’autore- riceve una moneta da 20 centesimi. Da quel momento, il piccolo oggetto diventa un’ossessione, un pensiero a cui non si riesce a sfuggire, un’immagine forte come un incantesimo, a cui gli Arabi danno il nome di Zahir. Chi incontra lo Zahir – sotto qualunque forma – non può pensare ad altro, fino a dimenticare il mondo reale, guadagnando, però, forse, la visione di tutti i “futuri possibili”. Il 7 giugno torna in un altro racconto di Borges, dal titolo Tom Castro, l’impostore inverosimile.

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6 Giugno

6 giugno 2016

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Abbiamo strappato via un bel po’ di carta da parati in cucina vicino al frigorifero e abbiamo scoperto che sotto vari strati di carta (margherite; aggeggi adesivi Peel’n Stick per deodorare il frigo) c’erano, in condizioni perfette come il giorno in cui erano state scritte, le parole:

Un giorno radioso 

6 giugno 1974 

Sono lontano ma la mia idea di pace rimane con voi 

d. b.

Roba da hippy, ma mi è mancato il fiato quando l’ho letta. E per un attimo ho avuto la sensazione che un’idea sia più importante del semplice fatto di essere vivi, perché un’idea vive molto tempo dopo che te ne sei andato; poi la sensazione è svanita

Douglas Coupland, Microservi, 1995, tr. it. N. Vallorani e E. Guarneri, Feltrinelli, 1998, p. 68

La vita nella sede della Microsoft a Redmond, nei primi anni Novanta, è raccontata da Daniel Underwood, ventiseienne “individuatore di bug”, uno dei tanti giovani “Micro-servi”, impiegati  nella grande industria informatica di Bill Gates. I ritmi di lavoro pressanti e la costante concentrazione sul linguaggio di programmazione stravolgono anche il senso del tempo, che “non è necessariamente lineare”, ma sembra scorrere “in strani mucchi, fasci e mazzetti”, mentre la vita procede giorno per giorno, “una riga di codice senza bug alla volta”. Ogni tanto c’è il bisogno di guardare indietro ed è quello che Daniel fa un giovedì, fra libri e riviste degli anni Settanta. Proprio una data di quegli anni – 6 giugno 1974 – è emersa su una parete della cucina, in un messaggio di pace e serenità lasciato da un precedente abitante della casa e su cui si sono posati strati di carta da parati e di tempo. 

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5 Giugno

5 giugno 2016

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Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciteralle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

Dicono del libro

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4 Giugno

4 giugno 2016

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Alla maggior parte dei passeggeri di prima classe della Tobakoff, il pomeriggio del 4 giugno 1901, nell’Atlantico, sul meridiano dell’Islanda e alla latitudine di Ardis, non sembrava propizio agli svaghi all’aria aperta: il cielo di un vivido blu cobalto era solcato da continue folate d’aria gelida e l’acqua della vecchia piscina inondava ritmicamente le piastrelle verdi del bordo; ma Lucette era una ragazza intrepida, abituata ai venti corroboranti non meno che alla detestabile luce del sole

Vladimir Nabokov, Ada o ardore, 1969, tr. it. M. Crepax, Adelphi,  p. 492

La cronaca familiare raccontata da Nabokov nel romanzo Ada o ardore è intricata come un bosco. Le relazioni fra coniugi, cugini, genitori, figli e figlie, fratelli e sorelle, sono presentate all’inizio del libro in un albero genealogico che, però, non dice tutta la verità sui legami di sangue. Nel corso della vicenda, ci si accorge che i due protagonisti principali – Van e Ada, legati da un’attrazione prodigiosa – sono più che cugini. Anche lo spazio e il tempo non coincidono con le nozioni comuni: la Terra è una terra aumentata, dove luoghi esistenti si sovrappongono ad altri fantastici e il Tempo è addirittura l’oggetto di un racconto nel racconto. Le date sono scelte con cura da Nabokov, che nasconde il suo compleanno (23 aprile) e quello della moglie Vera (5 gennaio) nella trama. Il 4 giugno – si è verso la fine della vicenda – Van è imbarcato su una nave, dove si trova anche la sorella minore di Ada, Lucette, che va incontro al suo destino. Quest’opera di Nabokov è stata rappresentata dalla bottega teatrale Fanny & Alexander, di Chiara Lagani e Luigi De Angelis, in una serie di spettacoli che seguono diverse tracce nella mole complessa del romanzo. Sul 4 giugno, l’ultimo giorno di Lucette, Chiara Lagani ha scritto questo commento per Diconodioggi:

Dicono del libro

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3 Giugno

3 giugno 2016

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Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi al buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo estremamente categorico, la seguente: “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. Giunti, 1994, p. 15

Nei suoi tentativi di smettere di fumare – che lo hanno portato anche in una casa di cura – Zeno Cosini annette una grande importanza alla data dell’ultima sigaretta. “Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. Le date delle tante ultime sigarette sono segnate sulle pareti, sui libri, sulla ghiaia: sono collegate ad avvenimenti storici, anniversari pubblici e privati o sono scelte in base a concordanze e relazioni fra le cifre, come questa del 3. 6. 12 ore 24, in cui la sequenza aritmetica è ironicamente (e inutilmente) salutata come un buon segno per la riuscita del proposito. 

Dicono del libro

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