7 Maggio

7 maggio 2023

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Una luminosità gialloambrata era tutto ciò che appariva all’orizzonte, mentre, a destra, ancora s’intravedeva la costa bassa e nuda del Portogallo, finché non sparve, come un’ombra, definitivamente. Allora, a quella luce rosata si mescolò un certo verde-livido, e le onde, pur senza agitarsi, divennero più grosse. Era l’una del 7 maggio, e durante la notte e la mattinata erano passate altre miglia, senza che perciò lo scenario mutasse, allorché al Daddo che se ne stava sul ponte, un po’ pensieroso, al suo sguardo fanciullesco, si presentò lontanissimo, in quella luminosità, un punto verde-bruno, a forma di corno, o ciambella spezzata, che non risultava sulla carta. Chiese al marinaio di che potesse trattarsi (aveva pensato, in un primo momento, a un branco di cetàcei, dato che quel punto, per quanto piccolo, presentava delle gibbosità), e Salvato gli rispose che poteva sbagliarsi, ma sembrava proprio l’isola di Ocaña…

Anna Maria Ortese, L’iguana, 1965, Rizzoli 1978, p.20, altra ed. Adelphi, 1986

La storia è cominciata a Milano in aprile, quando Aleardo, chiamato anche Daddo, ha deciso di avventurarsi in barca in cerca di un lembo di terra da acquistare. Da Genova è arrivato a Lisbona e poi, dopo due giorni di navigazione, il 7 di maggio, è giunto in vista della piccola isola di Ocaña, non segnata sulle carte nautiche. Lì lo attende l’incontro con una strana famiglia di nobili portoghesi e con la bestiola, l’iguana, che dà il titolo al libro. Fra i misteri che avvolgono l’isoletta e i suoi abitanti, il tempo ha una presenza tutta sua: “ il tempo, o Senhora, non è che una distanza e il passato e il futuro  regnano insieme all’appassionato e fulmineo attimo”. 

 

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6 Maggio

6 maggio 2023

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Sua Maestà, dopo avermi spesso pungolato ad accettare qualche incarico a Corte, e trovandomi assolutamente risoluto a tornare nel mio paese, si compiacque darmi licenza di partire; e mi onorò con una lettera di raccomandazione per l’Imperatore del Giappone, vergata di suo pugno. Mi fece altresì dono di quattrocentoquarantaquattro grandi pezzi d’oro (in quel paese ci si delizia con i numeri pari) e d’un diamante rosso che vendetti in Inghilterra per la somma di mille e cento sterline.
Il giorno 6 maggio 1709, presi solennemente congedo da Sua Maestà e da tutti i miei amici

Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, 1726 tr. it. G. Celati, Feltrinelli, 1997 (2011), pp. 209-210

Lemuel Gulliver, dopo studi di medicina, si è dedicato ai viaggi e ha già conosciuto diversi strani paesi, dove le dimensioni a volte si invertono e le regole sociali rispecchiano abitudini di pensiero arbitrarie e spesso bizzarre. Nell’anno 1709 arriva nel regno di Luggnagg, dove ha modo di conoscere degli esseri Immortali. Dapprima attratto dalla loro condizione, Gulliver – venuto a sapere che sono destinati a una vecchiaia perpetua – valuta gli svantaggi di una vita eterna di quel tipo. Intanto il tempo del calendario trascorre e giunge il 6 maggio, giorno della partenza per il Giappone, da cui Gulliver spera di tornare in patria. 

 

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5 Maggio

5 maggio 2023

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Corsi da un fioraio e scelsi un magnifico mazzo di fiori che indirizzai alla signora Malfenti accompagnato dal mio biglietto da visita sul quale non scrissi altro che la data. Non occorreva altro. Era una data che non avrei dimenticata più e non l’avrebbero dimenticata forse neppure Ada e sua madre: 5 Maggio, anniversario della morte di Napoleone.
Provvidi in fretta a quell’invio. Era importantissimo che giungesse il giorno stesso

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. cons. Giunti, 1994, p. 93

È nel capitolo 5 che Zeno racconta le vicende che, nel 1891, l’hanno portato a sposarsi con Augusta, una delle quattro figlie dell’amico Giovanni Malfenti. Zeno frequenta la casa da cinque mesi, attratto dalla sorella di Augusta, Ada, che però pare non ricambiarlo. Il 5 maggio, la signora Malfenti lo invita a diradare per un po’ le sue visite. Zeno rimarrà lontano da casa Malfenti cinque giorni “cinque giorni memorandi che mi condussero al matrimonio”. Il 5 maggio (quinto mese dell’anno), uscendo, prova un senso di temporanea liberazione dai vincoli complicati del corteggiamento e decide di inviare i fiori col sintetico messaggio: la data del giorno, che deve risuonare come un monito, legata com’è all’anniversario della morte di Napoleone, figura esemplare con la quale il capitolo 5 si era aperto (“M’aspettavo perciò anch’io di divenire e disfarmi come Napoleone e l’onda”).

 

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Come il tempo si rivela nell’arte: un libro di Beatrice Peria

“Parlare di prospettiva invisibile significa riconoscere l’esistenza di un’altra prospettiva“, scrive la storica dell’arte Beatrice Peria in un libro importante, in cui l’autrice affronta da docente e da iconologa il tema immenso della presenza del tempo nelle espressioni artistiche dal medioevo al contemporaneo.  Accanto alla prospettiva geometrica che organizza l’esperienza e la rappresentazione dello spazio, la studiosa si interroga sulla prospettiva invisibile del tempo, suggerendo, sin dall’incipit del volume, che “il tempo può essere espresso, implicato, evocato, comunicato, ma forse non rappresentato (…) se non in modo obliquo, attraverso forme e modi altri che qui vogliamo cercare di mettere in luce”. Le forme e i modi che Beatrice Peria presenta sono il frutto di una ricerca lunga e consistente, basata su fondamenti teorici e storici che includono Aby Warburg ed Etienne Souriau, su una ricchissima selezione di opere (benissimo illustrate nel testo) e su una struttura in cinque capitoli che servono allo stesso tempo da isole tematiche e da bussole per orientarsi nella lunga trasformazione della storia delle immagini. Il primo capitolo, dedicato ai Calendari, si apre con i calendari figurati, le raffigurazioni dei mesi e dei lavori, i cicli astrologici, e arriva all’epoca contemporanea, dove la griglia calendariale è intesa come dispositivo concettuale. Il secondo capitolo tratta del tema della Vanitas rintracciando la metamorfosi dei suoi simboli, teschi, frutti, bolle di sapone, dal grande repertorio della pittura rinascimentale e barocca ai linguaggi che esprimono la fragilità dell’epoca presente. Nel terzo capitolo La Narrazione il tempo è analizzato all’interno delle strategie di narrazione per immagini, e qui gli esempi arrivano anche dal mondo antico, appoggiandosi a fonti teoriche, estetiche, linguistiche. Istante/Durata è il titolo del quarto nucleo di indagine, in cui le serie di Monet, così come la cronofotografia rivelano l’emergere di un desiderio di rappresentare la trasformazione incessante del visibile; desiderio che procede nel tempo e si ritrova, modificato, in tanti esempi di fotografia contemporanea. Infine, Memoria/memorie conclude l’impresa di questo volume, intessendo un ragionamento sui rapporti fra memoria e immagini, documenti, storia, con omaggi all’Atlante Mnemosyne di Warburg e a protagonisti del Novecento come Richter, Kiefer, Boltansky.
Uno dei pregi del libro è proprio l’accostamento giudizioso fra passato e presente, fra opere del canone tradizionale ed espressioni contemporanee, che sbalzano il lettore da una temporalità all’altra, rivelando affinità, anacronismi, continuità e sorprese, che danno una scossa al flusso del tempo.

Beatrice Peria, La prospettiva invisibile. Forme visuali della temporalità nell’arte, L’Erma di Bretschneider, Roma – Bristol, 2022

4 Maggio

4 maggio 2023

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“Non le ho ancora raccontato la parte più strana. Circa sei anni fa, il 4 maggio 1882 per essere precisi, apparve un annuncio sul Times, in cui si chiedeva l’indirizzo della signorina Mary Morstan, precisando che ne avrebbe tratto vantaggio facendosi viva. Non c’era né nome né indirizzo. A quell’epoca, avevo appena preso servizio nella famiglia della signora Cecil Forrester, come governante. Mi consigliò  la signora stessa di scrivere il mio indirizzo negli annunci. Lo stesso giorno mi arrivò con la posta una piccola scatola di cartone, che conteneva una perla molto grande, splendente. Nessuno scritto l’accompagnava. Da allora, ogni anno alla stessa data, mi arriva sempre una scatola uguale, con dentro una perla uguale, senza alcuna traccia del mittente. Un esperto, dopo averle esaminate, le ha giudicate di rara varietà e di inestimabile valore. Potete voi stessi vedere come sono belle”

Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro, 1890, tr. it. M. Buitoni Duca, Rizzoli, 2002, pp. 26-27

Le date rivestono una notevole importanza nelle storie di Sherlock Holmes: giornali, timbri postali, lettere e biglietti scandiscono le vicende con precisione, offrendo la cornice temporale di molte deduzioni. È stato notato per esempio il ricorrere del giorno 4 di vari mesi nello Studio in rosso, il racconto che narra il primo caso risolto a cui partecipa anche il dottor Watson. Nel Segno dei quattro, il caso si presenta nelle vesti di una donna di ventisette anni, la signorina Mary Morstan (futura moglie di Watson), che racconta le strane circostanze che le sono capitate – a partire da sei anni prima – ogni 4 di maggio. 

 

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3 Maggio

3 maggio 2023

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Verso il tre di maggio, in un giorno di polvere bionda e di luce tenera, abbandonammo malinconicamente Kratowice ormai impossibile da difendere, con il suo triste parco destinato a divenire di lì a poco un campo sportivo per gli operai sovietici, e la sua foresta devastata dove fino ai primi anni della guerra si aggiravano ancora gli unici branchi di buoi selvatici sopravvissuti dai tempi preistorici

Marguerite Yourcenar, Il colpo di grazia, 1939, tr. it. M. L. Spaziani, Feltrinelli, 1984, p. 107

Nella regione baltica, in un luogo a cui viene dato il nome di Kratowice, negli anni successivi alla rivoluzione russa, si svolge la storia di Eric, soldato tedesco, del suo amico fraterno Corrado e di Sofia, sorella di quest’ultimo.  Mentre si combatte per il controllo di territori di confine, contesi fra un regime e l’altro, si consuma anche la storia dell’attrazione fra Sofia ed Eric, la voce che racconta ciò che è accaduto. Mentre la vicenda si avvia alla conclusione, il giorno di maggio sembra mostrare – come attraverso un velo di polvere dorata – il passato lontano e il futuro prossimo di quel luogo amato e conteso. 

 

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2 Maggio

2 maggio 2023

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Finalmente, voltando e rivoltando per ogni verso lo specchietto, s’avvide di qualche segno tracciato a punta di diamante sul vetro. Erano lettere e cifre segnate da una mano incerta. Con paziente attenzione Marina arrivò a leggere la seguente laconica scritta:

“Io – 2 MAGGIO 1802”

Parve a Marina che una luce lontana e fioca sorgesse nell’anima sua. 1802! Non viveva in quel tempo al Palazzo la infelice prigioniera, la pazza della leggenda? Forse era lei. Quel guanto, quei capelli erano reliquie sue. Ma nascoste da chi? Marina, quasi senza sapere che si facesse, afferrò il libro di preghiere e ne sfogliò le pagine. Ne cade un foglio ripiegato, tutto, tutto coperto di caratteri giallognoli, sbiaditissimi e vi legge: 
2 maggio 1802
PER RICORDARMI. Ch’io mi ricordi, nel nome di Dio! Altrimenti perché rinascere?

Antonio Fogazzaro, Malombra, 1881, Mondadori 1992, p.93

Dopo che la sua famiglia è andata in rovina, la giovane Marina di Malombra vive nella villa sul lago dello zio, in una camera che è stata abitata da un’antenata, Cecilia, su cui si narrano leggende sinistre. Tutta concentrata sulla sua interiorità, nell’atmosfera solitaria del luogo, Marina comincia ad avere l’impressione di avere già vissuto delle situazioni che le accadono finché non trova, nella sua camera, uno specchietto con una data e una lettera. Nello scritto Cecilia, molti anni prima – un due di maggio – ha lasciato un messaggio diretto a chi, leggendolo nel futuro, avrebbe ricordato (o creduto di ricordare) la sua vita precedente.

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I Maggio

1 maggio 2023

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Il primo maggio deposi davanti all’altare della Madonna un fascio di lillà, camomille e rose, come le mie compagne di catechismo, e tornai a casa tutta fiera dei miei “fiori benedetti”. Mia madre fece la sua risatina irriverente e guardò il mio mazzo che attirava i maggiolini in salotto, fin sotto la lampada: “Credi che non lo fossero, prima?”. Non so da dove le venisse la sua distanza da ogni forma di culto. Avrei dovuto chiederglielo. 

Colette, Sido, 1930, tr. it. A. Bassan Levi, Adelphi, 1989, p. 31

La protagonista di questo racconto è Sido, la madre della scrittrice Colette, che la presenta esperta conoscitrice della vita delle piante e adepta di una religione naturale tutta sua. Nella campagna francese, alla fine dell’Ottocento, questa donna si orienta nel tempo – non solo atmosferico – seguendo il comportamento degli alberi e degli animali, dei venti, del terreno e di ogni dettaglio della natura. Anche i giorni, in questa visione del mondo, sono liberi dai riti e dagli obblighi di qualunque religione ufficiale.

 

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30 Aprile

30 aprile 2023

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Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fé; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri. (…)
Il trenta aprile del 1941 mi permisi di aggiungere al torrone due bottiglie di cognac locale

Jorge Luis Borges, L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p.887, p. 888

La casa di calle Garay a Buenos Aires, dove ha abitato Beatriz Viterbo e dove continuano ad abitare dopo la sua morte il padre e il cugino Carlos Argentino Daneri, custodisce in cantina – sotto la stanza da pranzo – l’Aleph: un oggetto indefinibile che contiente tutti i punti dello spazio, mostrandoli senza sovrapposizioni in un unico gigantesco istante. L’Aleph è stato scoperto da Carlos Argentino Daneri, scrittore di noiosi poemi, che lo mostra a Borges, amico di famiglia, legato alla bella e fragile Beatriz. Beatriz, che è morta in un giorno di febbraio dell’estate australe, era nata il trenta di aprile e il Borges del racconto, per anni, continua a onorare questa data, come fa anche il Borges scrittore, che la sceglie in (almeno) altre due storie: Funes, o della memoria e La notte dei doni. 

 

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29 Aprile

29 aprile 2023

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Il temporale lavò Mosca il 29 aprile, l’aria diventò soave, l’anima s’ammorbidì, e venne voglia di vivere.
Col mio nuovo vestito grigio e un soprabito abbastanza decente, camminavo per una delle vie centrali della capitale, diretto verso un luogo ove non ero ancora mai stato. La causa del mio spostamento era una lettera che avevo in tasca, e che mi era pervenuta improvvisamente

Michail Bulgakov, Romanzo teatrale, 1965 (post.), tr. it. V. Dridso, Einaudi, 1975, p. 11

Da povero redattore del Messaggero della navigazione a scrittore di un romanzo che suscita l’interesse  di un regista teatrale, il protagonista di questo racconto passa per delusioni, esaltazioni, incontri con personaggi sfuggenti e situazioni grottesche. Ma all’inizio delle avventure, con in tasca la lettera di convocazione del regista della Scena-Studio del Teatro Indipendente, è contagiato dall’aria di quell’aprile: “fine dell’inverno, fine delle tormente, fine del freddo”, almeno per un po’, per il penultimo giorno del mese centrale della primavera, nelle strade di Mosca. 

 

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28 Aprile

28 aprile 2023

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Quel mare che egli scorse dai pendii del monte Velebit, il ventotto aprile del 1935, per la prima volta nella vita, a venticinque anni, rimarrà per lui come una rivelazione, come un sogno che egli recherà in sé per circa quaranta anni con la medesima intensità, come un segreto, come una visione di cui non si parla con nessuno. Dopo tanti anni, non era più nemmeno sicuro se quel giorno avesse visto davvero l’alto mare o se si fosse trattato solo dell’orizzonte celeste, e l’unico mare reale sarebbe sempre rimasto per lui l’acquamarina delle carte geografiche, dove le profondità sono in azzurro scuro e i bassi fondali in azzurro chiaro

Danilo Kiš, Enciclopedia dei morti, 1983, tr. it. L. Costantini, Adelphi, 1988, p. 56

Nell’immaginario catalogo delle persone che hanno vissuto sulla terra e che non sono riportate in nessuna enciclopedia, la protagonista del racconto trova la scheda relativa a suo padre, morto da poco. È conservata nella Biblioteca di Stoccolma, nella stanza della lettera M. In quella scheda, la vita del padre Marko è registrata nei più minuti dettagli, poiché “ogni uomo è un mondo a sé, tutto accade sempre e mai, tutto si ripete all’infinito e irripetibilmente”. Dai ricordi d’infanzia ai tanti giorni trascorsi a Belgrado, ogni avvenimento di quella esistenza è riportato con precisione e una data risalta in particolare: “il ventotto aprile del trentacinque, quando, per la prima volta nella sua vita, aveva scorto, da lontano, alle prime luci dell’alba, la distesa azzurra dell’Adriatico”.

 

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Era su era nel giardino planetario di Pietro Ruffo

Allestita nella galleria Lorcan O’Neill di Roma, la mostra Il Giardino Planetario espone una serie di opere recenti che l’artista Pietro Ruffo dedica al tema del complesso equilibrio fra specie umana e pianeta, raccolte sotto al titolo Antropocene.
Ai visitatori che si aggirano nella prima sala della galleria, scenograficamente arricchita da tendaggi su cui è riprodotta una imponente foresta primordiale, la prima cosa che Ruffo dice è che la Terra si è sempre modificata e continuerà a farlo e che il punto su cui concentrarsi non è tanto e solo la nostra capacità di rovinare il pianeta, quanto quella di distruggere la nostra possibilità di vivere in esso, su di esso, insieme.
Artista, architetto – che di volta in volta si fa studioso di cartografia, botanica, geologia, antropologia, archeologia – Ruffo si ispira per il titolo della mostra a un saggio omonimo di Gilles Clément, il filosofo paesaggista e agronomo francese autore del Manifesto del terzo paesaggio, mentre le singole opere fanno riferimento al concetto di antropocene, una definizione che – con una dose di presunzione – usa il nome della nostra specie per definire un’era evolutiva.
Nella scia delle sue creazioni, caratterizzate dall’uso di mappe geografiche e carte antiche, dall’intaglio e dalla sovrapposizione di strati, Ruffo dà vita a una collezione di vedute arricchite: ogni immagine rappresenta un luogo in cui è stato ritrovato un teschio dei nostri antenati; da questo incipit si dispiega il palinsesto di forme vegetali, animali, minerali, cartografiche, raccordate da inserti di colore e dalla sagoma, spesso dissimulata e latente, del teschio di partenza.
«Questi lavori sono dei lavori classici sul paesaggio a cui però ho voluto aggiungere anche un elemento legato al tempo», spiega bene Ruffo. Ogni opera richiede infatti una strategia di indagine che sfogli percettivamente e cognitivamente gli strati di tempo accumulati in una porzione di paesaggio, avvicinati da Ruffo – con sapienza e leggerezza – in un modo che richiama gli assemblaggi di Piranesi, i libri animati dell’Ottocento: diorami dello spazio tempo da smontare e rimontare con responsabilità e piacere.   

Pietro Ruffo, Il Giardino Planetario, Galleria Lorcan O’Neill, Roma, vicolo dei Catinari
14 marzo 2023 – 29 aprile 2023
Il sito dell’artista: pietroruffo.com

(a.s.)

27 Aprile

27 aprile 2023

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1758: La sua crescente notorietà presso la classe dominante gli procura un incarico della Regina di preparare “qualcosa di speciale” per un pranzo con l’Ambasciatore di Spagna. Egli sgobba notte e giorno eseguendo centinaia di prove e finalmente, alle 4 e 17 del mattino del 27 aprile 1758, annuncia una creazione consistente in più strisce di prosciutto racchiuse, sopra e sotto, tra due fette di pane di segale. E in un impeto di ispirazione guarnisce il capolavoro con della senape. Questo avvenimento provoca un’immediata sensazione e gli viene commissionata la preparazione dei pranzi del sabato per tutto il resto dell’anno

Woody Allen, Saperla lunga, 1966, tr. it. A. Episcopi e C. Berberian, Bompiani 1973, p.60

Vita umoristica e immaginaria del vero conte di Sandwich, il cui nome è effettivamente legato al panino farcito. Tutte le fasi della sua esistenza, trascorsa nel Settecento, vengono ricondotte al tema dello spuntino e della combinazione fra pane, roast-beef e prosciutto, fino ad arrivare alla mattina del 27 aprile, quando avviene l’invenzione che porta il suo nome, in qualche modo ancora collegata all’idea di velocizzare i pasti, guadagnando tempo per altre occupazioni. 

 

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26 Aprile

26 aprile 2023

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Il sole splendeva su Guernica come una fiamma. Era il 26 aprile, non dimentichi la data, e correva l’anno 1937 dopo Cristo

Hermann Kesten, I ragazzi di Guernica, 1939, tr. it. E. Pocar, Giunti 1983

Carlos Espinosa, uno dei sette figli del farmacista della città di Guernica, racconta la storia della sua famiglia, segnata dall’intreccio dei destini del padre, rimasto nella città basca, e dell’avventuroso zio Pablo che, dopo anni di viaggi, torna a Guernica nell’estate del 1936. Le vicende domestiche e familiari si legano a quelle della Guerra civile e precipitano infine nella tragedia del 26 aprile del 1937, quando l’aviazione tedesca bombarda la città, decimando anche la famiglia Espinosa. Carlos sarà uno dei pochi sopravvissuti, destinato a raccontare, mantenendo la memoria delle date di quella guerra, perché “i tempo è troppo grande. Non ha tempo per noi”.

 

 

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25 Aprile

25 aprile 2023

 

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L’orologio della chiesa batte due colpi: sono le due del mattino del 25 aprile 1974. E i rintocchi segnano il definitivo rientro nella realtà. È strano come certi suoni particolari si distinguano tra i rumori. Ora stanno per lasciarsi, per concludere il loro breve incontro segnato da una sciarpa e da una parola non detta. Vasco ha ancora la vista opaca e evanescente, la frizione delle pupille ha creato una cortina grigia, una nebulosa e confusa visione delle cose. La messa a fuoco si aggiusta, i toni dei colori e delle atmosphere tornano gradatamente alla normalità e, allora, il suo sguardo si sposta al profilo dell’uomo con la sciarpa, all’espressione dell’uomo al suo fianco, muto e assorto

Marco Ferrari, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, 1995, Sellerio (2001), p. 13

Data di liberazione, il 25 aprile, non solo per l’Italia del 1945. In Portogallo, quasi trent’anni dopo, sono i giorni della fine di aprile quelli in cui si consuma la rivoluzione contro il regime di Caetano, successore di Salazar. E mentre a Lisbona i militari depongono il dittatore, il giovane portoghese Vasco – a Parigi per diventare regista – è immerso nei film di Lubitsch e soprattutto di Truffaut, che incontra o immagina di incontrare nel cinema del Quartiere Latino, dove il racconto ha inizio nelle prime ore di giovedì 25 aprile 1974. Appena la radio gli porta le notizie di quello che sta accadendo nel suo paese, Vasco parte con un amico su una vecchia Citroen gialla; attraversa la Francia e la Spagna ancora franchista e arriva “nel cuore di Lisbona, nel cuore delle speranze” , alla vigilia del primo maggio, quando le grandi manifestazioni di piazza sono già un racconto. 

 

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24 Aprile

24 aprile 2023

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È difficile enumerare gli ingredienti della poltiglia che Stëpa aveva nella testa. C’era la diavoleria con il berretto nero, la vodka gelata e l’incredibile contratto e, oltre a tutto, per gradire, anche il sigillo sulla porta! […] Dopo il ricordo dell’articolo, arrivava il ricordo di una conversazione ambigua svoltasi la sera del 24 aprile, proprio nella sala da pranzo, mentre Stëpa e Michail Aleksandrovič cenavano. In verità, la conversazione non si poteva definire ambigua nel senso pieno della parola (altrimenti Stëpa non ci si sarebbe avventurato): era una conversazione su un argomento inutile. Era una conversazione, cittadini, che si sarebbe potuto evitare di cominciare

Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, tr. it. M. Crepax, Feltrinelli 2011, p. 130

Stëpa,  il direttore del teatro Variété di Mosca, svegliatosi con un gran mal di testa, senza sapere “che ore fossero” “quale giorno della settimana, quale mese”, trova in camera uno sconosciuto, che si presenta come il professore di magia nera Woland. Non solo, la stanza del suo coinquilino, Michail Aleksandrovič Berlioz, è sigillata. Stëpa non ricorda di aver firmato con il mago un contratto per sette esibizioni, e non sa che Berlioz è stato investito da un tram. Né che fra poco si ritroverà a Jalta… Ricorda solo un dialogo, il 24 aprile, col suo amico e tutto è confuso, ambiguo, prodigioso, in questa primavera moscovita. 

 

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23 Aprile

23 aprile 2023

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Arrivò la pioggia dalla finestra. Era una pioggia di aprile. Il ventitré di aprile. Già! Melchior aveva il fato segnato fin dalla nascita; era destinato a indossare la corona di cartone. Non aveva forse visto la luce nel giorno del compleanno di Shakespeare? E anche noi del resto” (…)
Non sai che oggi è il compleanno di Shakespeare? Brinda che Dio protegga l’Inghilterra, Harry e San Giorgio, e bevi alla salute dei bastardi

Angela Carter, Figlie sagge, 1991, tr. it. R. Bernascone e C. Juli, Rizzoli,  1992, p. 224, p. 228

La battuta è di Dora Chance, la protagonista dell’ultimo romanzo scritto da Angela Carter , “Figlie Sagge”, e condensa (la battuta e il romanzo) tutti i punti forti della poetica della sua irripetibile autrice: Vecchia Europa, illegittimità, teatro, voglia di vita sconveniente, dotta e pop.
Il compleanno di Shakespeare cade convenzionalmente il 23 aprile (data che si fa coincidere con quella, cinquantadue anni dopo, della sua morte) giorno di nascita di Dora e della sua gemella Nora, nate nel lato sbagliato del Tamigi e del letto, figlie naturali del più grande attore shakespeariano del loro tempo (Melchior Hazard) o forse chissà di suo fratello gemello Peregrine, anche loro venuti al mondo il giorno di San Giorgio. Il romanzo si apre il 23 aprile col racconto autobiografico di Dora, ballerina di avanspettacolo, settantacinquenne, e la data ritorna lungo tutto il pazzesco memoriale che procede a salti di tempo. I fatti più sensazionali accadono puntualmente nel giorno genetliaco (il settimo, il quattordicesimo, il ventunesimo, il settantacinquesimo compleanno delle ragazze ovvero il centesimo dei fratelli Hazard) sempre inevitabilmente percorso da folate di elettrizzante vento d’aprile. Nel libro, zeppo di citazioni e rimandi al mondo del teatro e di tutte le sue arti sorelle bastarde (dall’operetta al cinema) la parte del Deus ex  machina è riservata al gemello “buono”, prestigiatore prodigo ed immane, Peregrine-Perry che a fine romanzo diventa  anche cacciatore e cultore di farfalle: un omaggio, piace pensare, a Vladimir Nabokov, nato il 23 aprile del 1899, anche lui per convenzione: la data per il calendario giuliano sarebbe stata il 10 aprile, cambiata nel 1900 con la corrispondente del calendario gregoriano: il nostro giorno di San Giorgio, giorno in cui l’UNESCO celebra la Giornata mondiale del Libro e del Diritto d’Autore e la Catalogna anche  quello delle rose. (Commento di Silvia Veroli)

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22 Aprile

22 aprile 2023

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Apro gli occhi. Tra poco arriveremo. Vedo già la nube d’argento sopra la montagna, poi appaiono le torri del castello e i campanili delle numerose chiese. 
Il 22 del mese d’aprile, dopo quarant’anni d’assenza, sono di ritorno nella piccola città della mia infanzia. 
La stazione non è cambiata. È soltanto più pulita, addirittura infiorata, con fiori di qui di cui non conosco il nome e che altrove non ho mai visto. C’è anche un autobus che si allontana

Agota Kristof, La terza menzogna, 1991 (Trilogia della città di K.), tr. it. G. Bogliolo, Einaudi, 1998, p. 293

Tutto è doppio nella storia, raccontata da diversi punti di vista, dei due gemelli Claus e Lucas, nomi che sono uno l’anagramma dell’altro. Hanno conosciuto la seconda Guerra mondiale e l’invasione russa dell’Ungheria, vivendo dalla nonna materna, in un ambiente spietato e picaresco. Si sono separati quando il padre ha cercato di passare la frontiera ed è saltato su una mina, tragedia che ha permesso a uno dei fratelli di attraversare il confine. Se è vero quanto viene narrato – e se è vero che Claus (a volte scritto con la K) e Lucas sono due persone distinte – Lucas rimane nella vecchia città e Claus vive a lungo lontano, prima di tornare. Da quel momento la storia viene di nuovo raccontata, fra menzogne e salti nel tempo. E anche la data del 22 aprile è segnata dalla ripetizione della cifra che indica il doppio.

 

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21 Aprile

21 aprile 2023

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Il ventun aprile di quell’anno, che doveva essere il 1933, mentre dagli altoparlanti collocati agli angoli della piazza del Municipio di Cuvio si levavano le note dell’inno a Roma, e il Vanghetta, in qualità di presidente dell’Opera Maternità e Infanzia era sul palco delle autorità tra il sindaco e il segretario politico per partecipare alla celebrazione patriottica del Natale di Roma, Evelina metteva alla luce un bambino nell’ospedale di Cittiglio, dov’era stata portata dal Landriani al primo segno premonitore dell’evento

Piero Chiara, Il pretore di Cuvio, 1973, Mondadori,p. 123

Il 21 aprile, Natale di Roma, è anche il giorno natale del figlio di Augusto Vanghetta, pretore nella città lombarda di Cuvio, dove è arrivato nel 1930, dopo una carriera mediocre e arrivista. Sul palco delle autorità, mentre il coro canta un inno fascista, il pretore viene a sapere la notizia. Ma Vanghetta sa che il figlio non è suo.  La giovane moglie Evelina, trascurata e tradita, ha concepito il figlio col fidato segretario (e poi socio) del marito, senza che questi si accorgesse di niente. Vanghetta ha indagato sugli spostamenti della moglie, ricostruendo “quattro mesi di calendario”, ma non capirà fino alla fine chi è il padre del bambino, a cui verrà dato il nome di Ramiro, il protagonista di una commedia degli equivoci, rappresentata circa nove mesi prima. 

 

Dicono del libro

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20 Aprile

20 aprile 2023

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La mattina del 20 aprile del 1857, il guardiano del semaforo di Diamond-Harbour, segnalava la presenza d’un piccolo legno che doveva essere entrato nell’Hugly durante la notte, senza aver fatto richiesta di alcun pilota. Sembrava un veliero malese, dalle dimensioni straordinarie delle sue vele, la cui superficie era immensa, però lo scafo non era precisamente simile a quello dei prahos, non essendo provvisto di bilancieri per appoggiarsi meglio sulle onde quando le raffiche aumentano di violenza, né avendo al centro quella tettoia che chiamasi attap. Anzi era costruito, a quanto pareva, con lamine di ferro anziché di legno, non aveva la poppa bassa, la tolda era sgombra e poi stazzava tre volte di piú dei prahos ordinari, i quali di rado hanno una portata di cinquanta tonnellate. Comunque fosse, era un bellissimo veliero, lungo, affilato, che a vento largo, o, meglio ancora, con vento di poppa doveva filare meglio di tutte le navi a vapore che allora possedeva il governo anglo-indiano. Era insomma una vera nave da corsa

Emilio Salgari, Le due Tigri, 1904, Fabbri, 2005, pp. 5-6

Le date – nei romanzi di Salgari – individuano i giorni a tutto tondo, nel loro legame con la geografia, la latitudine, le condizioni meteorologiche, gli eventi naturali. E spesso nell’incipit è richiamato un giorno, che contribuisce a inquadrare la narrazione in un contesto temporale. In questo caso – come nota Antonio Faeti – è importante anche l’anno scelto per l’ambientazione storica: “è il 1857, l’anno in cui l’India si ribellò al dominio inglese e dichiarò guerra agli stranieri con una vampata di eroismo in cui ritrovò lo spirito delle proprie guerresche tradizioni.”

 

 

Dicono del libro

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