6 Gennaio

6 gennaio 2024

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L’inverno terminò quell’anno sotto il segno di una congiuntura astronomica particolarmente favorevole. I pronostici colorati del calendario fiorivano in rosso sulla neve ai bordi dei mattini. Il rosso fiammeggiante delle domeniche e delle feste gettava il suo riflesso su metà della settimana, e quei giorni bruciavano a freddo in un fuoco falso, di paglia, i cuori illusi battevano per un attimo più in fretta, accecati da quel rosso annunciatore, che non annunciava niente ed era solo un allarme prematuro, una finzione colorata del calendario dipinta in vivace cinabro sulla copertina della settimana. A partire dall’Epifania, sedevamo ogni notte alla bianca parata del tavolo risplendente di calendari e di argenti, facendo solitari senza fine.

Bruno SchulzLa cometa, 1938, Kometatr. it. A. Vivanti Salmon, in Le botteghe color cannellaEinaudi, Torino, 2001, p. 281

Dicono del libro
“Il punto di partenza della fantasia visionaria di Bruno Schulz è l’affollata e disordinata bottega di stoffe del padre: un vecchietto-demiurgo che sconvolge in modo imprevedibile tutte le regole della fisica e della ragione. Jacob si arrampica come un ragnetto per gli scaffali, inseguendo i ragni; elabora arzigogolate cosmogonie interpretando a modo suo i segni del cielo; si circonda di specie bizzarre e variopinte di volatili, diventando anche lui una sorta di feroce condor; si trasforma in pompiere con tanto di divisa rosso fiammante e alamari d’oro… Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo (basta come pretesto, ad esempio, un vecchio album di francobolli) si accavallano con l’ausilio di una lingua poetica scoppiettante di metafore. Scettico sulle possibilità di conoscenza umana, Schulz aveva dato libero sfogo alla fantasia e alla «mitizzazione» della realtà. Nell’infinita varietà dei suoi aspetti, l’opera di Schulz ha una sua unitarietà. I racconti, assieme ai disegni, costituiscono un Libro: una sorta di Bibbia dell’infanzia perduta”.
(Dalla postfazione di F. M. Cataluccio, ed Einaudi)

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5 Gennaio

5 gennaio 2024

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Volle il fato che in una notte fredda e senza luna, e di insistente e fine pioggia d’alto mare, distante parecchie miglia dalla costa sud di Babàkua, il grande pittore Panizo del Valle, che indossava un impermeabile grigio quasi identico al mio, andasse ad appoggiarsi al parapetto dove stavo appoggiato anch’io, su quella nave così fiera del suo passato (nientemeno il Bel Ami con la sua storica chiglia), che ci portava in quel remoto paese dove io ero così rispettato e amato e dove avevo pilotato – che bei giorni quelli in cui si cammina senza sapere che il tempo cammina con noi – una fantastica baleniera.
Era la notte del cinque gennaio del 1917

Enrique Vila-Matas, Mi dicono che dica chi sono (Suicidi esemplari), 1991, tr. it. L. Panunzio Cipriani, Sellerio, 1994 p. 137

Nella notte nebbiosa del 5 gennaio, su una nave che sta per approdare nell’isola di Babàkua, uno strano dialogo ha luogo fra il narratore  – che si presenta come marinaio – e un pittore, che sta andando per la prima volta nel luogo da cui provengono tanti soggetti dei suoi quadri. Via via che sul ponte della nave  la conversazione prosegue, il marinaio-narratore si rivela insidioso e allarmante per il pittore, presentandogli i difetti del paese in cui stanno per approdare, e la malignità dei suoi abitanti, che il pittore ha ritratto in passato. Le insidie, le ambiguità, gli allarmi si riflettono anche nelle frasi alla rovescia che il narratore pronuncia e nel suo nome e cognome “Satam Alive” in cui risuona il termine diavolo. Intanto la nave raggiunge il porto e la vicenda si avvia a compiersi. 

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4 Gennaio

4 gennaio 2024

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Sono nato il 4 gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo. Lo si potrebbe quasi considerare un evento da commemorare ed è per questo che i miei genitori mi hanno chiamato Hajime che significa ‘inizio’. A parte questa singolare coincidenza, non ci sono altri particolari degni di nota riguardo la mia nascita. Mio padre lavorava in una grande società di intermediazione mobiliare, mentre mia madre era una comune casalinga. Mio padre era stato mandato a Singapore a combattere insieme agli altri studenti ed era rimasto lì in un campo di prigionia per un po’, anche dopo la fine della guerra. Nell’ultimo anno del conflitto la casa di mia madre era stata completamente distrutta dalle fiamme, dopo il bombardamento di un B29.  Quella dei miei genitori era una generazione che aveva sofferto le ferite di una lunga guerra.
Alla mia nascita, però, non era rimasto quasi nulla che potesse richiamarne alla mente il ricordo…

Haruki Murakami, A sud del confine, a ovest del sole1992, tr. it. M. De Petra, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 9

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3 Gennaio

3 gennaio 2024

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Fin da S. Silvestro spirava un forte vento di nord-est, che nei giorni seguenti si accrebbe quasi fino a diventare una tempesta, e il pomeriggio del tre gennaio corse la voce che una nave non era riuscita ad entrare in porto, ed era naufragata a cento metri dal molo; era una nave inglese… Furono tratti in salvo tutti quanti, e mezz’ora dopo, tornando a casa con Innstetten, Effi avrebbe voluto gettarsi sulla sabbia e piangere. Un sentimento puro aveva trovato nuovamente posto nel suo cuore, ed essa si sentiva infinitamente felice che fosse così. Questo era accaduto il tre di gennaio

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti, 1981, p. 150

Effi è stata una ragazza spensierata, che ha lasciato la casa paterna per seguire il marito nel nord della Germania, in un ambiente desolato e solitario. Gli anni sono trascorsi fra abitudini pedanti e poco calore, malgrado la nascita di una figlia. L’arrivo di un nuovo comandante del distretto, un viaggio notturno in slitta durante le feste di Natale, la trascinano nell’avventura e nell’ambiguità. Il 3 di gennaio di un anno alla fine dell’Ottocento, mentre assiste al salvataggio dei marinai, Effi prova una gioia  pura, così diversa dalla sua condizione. E quel giorno ha come un presentimento, per contrasto, dei giorni infelici che la attendono.

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2 Gennaio

2 gennaio 2024

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2 gennaio 1922. Sui fogli posati sopra il tavolo, al posto dei soliti bozzetti, ho scritto con una grafia che stento a riconoscere: “Sono le sei del mattino e Diego non è qui”. Con stupore osservo lo scarabocchio sul foglio bianco che non mi azzarderei mai a usare se non per un disegno: “Sono le otto del mattino, non sento Diego far rumore, andare in bagno, percorrere il tratto dall’entrata sino alla finestra e guardare il cielo con un movimento lento e grave come era sua abitudine fare, credo che diventerò pazza”. (…) Le ultime parole sono tracciate con violenza, strappano quasi il foglio e piango davanti all’ingenuità del mio sfogo. Quando l’ho scritto? Ieri? L’altro ieri? La sera scorsa? Quattro sere fa? Non so, non ricordo

Elena Poniatowska, Caro Diego ti abbraccia Quiela, 1978, tr. it. S. Zatta, Giunti, Firenze, 1992, p.44

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1 Gennaio

1 gennaio 2024

 

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Sapevo di essermi innamorato di Lolita per sempre; ma sapevo anche che lei non sarebbe stata per sempre Lolita.Il primo gennaio avrebbe compiuto tredici anni.
Entro un paio d’anni avrebbe cessato di essere una ninfetta e si sarebbe trasformata in una ‘ragazza’, e poi, orrore degli orrori, in una college girl.
La parola ‘per sempre’ si riferiva solo alla mia intima passione, a quell’eterna Lolita che si rifletteva nel mio sangue    

Vladimir Nabokov, Lolita, 1955, tr. it. G. Arborio Mella, Adelphi, 1993, p. 86

Chi parla di questo primo gennaio, nel romanzo di Nabokov, è il professor Humbert Humbert. Colto europeo trasferitosi nel New England, vive nella casa della signora Haze, la cui figlia dodicenne, Dolores detta Lolita, è una fanciulla in fiore, immagine perfetta, antichissima e attuale, del desiderio. Quando Humbert Humbert riflette sul compleanno della ragazza, la vicenda è a una svolta. Stanno per accadere dei fatti (il matrimonio con la Haze e la morte di questa) che porteranno Humbert Humbert e Lolita in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, fra motel e cittadine sconosciute, sospetti, capricci, perversioni. Intanto Lolita cresce, comincia a frequentare amiche e ragazzi, finché non scappa, realizzando il presentimento di Humbert Humbert sull’inesorabile passaggio di tempo di cui il compleanno è simbolo e soglia. 

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31 Dicembre

31 dicembre 2023

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Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia,  un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se sono già caduti i piani alti, è meglio che rovini giù tutto e si mescolino i semi

José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis, 1984, tr. it. R. Desti, Feltrinelli, 1985, p. 48

È il 31 dicembre del 1935 quando Ricardo Reis, medico portoghese di quarantotto anni, aspetta l’arrivo dell’anno nuovo nell’albergo Bragança di Lisbona. Nelle case di Lisbona si preparano i festeggiamenti e l’uva passa da mangiare a mezzanotte, un chicco per ogni rintocco, per chiamare la fortuna nei dodici mesi che verranno. È una giornata di temporali improvvisi e di schiarite. Ricardo Reis è arrivato a Lisbona da due giorni, dopo sedici anni di lontananza dal suo paese. Ha intenzione di aprire uno studio medico. Ma, prima di tutto, vuole rendere omaggio alla tomba di Fernando Pessoa, il poeta e amico morto un mese prima. È il poeta che l’ha inventato, proprio così, e grazie al quale vive una vita propria, apparentemente reale. Il 31 dicembre, dopo aver passeggiato per il centro, Ricardo Reis è tornato in albergo, dove tutti attendono, con gli occhi sull’orologio, la “riga di luce”, la “frontiera” invisibile che scandisce il passaggio da un anno all’altro. Rientrato in camera Reis trova seduto sul sofà proprio Pessoa: non è un fantasma, ma l’ombra che permane sulla terra per nove mesi dopo la morte e che lo visiterà ancora, da buon amico, per il tempo che gli rimane, pieno di avvenimenti privati e di tragedie pubbliche, la dittatura, e la guerra di Spagna del 1936. 

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30 Dicembre

30 dicembre 2023

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Quando, la mattina del 30 dicembre, nella via dei Condotti, inaspettatamente si rincontrò con Elena Muti, egli ebbe una commozione inesprimibile, come d’innanzi al compiersi d’un fatto meraviglioso, come se il riapparir di quella donna in quel momento tristissimo della sua vita avvenisse per virtù d’una predestinazione ed ella gli fosse inviata per soccorso ultimo o per ultimo danno nel naufragio oscuro

Gabriele d’Annunzio, Il Piacere, 1889, ed. cons. Mondadori 1990, p. 244

Dopo due anni di lontananza, il conte Andrea Sperelli incontra di nuovo, a Roma, la sua amante Elena Muti. Si sono lasciati senza un motivo e da allora Andrea ha avuto diverse avventure, ha affrontato un duello e si è innamorato di una donna sposata, molto diversa da Elena. Tornato a Roma in autunno, si è rituffato nella vita mondana della città. Il 30 dicembre, giornata serena e tiepida, quasi primaverile, passeggia fra le vetrine e le vetture di via dei Condotti, vicino a piazza di Spagna. È lì che inaspettatamente incontra Elena e la invita a casa sua per l’indomani, giorno di San Silvestro, ultimo dell’anno, sperando che l’incontro possa riportare in vita il passato che hanno vissuto insieme.

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29 Dicembre

29 dicembre 2023

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Oki era l’unico viaggiatore in quel vagone. Sprofondato nel sedile, guardava distratto la poltrona sull’altro lato, che continuava a girare su se stessa. Non che girasse sempre nella medesima direzione o con la medesima velocità. Accelerava, rallentava, si arrestava di tanto in tanto e a volte rimaneva completamente  immobile per qualche minuto, poi riprendeva a girare nella direzione opposta. Guardando la poltrona che girava da sola nel vagone deserto Oki sentiva affiorare la solitudine stagnante in fondo al suo cuore, dove continuavano a fluttuare pensieri incerti. Era il ventinove dicembre. L’anno stava per finire. Oki aveva preso il treno perché voleva sentire il suono delle campane a Kyoto, nell’ultima notte dell’anno

Yasunari Kawabata, Bellezza e tristezza, 1965, tr. it. A. Suga, Einaudi 1983, p. 3

A due giorni dalla fine dell’anno, il celebre scrittore Oki sta viaggiando sul treno per Kyoto. Tutti gli anni, per capodanno, la radio trasmette i rintocchi delle campane di Kyoto e Oki vuole sentirli dal vivo. Ma non solo per questo ha intrapreso il viaggio. A Kyoto vive una donna con cui molti anni prima ha avuto una relazione, quando lei era una sedicenne e lui un uomo sposato. La storia era finita male, con un bambino nato morto e un tentativo di suicidio della ragazza. Dopo quella vicenda, Oki aveva pubblicato un libro di grande successo. Ora vuole rivedere la donna, che fa la pittrice e vive nel recinto di un tempio buddista. Per questo è sul treno, il 29 dicembre, mentre viene buio presto e il monte Fuji appare all’orizzonte. 

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28 Dicembre

28 dicembre 2023

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Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case

Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, 1910, in Novelle per un anno, Giunti, 1994, vol. I, p. 572

In uno scompartimento di prima classe di un treno che percorre la Sicilia, i viaggiatori rievocano il terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908 e alcuni episodi di salvataggi ed eroismi che che accaddero in quella tragica occasione. Il professore protagonista della novella, però, ha un parere tutto suo sul tema dell’eroismo e sulle conseguenze di atti a prima vista sublimi. Più che esaltare l’attimo glorioso il professore considera l’evolversi successivo dei fatti, quando la vita ordinaria – passata l’emergenza – riprende il sopravvento. Come esempio porta se stesso, autore, anni prima, del coraggioso salvataggio di una famiglia di sei persone la cui riconoscenza, col tempo, è diventata una catena e un peso che ha rovinato la sua vita.

Dicono del libro
“Pubblicata nel ‘Corriere della sera’ del 10 aprile 1910; in La trappola, Milano, Treves, 1915; in L’uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922″.
(Dalla nota nell’ed. Giunti, op. cit.)

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27 Dicembre

27 dicembre 2023

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Un 27 dicembre mi sposai. Un quadro di Paul Klee dedicato al  numero 27 sintetizza mirabilmente le luci e le ombre della società segreta: può essere visto in casa della contessa di Vansept, che vive al numero 27 di una via di Parigi e ha 27 nipoti, ecc…

Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile, 1985, tr. it. L. Panunzio Cipriani, Sellerio, 1989, p. 62 

Dicono del libro
“Confondendo come sempre realtà e finzione, compilando note e bibliografie fasulle, Vila-Matas ci getta nel solco dell’esplosione creativa che fece seguito al dadaismo, narrando l’improbabile storia di Duchamp, Savinio, De La Mare, Larbaud, Littbarski e molti altri membri di una fantomatica ‘società portatile’. Unica regola: l’opera d’arte dev’essere minuscola e stare in valigia. Il mondo è una miniatura, la guerra un gioco di soldatini, l’amore una macchina celibe. Per questo tutti gli affiliati a questa sconclusionata società segreta si chiamano shandys, ‘scervellati’ – secondo il dialetto parlato da Sterne – seguaci di Toby Shandy, primo artista “portatile” della storia, inerme soldato che sul suo cavalluccio attraversa con ostinata semplicità la strada della vita, riducendo a un gioco da giardino la guerra che, con la sua terribile realtà, l’ha reso impotente. Nuovi shandys, testimoni e protagonisti malinconici delle scorribande intellettuali degli anni venti, sono due colossi del pensiero e della poesia del Novecento: Walter Benjamin e Andreij Belij. I lori volti, che arrivano a confondersi nella scena finale, portano i segni di ‘coloro che rischiarono parecchio, se non la vita per lo meno la follia’, creando opere forse oscure ma sempre “portatili”, nemiche dell’ingombro e del pensiero tetragono. Si rilegga dunque questa breve storia, utile a smascherare quelli che non sono cattivi scrittori ma, diceva Broch, soltanto delinquenti”.
Stefano Moretti (dalla pagina del libro nel sito ibs)

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26 Dicembre

26 dicembre 2023

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Il signor Willard mi portò in macchina sugli Adirondacks. Mi sentivo rimpinzata, ottusa e delusa, come sempre mi accade il giorno dopo Natale quasi che tutte le promesse, qualunque esse fossero: rami di pino, candele, regali avvolti in nastri d’oro e d’argento, fuoco del ceppo di betulla, tacchino natalizio e inni cantati al pianoforte mai si realizzassero. A Natale desideravo quasi di essere cattolica. Dapprima guidò il signor Willard, poi io. Non so di che parlassimo, e mentre ci lasciavamo alle spalle la campagna ormai sprofondata sotto precedenti nevicate e ci inoltravamo in un paesaggio ancora più squallido e gli abeti, di un verde così cupo da parer neri, scendevano a gruppi dalle grigie colline fino sull’orlo della strada, mi sentivo sempre più tetra

Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963, tr. it. D. Menicanti, Mondadori, 1979, p. 80

In un albergo di New York, città dove sta svolgendo uno stage in una rivista, la giovane Esther, aspirante scrittrice, sente risvegliarsi un dolore alla tibia. È un dolore profondo, che la riporta a un episodio altrettanto doloroso, accaduto durante le feste di Natale. Il suo amico Buddy Willard, studente di medicina con cui ha una contrastata relazione, è ricoverato in un ospedale sui monti Adirondack, per curare una malattia dei polmoni. Esther va a trovarlo insieme col padre di lui, il signor Willard, che guida la macchina nel paesaggio innevato. La ragazza, in realtà, vorrebbe tornare indietro, ma non riesce a farlo e prosegue il viaggio verso Buddy e verso un incidente con gli sci, in cui riporterà la frattura della gamba. Il viaggio si svolge il 26 dicembre,  il giorno successivo al Natale, giornata che riflette in pieno – con la sua atmosfera da giorno-dopo la festa – l’insoddisfazione di Esther in quel momento. 

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25 Dicembre

25 dicembre 2023

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Terribile senso di desolazione. Incombeva su di me da anni. Se credessi nelle stelle dovrei credere che io fossi proprio sotto l’influenza di Saturno. Tutto quel che mi succedeva era troppo tardi per significare qualcosa. Fu così anche la mia nascita. Fissato per Natale, venni al mondo con mezz’ora di ritardo. Parve sempre a me che io dovevo essere il tipo di individuo che uno è destinato a diventare per esser nato il 25° giorno di dicembre. L’ammiraglio Dewey nacque in quel giorno, e così Gesù Cristo… forse anche Krishnamurti, ch’io sappia. Comunque questo ero il tipo che io dovevo essere

Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1987, p. 67

In Tropico del Capricorno, romanzo largamente autobiografico che prende il titolo dal segno zodiacale di questo periodo, lo scrittore americano Henry Miller (nato il 26 dicembre del 1891), si presenta sotto le spoglie del protagonista della storia. Un giovane inquieto e contraddittorio, che guarda spietatamente dentro di sé mentre vive, negli anni Venti, a New York, impiegato nell’ufficio del personale della Cosmodemonic Telegraph Company. In questa pagina il discorso cade sulla data di nascita, giorno fatale che può segnare tutto il destino futuro, delle persone comuni, come dei grandi della storia e della religione, Gesù compreso. 

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24 Dicembre

24 dicembre 2023

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Una mattina, all’alba (era il 24 dicembre 1744) Paul scorse, alzandosi, una bandiera bianca inalberata sul monte La découverte. Era il segnale di un bastimento che si vedeva in mare. Paul corse in città nella speranza che portasse notizie di Virginie, e vi rimase fino al ritorno del pilota del porto che era salito sul bastimento, secondo l’usanza, per procedere al riconoscimento. L’uomo non tornò fino alla sera. Riferì al governatore che il bastimento segnalato era il Saint-Géran, aveva una portata di settecento tonnellate ed era comandato dal capitano M. Aubin; si trovava a quattro leghe al largo, e avrebbe gettato l’ancora nelle acque di Port-Louis il pomeriggio del giorno seguente, in caso di vento favorevole. Per il momento di vento non ne tirava affatto

Bernardin de Saint-Pierre, Paul e Virginie, 1787 tr. it. R. Carifi, Bompiani, 1995, pp. 100-101

La vicenda di Paul e Virginie si svolge nel Settecento nell’isola Mauritius, dove i due protagonisti sono cresciuti insieme sin da piccoli. Figli di due donne francesi che hanno dovuto rifarsi una vita lontano dalla patria, i due giovani sono vissuti felicemente nella natura, ignari della civiltà, finché Virginie non è stata costretta a tornare in Francia per una questione di eredità. Dopo una lunga assenza, la ragazza ritorna all’isola, al suo piccolo paradiso e al suo innamorato. La nave ha affrontato la traversata nel periodo degli uragani ed è giunta in prossimità dell’isola il 24 dicembre, giornata afosa, col cielo coperto di nubi basse. È il segno che di lì a poco si scatenerà una tempesta, dalla quale non tutti i passeggeri della nave riusciranno a salvarsi. Malgrado gli sforzi di Paul, Virginie sarà travolta dalle acque a poca distanza dalla riva, nel caldo del dicembre australe. 

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23 Dicembre

23 dicembre 2023

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Anche nell’altro scatolone c’erano oggetti poco interessanti. Un’incisione vittoriana della cappella del King’s College. Una sveglia Waralarm da pochi soldi, regolata per suonare alle undici, in una custodia di fibra nera. Una radiolina. Un tocco accademico e una toga polverosa. Una boccetta d’inchiostro. Un telescopio. Una copia del “Times” del 23 dicembre 1942, piegata alla pagina del cruciverba che era stato compilato in due grafie diverse, una molto minuta e meticolosa, l’altra più arrotondata, probabilmente femminile. Sopra il cruciverba era scritto 2712815. E infine, in fondo allo scatolone, una carta che, aperta, risultò essere non dell’Inghilterra e nemmeno della Germania, come la signora Armstrong aveva sospettato e sperato, bensì del cielo notturno

Robert Harris, Enigma, 1995, tr. it. R. Rambelli, Mondadori, 1996, pp. 110-111

Dall’inizio della II guerra mondiale, il giovane matematico inglese Tom Jericho lavora a Bletchley Park, l’unità dei servizi segreti britannici destinata alla decifrazione dei messaggi in codice tedeschi, in particolare di quelli relativi alle missioni dei sottomarini U-Boot. All’inizio in pochi, gli addetti alla decrittazione dei messaggi sono aumentati col passare dei mesi, trasformando la residenza di Bletchley Park in un quartier generale dove si muovono – accanto al matematico Alan Turing – le menti più geniali della logica e dell’analisi dei linguaggi. I tedeschi cifrano i messaggi con una macchina chiamata Enigma, un congegno portatile in grado di trasformare il testo originale in un crittogramma, sfruttando un numero “astronomico, e tuttavia calcolabile” di permutazioni. Dalla decifrazione di questi messaggi dipende la navigazione dei convogli alleati nell’Atlantico e a Bletchley Park si lavora su macchine altrettanto potenti – dette Bombe – che possano trovare la chiave dei testi in tempo per salvare le navi. Dopo un crollo nervoso dovuto alla tensione, ai ritmi e alla responsabilità del proprio compito, Tom Jericho è stato mandato a Cambridge per un periodo di riposo, ma è presto richiamato in servizio. Gli scatoloni con le sue cose sono stati recapitati nella pensione dove risiederà e la padrona di casa, la signora Armstrong, curiosando fra libri e carte, vi trova una copia delTimes del 23 dicembre, con il cruciverba compilato. Insieme con gli scacchi, il cruciverba è uno dei pochi passatempi di Jericho, che lo usa anche come verifica delle sue facoltà mentali, sovraffaticate dal lavoro. Il gioco delle parole crociate (come racconta Stefano Bartezzaghi nell’Orizzonte verticale) aveva fatto la sua comparsa negli Stati Uniti una trentina d’anni prima, il 21 dicembre del 1913; dagli anni Venti aveva conquistato larga popolarità, e durante la guerra la sua storia si sarebbe intrecciata con quella dello spionaggio. Non pochi degli addetti di Bletchley Park furono reclutati fra enigmisti con un concorso su un quotidiano inglese. La pagina del Times nello scatolone di Tom Jericho risale all’antivigilia di Natale, a un momento di pausa in cui la ricerca della chiave – sempre in bilico fra il caos e il significato -, è per qualche minuto trasferita alla soluzione di uno schema di parole crociate: “un matematico, come un pittore o un poeta, è qualcuno che crea schemi”. (a.s.)

Dicono del libro
“Il romanzo è ambientato sullo sfondo di un evento storico reale. I messaggi della Marina tedesca citati nel testo sono tutti autentici. I personaggi, al contrario, sono interamente inventati”.
(Nota dell’autore nell’ed. Mondadori, op. cit.)
Sulle date in Enigma, vedi il post 4 marzo. Da Sherlock Holmes alla II guerra mondiale

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22 Dicembre

22 dicembre 2023

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Industriosi come api, se proprio non lievi come fate, i quattri pickwickiani si ritrovarono il mattino del ventiduesimo giorno di dicembre dell’anno di grazia nel quale furono intraprese e compiute le avventure qui fedelmente registrate. Natale era ormai prossimo, con tutta la sua schietta e franca letizia; era la stagione dell’ospitalità, della gioia, della bontà. L’anno vecchio, simile a un antico filosofo, si preparava a chiamare a raccolta i suoi amici e, fra tripudio di feste e giubilo, andarsene tranquillo e pacifico. Lieta e serena era quella stagione, e lieti e sereni erano almeno quattro dei tanti cuori esultanti per l’avvicinarsi di quel giorno. […] Ma presi dall’incanto del Natale, lasciamo aspettare al freddo sull’imperiale della diligenza per Muggleton, appena presa, Mr Pickwick e i suoi amici, tutti ben avvolti in cappotti, scialli, trapunte. Borse e sacche sono state caricate; Mr Weller e il postiglione si sforzano di far entrare nel bagagliaio anteriore un enorme merluzzo di gran lunga troppo grande per starci

Charles Dickens, Il circolo Pickwick, 1836-1837, tr. it. G. Lonza, Garzanti 1990, vol. I, pp.431-32

Dicono del libro

 

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21 Dicembre

21 dicembre 2023

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Era una giornata freddissima; perciò ella prese il trovatello e lo nascose nel cassettone della sua stanza. Il ventuno dicembre, a desinare, io stavo dicendo: “Bambine, è il solstizio d’inverno”,  e proprio allora dalle tubazioni del riscaldamento (il radiatore era sotto il buffet) giunse il vagito del neonato. Io abbassai la testa del mio berretto da caccia, di lana pesante, che portavo sempre a tavola, e per nascondere lo stupore mi misi a discorrere d’altro. Infatti Lily rideva, guardandomi con aria saputa, il labbro di sopra abbassato a coprire i denti, e in viso un caldo pallore. Guardai Ricey e vidi nei suoi occhi una tacita felicità

Saul Bellow, Il re della pioggia, 1958, tr. it. L. Bianciardi, ed. cons. Mondadori, 1984, p. 23

La scena si svolge verso la fine degli anni Cinquanta, in una città americana, a casa di Eugene Henderson, ricco e irrequieto discendente di una famiglia di pionieri. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, mentre la famiglia è a tavola, un vagito rivela che c’è un neonato nella stanza della figlia. È un bimbo trovato in una macchina, che rimarrà però poco a casa degli Henderson. Quel 21 dicembre, segnato dai preparativi per il Natale e dalla viva novità del bambino, è una delle ultime giornate trascorse da Henderson in famiglia. Di lì a poco, spinto dall’inquietudine, partirà all’improvviso per l’Africa, dove perderà la cognizione del tempo acquisendo un coraggio mai immaginato e il nome di Re della pioggia.

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20 Dicembre

20 dicembre 2023

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La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo. Nel cielo, spinte da un vento fortissimo, correvano mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, che di quando in quando lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi ora brevi e secchi e ora interminabili delle folgori. Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sulle numerose navi ancorate al di là delle scogliere si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un’altissima rupe tagliata a picco sul mare due punti luminosi, due finestre illuminate. Chi mai vegliava a quell’ora nell’isola dei sanguinari pirati?

Emilio Salgari, Le Tigri di Mompracem, 1900 (pubbl. in volume), ed. cons. Newton Compton, 1976, p. 35

La sera del 20 dicembre Sandokan, giovane principe del Borneo spodestato, in lotta contro i soldati inglesi stanziati nell’isola di Labuan, attende il ritorno del suo amico, l’avventuriero portoghese Yanez de Gomera. È una data decisiva, che segna l’inizio di una lunga serie di avventure. È in quella sera che Sandokan decide di sfidare i suoi nemici nel loro stesso territorio, attirato dalla leggenda della Perla di Labuan, la bellissima Marianna Guillonk, per metà inglese e per metà italiana, e nipote di un capitano della Marina britannica. La pagina con la data è l’inizio della storia e si ritrova anche nel romanzo di Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana. Il protagonista, dopo un incidente che gli fatto dimenticare la sua vita – ma non i libri che ha letto -, torna nella casa dell’infanzia, in cerca di memorie. Fra albi di fumetti, volumi di Dumas, storie di Sherlock Holmes, ritrova una copia del romanzo di Salgari, col suo indimenticabile inizio:”La notte del 20 dicembre 1849, un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem…” (a.s.)

Dicono del libro

 

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19 Dicembre

19 dicembre 2023

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Il 19 dicembre 1853 partii da Saint Louis col treno della sera, diretto a Chicago. Non c’erano che ventotto passeggeri in tutto: non c’erano né donne né bambini. Eravamo di ottimo umore e facemmo ben presto buona conoscenza. Il viaggio si iniziò sotto lieti auspici, e credo che non un solo componente della comitiva avesse il benché minimo presentimento degli orrori che avremmo patito di lì a poco. Alle undici di sera cominciò a nevicare fitto. Poco dopo aver lasciato il piccolo villaggio di Welden ci inoltrammo in quella spaventosa prateria solitaria che si estende per leghe e leghe nel suo desolato squallore fino al campo di Jubilee. I venti, non ostacolati da alberi o da colli e neppure da rocce solitarie, sibilavano fieramente sulla pianura deserta, cacciando innanzi la neve come spruzzi di schiuma dalle onde crestate di un mare in tempesta. E la neve si accumulava rapidamente; si capiva, dalla diminuita velocità del treno, che la macchina si scavava un passaggio con difficoltà sempre crescente. E difatti, qualche volta si fermava addirittura, in mezzo a gran turbini di neve che si ammucchiavano lungo la linea come colossali monumenti funebri. La conversazione cominciò a languire

Mark Twain, Cannibalismo in treno, 1867 ca., tr. it. O. Previtali, in Il ranocchio saltatore e altri racconti, Rizzoli , 1950, p.108

Sul treno per Saint Louis, il narratore della storia incontra un uomo di mezza età, dall’aspetto mite e bonario, che inizia a raccontare un “capitolo segreto” della sua vita. Questa storia-nella-storia ha avuto inizio nella fredda sera del 19 dicembre sul treno diretto da Saint Louis a Chicago. Una tormenta eccezionale blocca il treno nella neve, in mezzo alla campagna deserta. Non c’è speranza di liberare la motrice e per i passeggeri si prospetta una lunga attesa, senza niente da mangiare e da bere. Con l’aumentare della fame, i viaggiatori prendono infine una decisione terribile, quella di sacrificare qualcuno del gruppo per mangiarlo. La decisione però, racconta l’uomo che – si viene a sapere – è stato anche un membro del Congresso, non è attuata con la violenza, ma attraverso le procedure di un paradossale dibattito in parlamento, con proposte, votazioni, obiezioni, dimissioni. Il racconto va avanti con l’elenco di tutti i viaggiatori cucinati, finché l’uomo non arriva alla sua stazione e scende. Sarà infine il controllare a chiarire ciò che è vero e ciò che immaginario, nella storia del viaggio in treno del 19 dicembre. 

Dicono del libro

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18 Dicembre

18 dicembre 2023

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Il 17 del mese di dicembre, Vincent Tuquedenne bevve un caffè, ossia un franco, pranzò per la cifra di cinque franchi e trenta, comprò un astuccio di tabacco da un franco e una scatola di fiammiferi controvento da zero franchi e venti centesimi, prese il métro due volte, ossia un franco, cenò per la cifra di sei franchi e dieci centesimi, e comprò il “Journal”. Quest’ultima spesa ammontava a zero franchi e quindici centesimi.
Il 18 partì per Le Havre perché c’erano le vacanze, e inoltre i suoi genitori traslocavano. A partire dal primo gennaio dovevano trovarsi in Rue de la Convention, da nonna Tuquedenne, a causa della crisi. Il giorno della partenza, andò a vedere un’ultima volta il mare; cercava di fumare una pipa che una pioggia insistente spegneva. In treno, i passeggeri parlavano di Landru

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed, cons. Newton Compton, 2007, pp. 57-58

Vincent Tuquedenne, un giovane “timido, anarco-individualista e ateo”, è arrivato a Parigi da Le Havre nel novembre del 1920, per studiare Lettere alla Sorbona. Trascorre le prime giornate parigine fra la stanzetta in affitto vicino alla stazione e il quartiere latino, in lunghe passeggiate senza meta e in conversazioni con un vecchio compagno di liceo sugli esami e gli ordinamenti, su Bergson e Nietzsche, lo spiritismo, la reincarnazione. Novembre passa così, con spese regolari per i pasti, il giornale, i fiammiferi, il métro, e qualche confronto con compagni di studio, da cui esce scontento di sé, valutandosi vigliacco nella discussione e constatando la propria inesperienza con le ragazze. Passa così anche la metà di dicembre e Tuquedenne si prepara a tornare a Le Havre per le vacanze di Natale, da cui rientrerà a gennaio con l’intera famiglia. Dopo la solita routine di pasti e spostamenti, prende il treno – dove la gente discute di cronaca nera – nella piovosa giornata del 18 dicembre. 

Dicono del libro

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