21 Febbraio

21 febbraio 2013

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21 febbraio (tardo pomeriggio)
 […] Ora sono io ad arretrare, a cercare di spegnere la mia mente che s’è accesa con troppo fervore. Presto o tardi si parlerà anche della mia scomparsa. Ascolto da vivo i discorsi – compiaciuti o dolenti – che si faranno su di me dopo la mia morte. Il passato non torna. Possibile – mi chiedo stoltamente, o con ingenuità fanciullesca – che tutto ciò che ho vissuto, debba averlo vissuto una sola volta, e così in fretta, senza avvertirne la veloce fuga all’indietro?

Luca Canali, Diario segreto di Giulio Cesare, 1994, Mondadori, pp. 94, 100

L’autore immagina che Giulio Cesare, negli ultimi quaranta giorni della sua vita, abbia registrato le giornate e le notti in un diario, dove si parla di Roma e del suo governo, di famiglia e di memorie. Il 21 febbraio è una giornata di quiete: ricorrono le celebrazioni Ferali, quando “tutte le famiglie ricordano i loro defunti”. Dopo aver portato doni alla tomba della figlia e della prima moglie, e aver salutato Cicerone, Cesare è solo in casa, a riflettere sul tempo, che “avanza inavvertito come un sicario”. 

Dicono del libro
“Abbandonata la terza persona dei commentari guerreschi, nelle pagine di questo apocrifo Cesare si racconta senza reticenze, con asciutta immediatezza. Il diario si apre il 6 febbraio dell’anno 710 dalla fondazione di Roma (44 a.C.), mentre l’ultimo foglio reca la data fatidica del 15 marzo”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Mercoledì 21 febbraio, Visita di Lapointe in rue de Turenne. L’agente nota la valigia…”
Georges Simenon, L’amica della signora Maigret

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“… Un biglietto sulla scrivania. La scrittura assomiglia alla sua: Questo sono io con Augustine, 21 febbraio 1943…” Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata
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“… Quello che Jacob R. mangiò per colazione il mattino del 21 febbraio 1877. Patate fritte con cipolle. Due fette di pane nero…” Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata« »

21 febbraio (tardo pomeriggio)
 […] Ora sono io ad arretrare, a cercare di spegnere la mia mente che s’è accesa con troppo fervore. Presto o tardi si parlerà anche della mia scomparsa. Ascolto da vivo i discorsi – compiaciuti o dolenti – che si faranno su di me dopo la mia morte. Il passato non torna. Possibile – mi chiedo stoltamente, o con ingenuità fanciullesca – che tutto ciò che ho vissuto, debba averlo vissuto una sola volta, e così in fretta, senza avvertirne la veloce fuga all’indietro?

Luca Canali, Diario segreto di Giulio Cesare, 1994, Mondadori, pp. 94, 100

L’autore immagina che Giulio Cesare, negli ultimi quaranta giorni della sua vita, abbia registrato le giornate e le notti in un diario, dove si parla di Roma e del suo governo, di famiglia e di memorie. Il 21 febbraio è una giornata di quiete: ricorrono le celebrazioni Ferali, quando “tutte le famiglie ricordano i loro defunti”. Dopo aver portato doni alla tomba della figlia e della prima moglie, e aver salutato Cicerone, Cesare è solo in casa, a riflettere sul tempo, che “avanza inavvertito come un sicario”. 

Dicono del libro
“Abbandonata la terza persona dei commentari guerreschi, nelle pagine di questo apocrifo Cesare si racconta senza reticenze, con asciutta immediatezza. Il diario si apre il 6 febbraio dell’anno 710 dalla fondazione di Roma (44 a.C.), mentre l’ultimo foglio reca la data fatidica del 15 marzo”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

20 Febbraio

20 febbraio 2013

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Fu come se gli avessero assegnato una nuova data di nascita: 20 febbraio 1967. Fu come venire al mondo un’altra volta solo per passare notti insonni con lo sguardo rivolto alle gocce di pioggia che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra. E mentre la madre era nell’altra stanza che dormiva tranquilla in tutta la sua diversità, Homer se ne stava disteso sul letto ad ascoltare il ritmo del proprio respiro, il ritmo che accompagnava il buio tristissimo di quelle ore in cui tutto era immobile a parte la pioggia che veniva giù e le gocce che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra, un unico e immenso momento di eternità. Non dormendo mai

 Tommaso Pincio, Un amore dell’altro mondo, Einaudi 2002, p. 30

 

La narrazione segue la storia parallela e intrecciata di due giovani: Homer B. Alienson (Boda di secondo nome) e Kurt (che ha un amico immaginario che si chiama Boda). Mentre una serie di indizi porta via via il lettore a individuare in Kurt la figura del musicista Cobain, la storia fa avvicinare e allontanare i due personaggi, rendendo immaginari i dati reali e plausibili quelli immaginari. Quest’oscillazione fra finzione e realtà è puntellata da dettagli importanti, come la data del 20 febbraio 1967 (il giorno di nascita del “vero” Kurt Cobain), richiamata nel libro come una data spartiacque nell’esistenza del personaggio Homer. Le alterazioni del ritmo sonno-veglia e della percezione del tempo prodotte dalle droghe sono una parte cospicua della storia: “venne sfiorato dal dubbio che il sistema potesse alterare il corso del tempo, rallentarlo, incastrarlo, arrestarlo, fino a un punto in cui i giorni, anziché passare come si crede cha facciano, finissero per rovinare uno sull’altro in un gigantesco tamponamento”.

 

 

Dicono del libro
“Il romanzo che ha dato vita una volta per sempre al fantasma di Kurt Cobain. Ripercorrendo la sconvolgente vicenda di Homer Alienson, l’amico immaginario del leader dei Nirvana, ci tuffiamo come in un caleidoscopio nelle fine di un’epoca”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 20 febbraio, verso sera, un marinaio di guardia segnalò una fiamma rossastra che si elevava a una prodigiosa altezza…”
Emilio Salgari, Gli scorridori del mare

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“… 20 febbraio…Perché la mia vita è un vero romanzo, e io quando ci penso non posso fare a meno di ripetere sempre fra me il solito ritornello: Ah, se avessi la penna di Salgari…” Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca

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” 20 (febbraio), lunedì. Tutta la città è in ribollimento per il carnevale, che è sul finire…”
Edmondo De Amicis, Cuore

 

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“…Passerò da Parigi tra qualche giorno. Vieni a trovarmi all’albergo di Spagna, il 20 febbraio. Te ne prego!…”
Jean-Paul Sartre, La nausea

 

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Tuesday, Feb. 20, 2007 The season’s first snow in New York. I buy a newspaper
Jonas Mekas, 365 Day Project« »

Fu come se gli avessero assegnato una nuova data di nascita: 20 febbraio 1967. Fu come venire al mondo un’altra volta solo per passare notti insonni con lo sguardo rivolto alle gocce di pioggia che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra. E mentre la madre era nell’altra stanza che dormiva tranquilla in tutta la sua diversità, Homer se ne stava disteso sul letto ad ascoltare il ritmo del proprio respiro, il ritmo che accompagnava il buio tristissimo di quelle ore in cui tutto era immobile a parte la pioggia che veniva giù e le gocce che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra, un unico e immenso momento di eternità. Non dormendo mai

 Tommaso Pincio, Un amore dell’altro mondo, Einaudi 2002, p. 30

La narrazione segue la storia parallela e intrecciata di due giovani: Homer B. Alienson (Boda di secondo nome) e Kurt (che ha un amico immaginario che si chiama Boda). Mentre una serie di indizi porta via via il lettore a individuare in Kurt la figura del musicista Cobain, la storia fa avvicinare e allontanare i due personaggi, rendendo immaginari i dati reali e plausibili quelli immaginari. Quest’oscillazione fra finzione e realtà è puntellata da dettagli importanti, come la data del 20 febbraio 1967 (il giorno di nascita del “vero” Kurt Cobain), richiamata nel libro come una data spartiacque nell’esistenza del personaggio Homer. Le alterazioni del ritmo sonno-veglia e della percezione del tempo prodotte dalle droghe sono una parte cospicua della storia: “venne sfiorato dal dubbio che il sistema potesse alterare il corso del tempo, rallentarlo, incastrarlo, arrestarlo, fino a un punto in cui i giorni, anziché passare come si crede cha facciano, finissero per rovinare uno sull’altro in un gigantesco tamponamento”.

 

Dicono del libro
“Il romanzo che ha dato vita una volta per sempre al fantasma di Kurt Cobain. Ripercorrendo la sconvolgente vicenda di Homer Alienson, l’amico immaginario del leader dei Nirvana, ci tuffiamo come in un caleidoscopio nelle fine di un’epoca”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

19 Febbraio

19 febbraio 2013

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19 febbraio
Che triste giornata è stata oggi povero monsieur Armand! Stamattina Marguerite si sentiva soffocare, il medico le ha fatto un salasso, e le è tornato un filo di voce. Il medico le ha consigliato di far venire un prete. Lei ha acconsentito,  e lui stesso è andato a chiamarne uno alla chiesa di Saint-Roch.
Nel frattempo, Marguerite mi ha chiamato vicino al suo letto, pregandomi di aprire  l’armadio, poi mi ha indicato una cuffietta, una lunga camicia tutta guarnita di pizzi, e mi ha detto con voce fioca: “Dopo essermi confessata morirò, allora mi vestirai con una civetteria da moribonda”

 Alexandre Dumas figlio, La signora delle camelie, 1848, tr. it. L. Collodi, Newton Compton, 1994, p. 251

 

È l’amica Julie Duprat a scrivere le ultime lettere di Marguerite Gautier, la signora delle (o dalle) camelie, al suo innamorato Armand Duval, da cui è stata separata da una serie di circostanze melodrammatiche. Convinta dal padre del giovane a lasciarlo, Marguerite è malata, sull’orlo del fallimento, sofferente per il distacco.  Il romanzo è iniziato nel marzo del 1874, alla vendita all’asta dei beni di Marguerite e la vicenda è ricostruita attraverso confessioni, carte, diari e tante lettere, spesso trascritte una dentro l’altra, con le loro date rivelatrici  (“e voi dove siete, mentre scrivo queste righe?”).

 

Dicono del libro 
“Scritto nel 1848, quando l’autore non aveva che ventiquattro anni, il romanzo La signora delle camelie ha prodotto subito un mito, che occuperà l’immaginario di intere generazioni e riempirà le scene, sia quelle del teatro di prosa, sia quelle del teatro d’opera, e successivamente gli schermi del cinema. Lo stesso Dumas ne fece una versione teatrale, affidandola a Sarah Berhnardt. Pochi anni dopo Giuseppe Verdi saprà farne una trasposizione sublime, in musica, con La Traviata“.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Newton Compton, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… 19 febbraio. Dàtemi questa soddisfazione, almeno. Riconoscetelo. Ho il diritto o no di dare del farabutto al mio destino?…”
Achille Campanile, Il diario di Gino Cornabò

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“… 19 febbraio. … Quello che non capisco è perché, da qualche giorno, mi scruta con ironia…”
Raymond Queneau, Il diario intimo di Sally Mara

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19 febbraio
Che triste giornata è stata oggi povero monsieur Armand! Stamattina Marguerite si sentiva soffocare, il medico le ha fatto un salasso, e le è tornato un filo di voce. Il medico le ha consigliato di far venire un prete. Lei ha acconsentito,  e lui stesso è andato a chiamarne uno alla chiesa di Saint-Roch.
Nel frattempo, Marguerite mi ha chiamato vicino al suo letto, pregandomi di aprire  l’armadio, poi mi ha indicato una cuffietta, una lunga camicia tutta guarnita di pizzi, e mi ha detto con voce fioca: “Dopo essermi confessata morirò, allora mi vestirai con una civetteria da moribonda”

 Alexandre Dumas figlio, La signora delle camelie, 1848, tr. it. L. Collodi, Newton Compton, 1994, p. 251

È l’amica Julie Duprat a scrivere le ultime lettere di Marguerite Gautier, la signora delle (o dalle) camelie, al suo innamorato Armand Duval, da cui è stata separata da una serie di circostanze melodrammatiche. Convinta dal padre del giovane a lasciarlo, Marguerite è malata, sull’orlo del fallimento, sofferente per il distacco.  Il romanzo è iniziato nel marzo del 1874, alla vendita all’asta dei beni di Marguerite e la vicenda è ricostruita attraverso confessioni, carte, diari e tante lettere, spesso trascritte una dentro l’altra, con le loro date rivelatrici  (“e voi dove siete, mentre scrivo queste righe?”).

Dicono del libro 
“Scritto nel 1848, quando l’autore non aveva che ventiquattro anni, il romanzo La signora delle camelie ha prodotto subito un mito, che occuperà l’immaginario di intere generazioni e riempirà le scene, sia quelle del teatro di prosa, sia quelle del teatro d’opera, e successivamente gli schermi del cinema. Lo stesso Dumas ne fece una versione teatrale, affidandola a Sarah Berhnardt. Pochi anni dopo Giuseppe Verdi saprà farne una trasposizione sublime, in musica, con La Traviata“.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Newton Compton, op. cit.)

 

Hanne Darboven: le date come materia prima dell’arte

Hanne Darboven. La stacanovista amanuense del tempo (testo di Michele Brescia)

“Sono state giornate furibonde senza atti d’amore, senza calma di vento, solo passaggi e passaggi passaggi di tempo, ore infinite come costellazioni e onde” . Questi versi sull’implacabile scorrere del tempo, tratti dal brano Anime Salve del 1996 e firmati da De Andrè e Fossati, condensano il significato più profondo dell’opera dell’artista concettuale tedesca Hanne Darboven: il tempo è stato, infatti, l’oggetto costante della sua indagine.
Il suo lavoro è stato ricondotto alle ricerche di artisti come Roman Opalka e On Kawara, i quali, a partire dalla metà degli anni Sessanta, furono impegnati nel tentativo estremamente determinato di cogliere e ritrarre il tempo, di dare una visualizzazione spaziale al suo fluire.
Darboven (Monaco di Baviera, 1941 – Amburgo, 2009) adempì questa missione con un’attività instancabile e una cura certosina, sin dalle prime fasi della sua produzione artistica, quando cominciò a cimentarsi con le addizioni numeriche, realizzate sommando le date recate dal calendario, quest’ultimo assunto come regolatore totemico della sua scrittura matematica. Il punto di partenza della registrazione del quotidiano operata dall’artista tedesca sta nell’incrocio della data, il cosiddetto valore K, che prende il nome dalla costruzione e dalle caselle che visualizzano questo valore. La Konstruktion, una operazione matematica che coinvolge la somma dei numeri che indicano una data nella forma europea (giorno/mese/anno), diventa così la base del progetto estetico di Darboven. Indicato con K, il sistema è messo a punto già nel 1968 dall’artista, che lo usa per introdurre il concetto di tempo nei suoi disegni su carta millimetrata.
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18 Febbraio

18 febbraio 2013

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D’altro canto, e posta per così dire in disparte dietro la risoluzione di morire, ce n’era un’altra, più segreta, e che al canonico aveva gelosamente nascosto, quella di morire di propria mano. Ma anche qui gli restava ancora un’immensa e schiacciante libertà: egli poteva liberamente attenersi a quella decisione o rinunciarvi, fare i gesto che termina tutto o al contrario accettare la mors ignea per nulla differente dall’agonia di un alchimista che si appicchi il fuoco alla lunga veste venuta inavvedutamente a contatto colle braci del proprio athanor. La scelta tra l’esecuzione o la fine volontaria, sospesa fino all’ultimo a una fibrilla della sua sostanza pensante, non oscillava più tra la morte e una specie di vita, come era accaduto per l’accettare o il rifiutare di ritrattarsi, ma concerneva il mezzo, il luogo e il momento esatto. Spettava a lui decidere se sarebbe finito sulla Piazza Grande tra gli schiamazzi o tranquillamente tra quei muri grigi. A lui, quindi, di ritardare o di affrettare di qualche ora l’azione suprema, di scegliere, se lo voleva, di vedere sorgere il sole d’un certo 18 febbraio 1569, o di finir oggi stesso prima che fosse notte fonda

Marguerite Yourcenar, L’opera al nero, 1968, tr. it. M. Mongardo, Feltrinelli 1986, p. 278

Nella città di Bruges, nel febbraio del 1569, il  filosofo e medico Zenone, accusato di eresia ed empietà, è in prigione, in attesa che venga eseguita la condanna a morte. Ha ricevuto una visita in cui gli è stato proposto di ritrattare e avere salva la vita.  Benché questa proposta rimetta in gioco il futuro, Zenone ha deciso di non accettare. Anzi, la sua decisione è quella di darsi la morte prima che lo vengano a prendere per l’esecuzione, prima che sorga il “sole d’un certo 18 febbraio 1569”.
In una nota al testo, l’autrice Yourcenar commenta che al momento del suicidio del personaggio Zenone, Giordano Bruno  – che sarebbe stato mandato al rogo il 17 febbraio del 1600 – avrebbe avuto circa vent’anni.
Zenone ha meditato spesso sul tempo, ricombinando le cifre degli anni, immaginando il futuro “di cui si sapeva una sola cosa, cioè che sarebbe arrivato” e ragionando sulla misura umana del tempo: “La terra girava ignara del calendario giuliano o dell’era cristiana, tracciando il suo cerchio senza principio né fine come un anello perfettamente liscio”. 

Dicono del libro
L’opera la nero è la storia di un personaggio immaginario, Zenone, medico, alchimista, filosofo, dalla nascita illegittima a Bruges nei primi anni del Cinquecento fino alla catastrofe che ne conclude l’esistenza.

 

Altre storie che accadono oggi

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“…Veramente il signor Jarmarka era tuttora scapolo, ma proprio il 18 febbraio compivano venticinque anni dal giorno in cui, per poco, non s’era sposato…” Jan Neruda, I racconti di Mala Strana

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“… Comunque la mostra inaugura il diciotto febbraio, il giorno della nascita di André Breton…”
Richard Kadrey, Addio Houston Street, addio 

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“… Il rovescio della Kaleidoscope non aveva abbattuto il suo morale, come annunciava il ‘Los Angeles Record’  il 18 febbraio 1929…” Paul Auster, Il libro delle illusioni

 

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“… le nove e un quarto del 18 febbraio? Sissignore – disse, sollevando il braccio per controllare la data sul suo orologio digitale…” Murakami Haruki, Tutti i figli di Dio danzano« »


D’altro canto, e posta per così dire in disparte dietro la risoluzione di morire, ce n’era un’altra, più segreta, e che al canonico aveva gelosamente nascosto, quella di morire di propria mano. Ma anche qui gli restava ancora un’immensa e schiacciante libertà: egli poteva liberamente attenersi a quella decisione o rinunciarvi, fare i gesto che termina tutto o al contrario accettare la mors ignea per nulla differente dall’agonia di un alchimista che si appicchi il fuoco alla lunga veste venuta inavvedutamente a contatto colle braci del proprio athanor. La scelta tra l’esecuzione o la fine volontaria, sospesa fino all’ultimo a una fibrilla della sua sostanza pensante, non oscillava più tra la morte e una specie di vita, come era accaduto per l’accettare o il rifiutare di ritrattarsi, ma concerneva il mezzo, il luogo e il momento esatto. Spettava a lui decidere se sarebbe finito sulla Piazza Grande tra gli schiamazzi o tranquillamente tra quei muri grigi. A lui, quindi, di ritardare o di affrettare di qualche ora l’azione suprema, di scegliere, se lo voleva, di vedere sorgere il sole d’un certo 18 febbraio 1569, o di finir oggi stesso prima che fosse notte fonda

Marguerite Yourcenar, L’opera al nero, 1968, tr. it. M. Mongardo, Feltrinelli 1986, p. 278

Nella città di Bruges, nel febbraio del 1569, il  filosofo e medico Zenone, accusato di eresia ed empietà, è in prigione, in attesa che venga eseguita la condanna a morte. Ha ricevuto una visita in cui gli è stato proposto di ritrattare e avere salva la vita.  Benché questa proposta rimetta in gioco il futuro, Zenone ha deciso di non accettare. Anzi, la sua decisione è quella di darsi la morte prima che lo vengano a prendere per l’esecuzione, prima che sorga il “sole d’un certo 18 febbraio 1569”.
In una nota al testo, l’autrice Yourcenar commenta che al momento del suicidio del personaggio Zenone, Giordano Bruno  – che sarebbe stato mandato al rogo il 17 febbraio del 1600 – avrebbe avuto circa vent’anni.
Zenone ha meditato spesso sul tempo, ricombinando le cifre degli anni, immaginando il futuro “di cui si sapeva una sola cosa, cioè che sarebbe arrivato” e ragionando sulla misura umana del tempo: “La terra girava ignara del calendario giuliano o dell’era cristiana, tracciando il suo cerchio senza principio né fine come un anello perfettamente liscio”. 

Dicono del libro
L’opera la nero è la storia di un personaggio immaginario, Zenone, medico, alchimista, filosofo, dalla nascita illegittima a Bruges nei primi anni del Cinquecento fino alla catastrofe che ne conclude l’esistenza.

 

17 Febbraio

17 febbraio 2013

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Esteban Werfell prese la penna – che era di legno, e che usava esclusivamente per redigere il suo diario – e la intinse nel calamaio.
17 febbraio 1958, scrisse. La sua calligrafia era accurata, elegante. Al di là della finestra il cielo era diventato completamente grigio, e una pioggia sottile, invisibile, scuriva l’edera che rivestiva la casetta dei cigni. Quella visuale lo fece sospirare. Avrebbe preferito un tempo diverso. Non gli piaceva che il parco fosse deserto. Sospirò di nuovo. Poi intinse la penna e si chinò sul quaderno.

Bernardo Atxaga, Esteban Werfell, in Obabakoak, 1989, tr. it. S. Piloto di Castri, Einaudi, 1991, p. 7

Il pomeriggio del 17 febbraio, sotto un “cielo nuvoloso, bianco e grigio”, il protagonista del racconto si accinge a scrivere su un quaderno dalla copertina rigida. È il dodicesimo quaderno delle sue riflessioni e delle sue memorie, in cui ripercorre un episodio dell’adolescenza, avvenuto molti anni prima, e il cui significato ha compreso da poco. Ha a che fare con il padre, con una ragazza tedesca con la quale si è scritto per tanti anni (o almeno ha creduto di farlo),  con una lontana immaginazione e soprattutto con il corso del tempo, che – al pari della memoria –  nasconde, seleziona e rivela la rete delle cose accadute.

Dicono del libro
“Obabakoak  è un nome composto dal toponimo Obaba e dal suffisso koak, che in lingua basca sta a indicare un’appartenenza. Letteralmente Obabakoak significa le cose, le vicende, le Storie di Obaba, luogo immaginario, piccolo villaggio sperduto fra i monti, isolato e dimenticato dal resto del mondo. Sinonimo di solitudine, metafora dei Paesi Baschi. Obaba funge da mitico fondale dei racconti del libro, racconti scritti fra memoria e gioco combinatorio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il diciassette (febbraio) uscimmo col proposito di esaminare meglio il vallone di granito…”
Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym

 

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“… 17 febbraio. Ma ora che ci penso … Mary avrà un baby…”
Raymond Queneau, Il diario intimo di Sally Mara

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“… Era il 17 febbraio 1989…nella regione della Cerdana in mezzo al vasto rilievo dei Pirenei, una tempesta doveva aver spadroneggiato…” Peter Handke, Un’altra storia di liquefazione (Epopea del baleno)

 

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… Qualche biografo sostiene che il 17  febbraio sia la vera data di nascita di Frédéric Chopin.Ma nell’intreccio delle date ci si può perdere, si può uscire di senno…”
Roberto Cotroneo, Presto con fuoco

 

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Esteban Werfell prese la penna – che era di legno, e che usava esclusivamente per redigere il suo diario – e la intinse nel calamaio.
17 febbraio 1958, scrisse. La sua calligrafia era accurata, elegante. Al di là della finestra il cielo era diventato completamente grigio, e una pioggia sottile, invisibile, scuriva l’edera che rivestiva la casetta dei cigni. Quella visuale lo fece sospirare. Avrebbe preferito un tempo diverso. Non gli piaceva che il parco fosse deserto. Sospirò di nuovo. Poi intinse la penna e si chinò sul quaderno.

Bernardo Atxaga, Esteban Werfell, in Obabakoak, 1989, tr. it. S. Piloto di Castri, Einaudi, 1991, p. 7

Il pomeriggio del 17 febbraio, sotto un “cielo nuvoloso, bianco e grigio”, il protagonista del racconto si accinge a scrivere su un quaderno dalla copertina rigida. È il dodicesimo quaderno delle sue riflessioni e delle sue memorie, in cui ripercorre un episodio dell’adolescenza, avvenuto molti anni prima, e il cui significato ha compreso da poco. Ha a che fare con il padre, con una ragazza tedesca con la quale si è scritto per tanti anni (o almeno ha creduto di farlo),  con una lontana immaginazione e soprattutto con il corso del tempo, che – al pari della memoria –  nasconde, seleziona e rivela la rete delle cose accadute.

Dicono del libro
“Obabakoak  è un nome composto dal toponimo Obaba e dal suffisso koak, che in lingua basca sta a indicare un’appartenenza. Letteralmente Obabakoak significa le cose, le vicende, le Storie di Obaba, luogo immaginario, piccolo villaggio sperduto fra i monti, isolato e dimenticato dal resto del mondo. Sinonimo di solitudine, metafora dei Paesi Baschi. Obaba funge da mitico fondale dei racconti del libro, racconti scritti fra memoria e gioco combinatorio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

16 Febbraio

16 febbraio 2013

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Il dì 16 febbraio, alle sei di mattina, il signor Vorel aveva dunque aperto il suo negozio “All’Angelo verde”. Già dal giorno prima ogni cosa era al suo posto e il negozio riluceva addirittura tutto bianco e nuovo. Negli scompartimenti e nei sacchi faceva bella mostra la farina, più bianca del muro imbiancato di fresco e brillavano i ceci più gialli degli scaffali intorno, verniciati di arancione. I vicini e le vicine, quando passavano accanto, guardavano dentro con attenzione e qualcuno faceva anche un passo indietro, per vedere ancora una volta. Ma nel negozio non entrava nessuno. “Verranno, verranno”, si disse alle sette il signor Vorel 

Jan Neruda, Come il signor Vorel si affumicò la pipa, 1876, tr. it. J. Vesela Torraca in I racconti di Mala Strana, Marietti 1982, pp. 83-84

Questo racconto breve è ambientato a Praga, in un anno imprecisato intorno al 1840, ma in un giorno ben definito, il 16 febbraio, di cui vengono ripercorse tutte le ore, dalle sei del mattino, quando il signor Vorel apre il negozio di farine, fino all’arrivo della prima e unica cliente. Costruito su figure e situazioni tipiche del quartiere praghese di Mala Strana, il racconto si appoggia alla data, come a un dettaglio significativo per la narrazione: “Il dì 16 febbraio 1840 o qualche anno in più…”.

Dicono del libro
“I Racconti di Mala Strana (1878) sono il suo capolavoro: un capolavoro di umanità e di humour, un epico ritratto del famoso e incantevole quartiere praghese che diviene un concentrato del mondo, la saga picaresca e familiare di una piccola realtà borghese innalzata all’universalità del quotidiano”
(dalla terza di copertina dell’ed. Marietti, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“..Ivria era morta un 16 di febbraio, una giornata in cui a Gerusalemme pioveva a dirotto…”
Amos Oz, Conoscere una donna

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“… 16 febbraio..Talvolta mi accade di sentirmi in dissenso con me stesso, in una sola parola, dimezzato…”
Luca  Canali, Diario segreto di Giulio Cesare
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Il dì 16 febbraio, alle sei di mattina, il signor Vorel aveva dunque aperto il suo negozio “All’Angelo verde”. Già dal giorno prima ogni cosa era al suo posto e il negozio riluceva addirittura tutto bianco e nuovo. Negli scompartimenti e nei sacchi faceva bella mostra la farina, più bianca del muro imbiancato di fresco e brillavano i ceci più gialli degli scaffali intorno, verniciati di arancione. I vicini e le vicine, quando passavano accanto, guardavano dentro con attenzione e qualcuno faceva anche un passo indietro, per vedere ancora una volta. Ma nel negozio non entrava nessuno. “Verranno, verranno”, si disse alle sette il signor Vorel 

Jan Neruda, Come il signor Vorel si affumicò la pipa, 1876, tr. it. J. Vesela Torraca in I racconti di Mala Strana, Marietti 1982, pp. 83-84

Questo racconto breve è ambientato a Praga, in un anno imprecisato intorno al 1840, ma in un giorno ben definito, il 16 febbraio, di cui vengono ripercorse tutte le ore, dalle sei del mattino, quando il signor Vorel apre il negozio di farine, fino all’arrivo della prima e unica cliente. Costruito su figure e situazioni tipiche del quartiere praghese di Mala Strana, il racconto si appoggia alla data, come a un dettaglio significativo per la narrazione: “Il dì 16 febbraio 1840 o qualche anno in più…”.

Dicono del libro
“I Racconti di Mala Strana (1878) sono il suo capolavoro: un capolavoro di umanità e di humour, un epico ritratto del famoso e incantevole quartiere praghese che diviene un concentrato del mondo, la saga picaresca e familiare di una piccola realtà borghese innalzata all’universalità del quotidiano”
(dalla terza di copertina dell’ed. Marietti, op. cit.)

 

15 Febbraio

15 febbraio 2013

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Cominciai questo disperato viaggio il 15 febbraio 1715 alle nove del mattino. Il vento era assai favorevole; da principio feci uso soltanto delle mie pagaie, ma poi considerando che mi sarei presto stancato e che il vento avrebbe potuto cadere, m’attentai a issare la mia vela; e così, con l’aiuto della marea, me ne venni innanzi alla velocità di una lega e mezzo all’ora, per quello che potei calcolare. Il mio padrone e i suoi amici rimasero sulla spiaggia fino a quando non m’ebbero perduto di vista; e più volte udii il ronzino sauro (che mi aveva sempre voluto bene) gridar da lontano: Hnuy illa nyha maiah Yahoo, Fai buon viaggio gentile Yahoo

Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, 1726, tr. it. G. Celati, Feltrinelli  1997, p. 282

Lemuel Gulliver, dopo studi di medicina, si è dedicato ai viaggi e ha  già conosciuto gli strani regni di Lilliput, Laputa, Brobdingnag, valutandone le forme di governo e di convivenza. Dopo un periodo trascorso a casa, nel settembre del 1710  si è  imbarcato come capitano sulla nave mercantile Avventura, da cui  è stato fatto sbarcare dai marinai  ammutinati. È approdato così nel paese degli Houyhnhnm, cavalli dai modi civili,  che si distinguono per saggezza e razionalità da certe bestie, chiamate Yahoo, usate per i lavori pesanti e assai simili – nella conformazione fisica – agli uomini. È rimasto in questo paese per diversi anni, nella casa di un cavallo sauro che lo tratta con simpatia, ma ora una decisione dell’Assemblea Generale ha deliberato la sua espulsione. Gulliver lascia con dispiacere la terra degli Houyhnhn, dove aveva potuto vivere in modo naturale, e torna  nella società inglese, con le sue regole, la sua scansione del tempo e la sua scrittura.


Dicono del libro
“Gulliver è un esploratore di mondi alla ricerca dell’ordine sociale migliore possibile; e tutto studia, e tutto annota, attraverso  il filtro deformante di una lente che di volta in volta miniaturizza, ingigantisce, spiazza rispetto alle misure convenzionali”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… All’alba del 15 (febbraio) si arrampicavano di nuovo sul tetto per cantare la canzone…”
Yasunari Kawabata, Il paese delle nevi

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“… Che giorno è oggi?- 15 febbraio – Se fossimo in marzo potremmo festeggiare la Settimana Santa. – Se lei vuole che siamo in marzo, chi può opporsi?..”
Manuel Scorza, Il cavaliere insonne

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“…Per le abitanti di Appleyard College, la domenica 15 febbraio fu una giornata di ossessionante incertezza: metà sogno, metà realtà…”
Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock

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Cominciai questo disperato viaggio il 15 febbraio 1715 alle nove del mattino. Il vento era assai favorevole; da principio feci uso soltanto delle mie pagaie, ma poi considerando che mi sarei presto stancato e che il vento avrebbe potuto cadere, m’attentai a issare la mia vela; e così, con l’aiuto della marea, me ne venni innanzi alla velocità di una lega e mezzo all’ora, per quello che potei calcolare. Il mio padrone e i suoi amici rimasero sulla spiaggia fino a quando non m’ebbero perduto di vista; e più volte udii il ronzino sauro (che mi aveva sempre voluto bene) gridar da lontano: Hnuy illa nyha maiah Yahoo, Fai buon viaggio gentile Yahoo

Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, 1726, tr. it. G. Celati, Feltrinelli  1997, p. 282

Lemuel Gulliver, dopo studi di medicina, si è dedicato ai viaggi e ha  già conosciuto gli strani regni di Lilliput, Laputa, Brobdingnag, valutandone le forme di governo e di convivenza. Dopo un periodo trascorso a casa, nel settembre del 1710  si è  imbarcato come capitano sulla nave mercantile Avventura, da cui  è stato fatto sbarcare dai marinai  ammutinati. È approdato così nel paese degli Houyhnhnm, cavalli dai modi civili,  che si distinguono per saggezza e razionalità da certe bestie, chiamate Yahoo, usate per i lavori pesanti e assai simili – nella conformazione fisica – agli uomini. È rimasto in questo paese per diversi anni, nella casa di un cavallo sauro che lo tratta con simpatia, ma ora una decisione dell’Assemblea Generale ha deliberato la sua espulsione. Gulliver lascia con dispiacere la terra degli Houyhnhn, dove aveva potuto vivere in modo naturale, e torna  nella società inglese, con le sue regole, la sua scansione del tempo e la sua scrittura.


Dicono del libro
“Gulliver è un esploratore di mondi alla ricerca dell’ordine sociale migliore possibile; e tutto studia, e tutto annota, attraverso  il filtro deformante di una lente che di volta in volta miniaturizza, ingigantisce, spiazza rispetto alle misure convenzionali”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

14 Febbraio

14 febbraio 2013

« »

Sull’imbrunire, il pomeriggio di San Valentino, Boldwood sedeva a cena come il solito, accanto a un radioso fuoco di vecchi ceppi. Sulla mensola del focolare, a lui davanti, si trovava un orologio, sormontato da un’aquila con le ali spiegate, e sulle ali dell’aquila era posata la lettera che Batsceba gli aveva spedito. Lo sguardo dello scapolo la fissava con tanta continuità, che il grosso sigillo rosso era divenuto una macchia di sangue sulla retina del suo occhio, e mentre mangiava e beveva, non faceva che rileggerci nella fantasia le parole che vi erano sopra, sebbene fossero troppo lontane per la sua vista.
“Sposami”

Thomas Hardy, Via dalla pazza folla, 1874, tr. it. P. Jahier e M.-L. Rissler Stoneman, Garzanti, 1973 81989), p. 107

 

Nel tempo  della campagna inglese, i giorni sono identificati dai mutamenti delle stagioni e della luce, dalle feste religiose, dal nome dei santi,  fra cui – in questa storia di innamoramenti – ha un posto d’onore san Valentino, con la sua tradizione di inviare lettere e biglietti. La bella e giovane Batsceba ha inviato uno di questi messaggi, per scherzo, al signor Boldwood, provocando, come conseguenza, una vera proposta di matrimonio, una delle molte che costellano questa storia:“Di nuovo il messaggio di San Valentino! … Non avrei mai dovuto sognarmi di mandarvi quel messaggio”. 

 

Dicono del libro
“Pubblicato anonimo, a puntate, sul Cornhill Magazine, ebbe subito fortuna: e ha continuato a mantenerla, se  qualche anno fa il cinema inglese ne ha voluto visualizzare, si deve dire con gusto ma senza quella forza calma e quel mistero che ne formano l’incanto, la storia. Che non è priva di punte drammatiche, che procedendo verso l’epilogo assume tinte tragiche, ma alla fine si ricompone: l’equilibrio della piccola comunità rurale che ne è lo scenario, fermo e cangiante, nel succedersi delle stagioni”

(dall’introduzione di A. Bertolucci, ed. Garzanti, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Il 14 febbraio era la “festa della caccia agli uccelli”, una festa di bambini che esprimeva

lo spirito più autentico di questo paese della neve…”  Yasunari Kawabata, Il paese delle nevi

 

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 “…La cosa non lo turbò minimamente. Ci sposammo una settimana dopo, il giorno di San Valentino…”
Truman Capote, L’arpa d’erba

 

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“… Il 14 febbraio Kimura parlò a mio marito della Polaroid…”
Junichiro Tanizaki, La chiave

 

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“… Che cosa non darei per il ricordo / D’un portone di villa segreta / Che mio padre spingeva ogni sera / prima di smarrirsi nel sonno / E spinse per l’ultima volta / Il quattordici febbraio del 38…”
Jorge Luis Borges, Elogio del ricordo impossibile

 

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“… Come regalo per il giorno di San Valentino Jerry le confezionò una pelliccia di criceto…”
Philip Roth, Pastorale americana

 

 

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“… Sabato 14 febbraio dell’anno 1900 un gruppo di allieve del collegio Appleyard andò in picnic ad Hanging Rock…”
Peter Weir, Picnic ad Hanging Rock 

 

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“… wish me a happy Valentine’s day…”
The Ethernal Sunshine of the spotless mind – Se mi lasci ti cancello (segnalazione di Lorena De Amicis)

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Sull’imbrunire, il pomeriggio di San Valentino, Boldwood sedeva a cena come il solito, accanto a un radioso fuoco di vecchi ceppi. Sulla mensola del focolare, a lui davanti, si trovava un orologio, sormontato da un’aquila con le ali spiegate, e sulle ali dell’aquila era posata la lettera che Batsceba gli aveva spedito. Lo sguardo dello scapolo la fissava con tanta continuità, che il grosso sigillo rosso era divenuto una macchia di sangue sulla retina del suo occhio, e mentre mangiava e beveva, non faceva che rileggerci nella fantasia le parole che vi erano sopra, sebbene fossero troppo lontane per la sua vista.
“Sposami”

Thomas Hardy, Via dalla pazza folla, 1874, tr. it. P. Jahier e M.-L. Rissler Stoneman, Garzanti, 1973 81989), p. 107

Nel tempo  della campagna inglese, i giorni sono identificati dai mutamenti delle stagioni e della luce, dalle feste religiose, dal nome dei santi,  fra cui – in questa storia di innamoramenti – ha un posto d’onore san Valentino, con la sua tradizione di inviare lettere e biglietti. La bella e giovane Batsceba ha inviato uno di questi messaggi, per scherzo, al signor Boldwood, provocando, come conseguenza, una vera proposta di matrimonio, una delle molte che costellano questa storia:“Di nuovo il messaggio di San Valentino! … Non avrei mai dovuto sognarmi di mandarvi quel messaggio”. 

Dicono del libro
“Pubblicato anonimo, a puntate, sul Cornhill Magazine, ebbe subito fortuna: e ha continuato a mantenerla, se  qualche anno fa il cinema inglese ne ha voluto visualizzare, si deve dire con gusto ma senza quella forza calma e quel mistero che ne formano l’incanto, la storia. Che non è priva di punte drammatiche, che procedendo verso l’epilogo assume tinte tragiche, ma alla fine si ricompone: l’equilibrio della piccola comunità rurale che ne è lo scenario, fermo e cangiante, nel succedersi delle stagioni”

(dall’introduzione di A. Bertolucci, ed. Garzanti, op. cit.)

 

13 Febbraio

13 febbraio 2013

« »

Io, Billy Pilgrim, comincia il nastro, morirò, sono morto e sempre morirò il tredici febbraio 1976.
Nell’ora della sua morte, dice, è a Chicago per parlare a una gran folla sul tema dei dischi volanti e della vera natura del tempo

Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, 1969,  tr. it. L. Brioschi, Feltrinelli, 2003, pp. 133

 

Billy Pilgrim, sopravvissuto al bombardamento di Dresda del 13 febbraio del 1945 e tornato negli Stati Uniti, racconta la storia della sua vita, come se le diverse fasi fossero reversibili, continuamente attraversabili e interferenti. In questi viaggi nel tempo, si sposta dall’adolescenza all’età matura; dalla traumatica esperienza della II guerra mondiale al lavoro di ottico; da un incidente aereo a un rapimento degli alieni. L’insensatezza delle guerre e dei massacri è curiosamente commentata, qua e là nel testo, dagli uccelli, con un cinguettio onomatopeico: Poo tee weet.
Il tempo, soprattutto, è al centro di riflessioni venate di scienza fantastica: “Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia”; “Eccoci qua incastonati nell’ambra di questo momento”.
Il giorno 13 febbraio ricorre nella narrazione sia come data storica della distruzione di Dresda, sia come termine (ricorsivo) della vita del protagonista. 

 

Dicono del libro
“Per una decina di giorni, verso la fine della Seconda guerra mondiale, Kurt Vonnegut, americano di origine tedesca (…) batté lande tedesche coperte di neve che il suo piede non aveva mai calcato. Fatto prigioniero durante la battaglia delle Ardenne, ebbe la ventura di assistere al bombardamento di Dresda (…). Da questa dura e incancellabile esperienza nacque Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini, storia semiseria di Billy Pilgrim, americano medio affetto da un disturbo singolare (‘ogni tanto, senza alcuna ragione apparente, si metteva a piangere’) e in possesso di un segreto inconfessabile: la conoscenza della vera natura del tempo. Tutto è, tutto è sempre stato e sempre sarà, passato e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno, nulla dipende dalla volontà dell’uomo”
(dalla terza di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“…Il mattino del 13 febbraio che, come sanno, al pari di noi, i lettori di questa veritiera storia…”
Charles Dickens, Il circolo Pickwick

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“…Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell’anno 1632…”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi

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“… era una mattina orribile, il mercoledì delle Ceneri, sulla discesa della Courtille…”
Alfred de Musset, Le confessioni di un figlio del secolo

 

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“… Si era di domenica pomeriggio alla fattoria, il tredici febbraio…”
Thomas Hardy, Via dalla pazza folla

 

 

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“… Sabato, 13 febbraio. – Ho incontrato lungo il fiume quella ragazza … Le ho parlato. Intanto che camminava…”
Alain-Fournier, Il gran Meaulnes

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“…Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo
E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio…”
Thomas Stearns Eliot, Mercoledì delle ceneri

 

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“… Quella non è una donna, è un mercoledì di ceneri, stermina il buonumore di chiunque…”
Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti

 

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“… Tanto per cominciare, mercoledì delle Ceneri sulla Centoventicinquesima Strada…”
John Cheever, Una specie di solitudine

 

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“… Se lei difatti va a vedere la copertina della ‘Domenica del Corriere’ del 13 febbraio 1944…”
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini« »

Io, Billy Pilgrim, comincia il nastro, morirò, sono morto e sempre morirò il tredici febbraio 1976.
Nell’ora della sua morte, dice, è a Chicago per parlare a una gran folla sul tema dei dischi volanti e della vera natura del tempo

Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, 1969,  tr. it. L. Brioschi, Feltrinelli, 2003, pp. 133

 

Billy Pilgrim, sopravvissuto al bombardamento di Dresda del 13 febbraio del 1945 e tornato negli Stati Uniti, racconta la storia della sua vita, come se le diverse fasi fossero reversibili, continuamente attraversabili e interferenti. In questi viaggi nel tempo, si sposta dall’adolescenza all’età matura; dalla traumatica esperienza della II guerra mondiale al lavoro di ottico; da un incidente aereo a un rapimento degli alieni. L’insensatezza delle guerre e dei massacri è curiosamente commentata, qua e là nel testo, dagli uccelli, con un cinguettio onomatopeico: Poo tee weet.
Il tempo, soprattutto, è al centro di riflessioni venate di scienza fantastica: “Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia”; “Eccoci qua incastonati nell’ambra di questo momento”.
Il giorno 13 febbraio ricorre nella narrazione sia come data storica della distruzione di Dresda, sia come termine (ricorsivo) della vita del protagonista. 

 

Dicono del libro
“Per una decina di giorni, verso la fine della Seconda guerra mondiale, Kurt Vonnegut, americano di origine tedesca (…) batté lande tedesche coperte di neve che il suo piede non aveva mai calcato. Fatto prigioniero durante la battaglia delle Ardenne, ebbe la ventura di assistere al bombardamento di Dresda (…). Da questa dura e incancellabile esperienza nacque Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini, storia semiseria di Billy Pilgrim, americano medio affetto da un disturbo singolare (‘ogni tanto, senza alcuna ragione apparente, si metteva a piangere’) e in possesso di un segreto inconfessabile: la conoscenza della vera natura del tempo. Tutto è, tutto è sempre stato e sempre sarà, passato e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno, nulla dipende dalla volontà dell’uomo”
(dalla terza di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

12 Febbraio

12 febbraio 2013

« »

La mattina del 12 febbraio 1946, sulla sedia a sdraio del ponte, una carta geografica sulle ginocchia, dice a sua moglie, guardando la superficie dell’oceano: “Ho sbagliato tutto”.

Giuseppe Pontiggia,  Vite di uomini non illustri, Mondadori, 1993, p. 211

 

Questo 12 febbraio è un giorno nella vita di Ghioni Ludovico di Pontelambro, cagionevole di salute, perito chimico presso il Cotonificio Ramponi, di cui diventa per un periodo vicedirettore. Sposato con una donna e attratto dalla sorella; contento del suo lavoro, ma convinto dal cognato ad accettarne un altro in Argentina, per poi tornare – pentito- al suo vecchio cotonificio, Ghioni attraversa i giorni nell’indecisione. In questa, come nelle altre vite di uomini non illustri raccontate nel libro, le date abbondano: nascite, morti, matrimoni, viaggi, tradimenti, assunzioni, i giorni memorabili delle vite di tutti. 

 

Dicono del libro
“Vite immaginarie di personaggi immaginari, nell’Italia compresa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Duemila: donne e uomini dal destino oscuro, di cui vengono rievocate, con precisione ‘storica’, le esperienze che hanno reso memorabile ai loro occhi l’esistenza (…) Il libro ha voluto raccontare queste storie con la scansione cronologica delle biografie illustri, ma applicata a personaggi anonimi e a una cronaca spesso interiore”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… La grande attesa di Toio si volgeva ora all’ultimo di carnevale, al corso dei carri allegorici e delle carrozze…”
Giani Stuparich, Cuore adolescente

 

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“…12 febbraio. Eravamo sul lungofiume, ai bordi del Tamigi…”
Henri-Pierre Roché, Le due inglesi e il continente

 

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“… Ho già detto come ci incontrammo – nel lungo specchio del Cecil, davanti alla porta aperta della sala da ballo nella notte di Carnevale…”
Lawrence Durrell, Justine

pittura
Paul Delaroche, L’esecuzione di Lady Jane Grey, il 12 febbraio 1554, olio su tela, 1833
Londra, National Gallery

 

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 “…12 febbraio di Bettino, poi Di Lorenzo, poi Goria…”
Davide Riondino, La ballata del si e del no (Segnalazione di Michele Brescia)

 

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“… Era il 12 febbraio, in gioco c’era il mio futuro…”
Kaso e Maxi B, 6 febbraio (segnalazione di Michele Brescia)« »

La mattina del 12 febbraio 1946, sulla sedia a sdraio del ponte, una carta geografica sulle ginocchia, dice a sua moglie, guardando la superficie dell’oceano: “Ho sbagliato tutto”.

Giuseppe Pontiggia,  Vite di uomini non illustri, Mondadori, 1993, p. 211

Questo 12 febbraio è un giorno nella vita di Ghioni Ludovico di Pontelambro, cagionevole di salute, perito chimico presso il Cotonificio Ramponi, di cui diventa per un periodo vicedirettore. Sposato con una donna e attratto dalla sorella; contento del suo lavoro, ma convinto dal cognato ad accettarne un altro in Argentina, per poi tornare – pentito – al suo vecchio cotonificio, Ghioni attraversa i giorni nell’indecisione. In questa, come nelle altre vite di uomini non illustri raccontate nel libro, le date abbondano: nascite, morti, matrimoni, viaggi, tradimenti, assunzioni, i giorni memorabili delle vite di tutti. 

Dicono del libro
“Vite immaginarie di personaggi immaginari, nell’Italia compresa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Duemila: donne e uomini dal destino oscuro, di cui vengono rievocate, con precisione ‘storica’, le esperienze che hanno reso memorabile ai loro occhi l’esistenza (…) Il libro ha voluto raccontare queste storie con la scansione cronologica delle biografie illustri, ma applicata a personaggi anonimi e a una cronaca spesso interiore”

(dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

11 Febbraio

11 febbraio 2013

« »

Genova, 11 Febbraro
Ecco il Sole più bello! Tutte le mie fibre sono in un tremito soave perché risentono la giocondità di questo Cielo raggiante e salubre. Sono pure contento di essere partito! Proseguirò fra poche ore; non so ancora dirti dove mi fermerò, né quando terminerà il mio viaggio: ma per il 16 sarò in Tolone.

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802, Rizzoli, 1992, p. 150

Una delle tante lettere che il giovane studente Jacopo Ortis invia all’amico Lorenzo, con i suoi pensieri, le sue sofferenze politiche e amorose, le decisioni repentine. È il febbraio 1799 e Jacopo ha deciso di partire per la Francia, dove però non arriverà. Ha informato l’amico con una lunga lettera da Milano, datata 6 febbraio (Foscolo era nato a Zante il 6 febbraio del 1778). Ora, l’11 dello stesso mese, il ragazzo è a Genova, indeciso sulla meta e sulla durata del suo viaggio. 

 

Dicono del libro
“Iniziato nel 1798 (ma un primo abbozzo il Foscolo lo aveva già steso, diciottenne, nell’esilio dei colli Euganei), il romanzo rimase interrotto per la fuga del poeta da Bologna in seguito all’arrivo degli Austriaci. Ripreso nell”800, fu compiuto e pubblicato nel 1802, con immediato successo. Romanzo-diario o, come scrisse il poeta, ‘diario delle proprie angosciose passioni’: e non solo per la trama, scopertamente autobiografica, ma per l’immediatezza con cui vi si riflettono, quasi a strati successivi, gli umori e le esperienze esistenziali di un’indole istintiva e appassionata”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Era stata quell’anno la loro prima festa da ballo e avevano deciso di parteciparvi quasi alla fine del carnevale…” Arthur Schnitzler, Doppio sogno

 

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“… L’11 febbraio l’U-653 raggiunse altri dieci U-Boot in una nuova linea di pattuglia a metà Atlantico…”
Robert Harris, Enigma

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“… Lunedì 11 febbraio. Mi mancano solo sei mesi e ventotto giorni alla pensione…”
Mario Benedetti, La tregua (segnalazione di Federico Bona)

 

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“…Nascono allora i disegni delle corse dei barberi: a carnevale, da piazza del Popolo quando i cavalli partono insieme…”
Marisa Volpi, Cavaliere senza destino (sul pittore Theodore Géricault)« »

Genova, 11 Febbraro
Ecco il Sole più bello! Tutte le mie fibre sono in un tremito soave perché risentono la giocondità di questo Cielo raggiante e salubre. Sono pure contento di essere partito! Proseguirò fra poche ore; non so ancora dirti dove mi fermerò, né quando terminerà il mio viaggio: ma per il 16 sarò in Tolone.

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802, Rizzoli, 1992, p. 150

Una delle tante lettere che il giovane studente Jacopo Ortis invia all’amico Lorenzo, con i suoi pensieri, le sue sofferenze politiche e amorose, le decisioni repentine. È il febbraio 1799 e Jacopo ha deciso di partire per la Francia, dove però non arriverà. Ha informato l’amico con una lunga lettera da Milano, datata 6 febbraio (Foscolo era nato a Zante il 6 febbraio del 1778). Ora, l’11 dello stesso mese, il ragazzo è a Genova, indeciso sulla meta e sulla durata del suo viaggio. 

Dicono del libro
“Iniziato nel 1798 (ma un primo abbozzo il Foscolo lo aveva già steso, diciottenne, nell’esilio dei colli Euganei), il romanzo rimase interrotto per la fuga del poeta da Bologna in seguito all’arrivo degli Austriaci. Ripreso nell”800, fu compiuto e pubblicato nel 1802, con immediato successo. Romanzo-diario o, come scrisse il poeta, ‘diario delle proprie angosciose passioni’: e non solo per la trama, scopertamente autobiografica, ma per l’immediatezza con cui vi si riflettono, quasi a strati successivi, gli umori e le esperienze esistenziali di un’indole istintiva e appassionata”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

Graffiti nel tempo

Torre Milizie Roma_ricerca_ColluEra come oggi un dieci febbraio quando, nel 1930, qualcuno, salito sulla Torre delle Milizie a Roma, tracciò su una parete questa eloquente scritta:

Qui chiavai Teresa, ventenne bella simpatica seducente
rimasta sedotta 10 – 2 – 30″

E questa è solo una delle oltre quattrocento scritte murali che popolano le pareti della Torre delle Milizie, costruzione del XIII secolo annessa oggi al complesso dei Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali.
Individuate, trascritte e studiate nel corso di una lunga ricerca  – al confine fra storia, scrittura,  memoria, uso dei monumenti – da Daniela Collu, per una tesi di laurea in storia dell’arte (Sapienza 2010),  queste iscrizioni spontanee, leggibili o cancellate, isolate o sovrapposte, anonime o firmate, datate o perse nel tempo raccontano la storia dell’edificio. E trasformano i suoi 42 metri di altezza in un enorme libro degli ospiti,  rivelando dinamiche e sfumature del rapporto sempre mutevole dell’uomo con lo spazio pubblico e con la memoria in (e di) sé. Nel corso dei secoli la Torre ha cambiato più e più volte destinazione d’uso, passando ad esempio, dall’essere luogo di preghiera e penitenza delle monache del vicino convento di Santa Caterina in Magnanapoli nel XVII secolo a magazzino per il tabacco nel XIX.
Il 10 febbraio del 1930 un anonimo signore “conquistava” la simpatica e seducente Teresa, forse all’ultimo piano della Torre, dove la scritta è stata apposta, o sulla terrazza al piano di sopra, con la complicità di uno dei panorami più suggestivi di Roma e, magari non troppo romanticamente, consegnava la data alla memoria storica di un luogo, che per l’amore proprio non era mai stato usato. (d.c.)

10 Febbraio

10 febbraio 2013

« »

Quando, a quarantadue anni, disperava ormai dell’amore e si avviava verso la sorte del vecchio scapolo, improvvisamente Gaetano si decise. Il dieci febbraio 1842 scrisse a Giuseppina, chiedendo in matrimonio la figlia che non aveva mai visto. Giuseppina non attendeva la strana lettera, e gli rispose di notte, ultimate le faccende domestiche, nell’ora più propizia ai progetti romanzeschi

 Pietro Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, 1989, Rizzoli 1993, p. 56

 

Dicono del libro
“E’ una cronaca famigliare, desunta dalle lettere, dalle testimonianze e dai documenti che per oltre un secolo sono stati conservati nella famiglia dell’autore: la storia di un bisnonno e di una bisnonna, di un siciliano e di una parmigiana, Gaetano Citati e Clementina Sanvitale, del loro amore romanzesco e della loro tragica morte. Questa cronaca è un ritratto fedele dell’Ottocento romantico”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Giaipur, 10 febbraio. I giardini del Maraja sono di una malinconia cimiteriale che pure ha il suo incanto…”
Guido Gozzano, Verso la cuna del mondo

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“… ‘Intorno a me regna il disordine’  pensò con soddisfazione Kazuo (…)  Era il 10 febbraio 1948…”
Yukio Mishima, Una stanza chiusa a chiave

 

 

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Quando, a quarantadue anni, disperava ormai dell’amore e si avviava verso la sorte del vecchio scapolo, improvvisamente Gaetano si decise. Il dieci febbraio 1842 scrisse a Giuseppina, chiedendo in matrimonio la figlia che non aveva mai visto. Giuseppina non attendeva la strana lettera, e gli rispose di notte, ultimate le faccende domestiche, nell’ora più propizia ai progetti romanzeschi

 Pietro Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, 1989, Rizzoli 1993, p. 56

Dicono del libro
“E’ una cronaca famigliare, desunta dalle lettere, dalle testimonianze e dai documenti che per oltre un secolo sono stati conservati nella famiglia dell’autore: la storia di un bisnonno e di una bisnonna, di un siciliano e di una parmigiana, Gaetano Citati e Clementina Sanvitale, del loro amore romanzesco e della loro tragica morte. Questa cronaca è un ritratto fedele dell’Ottocento romantico”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

9 Febbraio

9 febbraio 2013

« »

Era infatti una mattina come tante altre. Il cielo, fuori, si manteneva grigio e uniforme. Ma lui si sentiva bene. Le prossime ore non gli pesavano né gli facevano paura di nessun genere i giorni successivi. Né il grande futuro. Il telefono taceva. Dorigo era tranquillo, le cose gli andavano. Vestito di un completo grisaille, camicia bianca, cravatta in tinta unita rosso magenta, calze pure rosse, scarpe nere lavorate, quasi che. Quasi che tutto dovesse continuare come era continuato fino allora, fino a quel giorno di febbraio, che era un martedì e portava il numero 9. Tutto sicuro e propizio per un borghese nel pieno della vita, intelligente, corrotto, ricco e fortunato

Dino Buzzati, Un amore, 1963, Mondadori, 1979, p. 31

La mattina del 9 febbraio 1960, “una mattina qualsiasi di una giornata qualsiasi”, “una delle tante giornate grigie di Milano”, proprio per questa sua apparente indistinzione, è una protagonista della storia, il crononimo grazie al quale il lettore entra nella scena, la cornice temporale – nel senso del calendario e dell’atmosfera – che rende tanto più tangibile la narrazione di questo amore non ricambiato. 

 

Dicono del libro
“Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d’appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell’architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell’inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano”
(dalla recensione del libro in Italialibri.net)

….

Altre storie che accadono oggi

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“… 9 febbraio. (…) Ieri ho assistito alla corsa dei cavalli di Carnevale, dalle tribune di legno di piazza del Popolo…”
Marisa Volpi, La fortuna di Thomas Bellman

pittura
Il quadro di Jean-Antoine Gros; Napoleone sul campo della battaglia di Eylau, il 9 febbraio 1807,
1808, Parigi, Louvre

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Era infatti una mattina come tante altre. Il cielo, fuori, si manteneva grigio e uniforme. Ma lui si sentiva bene. Le prossime ore non gli pesavano né gli facevano paura di nessun genere i giorni successivi. Né il grande futuro. Il telefono taceva. Dorigo era tranquillo, le cose gli andavano. Vestito di un completo grisaille, camicia bianca, cravatta in tinta unita rosso magenta, calze pure rosse, scarpe nere lavorate, quasi che. Quasi che tutto dovesse continuare come era continuato fino allora, fino a quel giorno di febbraio, che era un martedì e portava il numero 9. Tutto sicuro e propizio per un borghese nel pieno della vita, intelligente, corrotto, ricco e fortunato

Dino Buzzati, Un amore, 1963, Mondadori, 1979, p. 31

La mattina del 9 febbraio 1960, “una mattina qualsiasi di una giornata qualsiasi”, “una delle tante giornate grigie di Milano”, proprio per questa sua apparente indistinzione, è una protagonista della storia, il crononimo grazie al quale il lettore entra nella scena, la cornice temporale – nel senso del calendario e dell’atmosfera – che rende tanto più tangibile la narrazione di questo amore non ricambiato. 

Dicono del libro
“Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d’appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell’architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell’inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano”

(dalla recensione del libro in Italialibri.net)

….

 

8 Febbraio

8 febbraio 2013

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La sera dell’otto febbraio raggiunsi il mio casino dove, all’ora fissata, arrivò M.M. con il suo onorevole cavaliere, e quando l’uomo si tolse la maschera, M.M. me lo presentò, dicendomi insieme al nome, anche i suoi titoli. Allora, Bernis mi disse che non vedeva l’ora di rifare la mia conoscenza, dal momento che, come aveva saputo dalla signora, ci eravamo già visti a Parigi. Mentre pronunciava queste parole, mi guardava con l’aria intenta che si assume quando si cerca di ricordare un volto

Giacomo Casanova, Storia della mia vita, ed. a cura di P. Chiara, F. Roncoroni, I Meridiani,
Mondadori 1992, vol. I, p.1018

Fra il 1754 e il 1755, “complicati maneggi” vedono impegnato Casanova con due donne, indicate dalle iniziali C.C. e M.M., e l’abate de Bernis, allora ambasciatore di Francia a Venezia. Fra la città e l’isola di Murano, fra conventi, chiese, case da gioco e casini privati, si svolgono gli incontri, annunciati da messaggi, fissati con anticipo nel corso di accordi segreti, come è avvenuto per questo, dell’8 febbraio. Casanova registra le date di molte feste religiose (il giorno di santa Caterina, Ognissanti), e i giorni memorabili per i colpi della sorte, lasciando diverse considerazioni sulla “più grande e potente delle entità astratte, il tempo” e sull’arte di rendere inavvertibile il suo corso. 

 

Dicono del libro
“Ma il Casanova è quello che è, e non vuol essere altro: un vero eroe del suo tempo per l’audacia, la sincerità con la quale lo visse, allo sbaraglio, senza temere i colpi di spada o di pistola, il carcere e l’esilio, pur di consumare fino all’ultimo l’avventura della sua esistenza in un’epoca in cui la vita era un’opera d’arte e si poteva farne, con vera gioia, un capolavoro dei sensi. Perciò le sue Memorie, che furono quasi sempre ritenute un giardino di proibite delizie, sono invece la franca e aperta confessione di un disperato italiano del Settecento”

(Piero Chiara, Introduzione all’ed. Mondadori, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“… 8 febbraio. Il termometro ancora indugia intorno allo zero. Il freddo fa parte della cattivaeria generale… ”
Saul Bellow, L’uomo in bilico

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“… E’ lunedì 8 febbraio, alle quattro. Jericho torna stancamente dalla mensa al capannone…”
Robert Harris, Enigma

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“… 8 febbraio sabato mattina / il telefono squilla come mai ha fatto prima…”
Kaso e Maxi B, 6 febbraio (segnalazione di Michele Brescia)

 

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“...Ad esempio mi era sembrato che in Juventus-Roma dell’8 febbraio ‘98…”
Elio e le Storie tese (segnalazione di Michele Brescia)

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La sera dell’otto febbraio raggiunsi il mio casino dove, all’ora fissata, arrivò M.M. con il suo onorevole cavaliere, e quando l’uomo si tolse la maschera, M.M. me lo presentò, dicendomi insieme al nome, anche i suoi titoli. Allora, Bernis mi disse che non vedeva l’ora di rifare la mia conoscenza, dal momento che, come aveva saputo dalla signora, ci eravamo già visti a Parigi. Mentre pronunciava queste parole, mi guardava con l’aria intenta che si assume quando si cerca di ricordare un volto

Giacomo Casanova, Storia della mia vita, ed. a cura di P. Chiara, F. Roncoroni, I Meridiani,
Mondadori 1992, vol. I, p.1018

Fra il 1754 e il 1755, “complicati maneggi” vedono impegnato Casanova con due donne, indicate dalle iniziali C.C. e M.M., e l’abate de Bernis, allora ambasciatore di Francia a Venezia. Fra la città e l’isola di Murano, fra conventi, chiese, case da gioco e casini privati, si svolgono gli incontri, annunciati da messaggi, fissati con anticipo nel corso di accordi segreti, come è avvenuto per questo, dell’8 febbraio. Casanova registra le date di molte feste religiose (il giorno di santa Caterina, Ognissanti), e i giorni memorabili per i colpi della sorte, lasciando diverse considerazioni sulla “più grande e potente delle entità astratte, il tempo” e sull’arte di rendere inavvertibile il suo corso. 

Dicono del libro
“Ma il Casanova è quello che è, e non vuol essere altro: un vero eroe del suo tempo per l’audacia, la sincerità con la quale lo visse, allo sbaraglio, senza temere i colpi di spada o di pistola, il carcere e l’esilio, pur di consumare fino all’ultimo l’avventura della sua esistenza in un’epoca in cui la vita era un’opera d’arte e si poteva farne, con vera gioia, un capolavoro dei sensi. Perciò le sue Memorie, che furono quasi sempre ritenute un giardino di proibite delizie, sono invece la franca e aperta confessione di un disperato italiano del Settecento”

(Piero Chiara, Introduzione all’ed. Mondadori, op. cit.)

 

7 Febbraio

7 febbraio 2013

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Come dice scusi? Io?
Io che le debbo dire, io?
Lei si ricorda per caso di quella volta che le ho raccontato di quando partimmo per lo sfollamento, cioè la notte del 7 febbraio 1944 che i tedeschi ci fecero sfollare sopra un carretto con il telo bianco dal nostro podere 517 Peruzzi, Canale Mussolini?

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, 2010, Mondadori, p. 452

 

Nelle ultime pagine della storia della famiglia Peruzzi, emigrata dal Veneto nell’Agro Pontino durante il fascismo, per la bonifica – il loro podere è il numero 517 del Canale Mussolini – si affollano le date del passaggio del fronte. Il 22 gennaio del 1944 gli alleati sono sbarcati ad Anzio e gli abitanti dell’Agro sono obbligati dai tedeschi a sfollare verso Cori, rifugiandosi nelle capanne, nei ricoveri dei pastori. E poi a scappare ancora, fino alla liberazione, “Giusto o sbagliato, era finita. Eravamo stati liberati”. Il 7 febbraio è la data in cui la famiglia – vecchi, donne, bambini, il mulo, il cane – lascia la casa e si ritrova in un campo minato. Va avanti Armida, incinta e disonorata: magicamente guidata dalle api attraversa il campo e partorisce il suo bambino, che è poi la voce narrante della storia. “Grassie, appi! Domàn xè un altro giorno”. 

Dicono del libro
“Canale Mussolini è l’asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Tra di loro ci sono i Peruzzi, gli eroi di questa saga straordinaria. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle. Con lui si trasferiscono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… La sera di Carnevale, ormai piuttosto tardi, mentre stavo seduto al buio in una stanzetta della fureria, qualcuno mi telefonò…”
Giampiero Comolli, La foresta intelligente

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“… Catturato fra la folla, addì 7 febbraio, in compagnia del barone. Portava addosso di gran carte sparse di numeri arabici, a guisa di linguaggio celato…” Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte« »

Come dice scusi? Io?
Io che le debbo dire, io?
Lei si ricorda per caso di quella volta che le ho raccontato di quando partimmo per lo sfollamento, cioè la notte del 7 febbraio 1944 che i tedeschi ci fecero sfollare sopra un carretto con il telo bianco dal nostro podere 517 Peruzzi, Canale Mussolini?

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, 2010, Mondadori, p. 452

Nelle ultime pagine della storia della famiglia Peruzzi, emigrata dal Veneto nell’Agro Pontino durante il fascismo, per la bonifica – il loro podere è il numero 517 del Canale Mussolini – si affollano le date del passaggio del fronte. Il 22 gennaio del 1944 gli alleati sono sbarcati ad Anzio e gli abitanti dell’Agro sono obbligati dai tedeschi a sfollare verso Cori, rifugiandosi nelle capanne, nei ricoveri dei pastori. E poi a scappare ancora, fino alla liberazione, “Giusto o sbagliato, era finita. Eravamo stati liberati”. Il 7 febbraio è la data in cui la famiglia – vecchi, donne, bambini, il mulo, il cane – lascia la casa e si ritrova in un campo minato. Va avanti Armida, incinta e disonorata: magicamente guidata dalle api attraversa il campo e partorisce il suo bambino, che è poi la voce narrante della storia. “Grassie, appi! Domàn xè un altro giorno”. 

Dicono del libro
“Canale Mussolini è l’asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Tra di loro ci sono i Peruzzi, gli eroi di questa saga straordinaria. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle. Con lui si trasferiscono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

6 Febbraio

6 febbraio 2013

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Tra il momento in cui ho smesso di scrivere, nel maggio scorso, e ora, 6 febbraio ’91, il previsto conflitto tra l’Irak e la coalizione occidentale è scoppiato. Una guerra “pulita” secondo la propaganda, benché siano già cadute sull’Irak “più bombe che sulla Germania durante tutta la durata della seconda guerra mondiale” (Le Monde di stasera) e testimoni dicano di aver veduto a Bagdad dei bambini, resi sordi dalle deflagrazioni, camminare per le vie come ubriachi. Non si fa altro che aspettare avvenimenti annunciati che non arrivano, l’offensiva terrestre degli “alleati”, un attacco chimico da parte di Saddam Hussein, un attentato alle Galeries Lafayette. E’ la stessa angoscia del tempo della passione, lo stesso desiderio – e impossibilità – di sapere la verità. L’affinità si ferma qui. Non v’è sogno né immaginazione

Annie Ernaux, Passione semplice,  1991, tr. it. I. Landolfi, Rizzoli 1992, p.68

La storia di una passione fra uno straniero sposato e una donna, che scrive queste annotazioni, si rivela una riflessione sul tempo e sulla sua percezione. Poiché la relazione è fatta di attese, di incontri a termine e di lontananze, la donna si interroga continuamente sulla natura del presente, sulla fuga degli istanti. Alcune date emergono nella narrazione, date private e date pubbliche come questo 6 febbraio del 1991. E ogni data è motivo per riandare a date analoghe nel tempo trascorso, con il desiderio di ritornare indietro, di “forzare il presente a ridiventare passato”.
[…] mi domandavo perché non è possibile passare in quel giorno, in quel momento, allo stesso modo in cui si passa da una stanza all’altra”. 

Dicono del libro
“Una donna racconta l’irrompere nella sua vita di una passione violenta e totale. Le attese febbrili, la vertigine del desiderio, il delirio dei sensi, la sofferenza angosciosa del vuoto. Un resoconto essenziale, lucido, teso, che mette impietosamente a nudo le emozioni più profonde e segrete dell’esperienza amorosa”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“… 6 Febbraio 1799. Diriggi le tue lettere a Nizza di Provenza perch’io domani parto verso Francia; e chi sa? forse assai più lontano… ” Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis

 

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… 6 Febbrajo (…) Erano vissuti da scapigliati, erano morti da eroi…”
Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 Febbrajo

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“… Il sei febbraio del 1829, gli armati che, inseguiti da Lavalle, marciavano, provenienti da sud… si fermarono in una fattoria il cui nome ignoravano…”
Jorge Luis Borges, Biografia di Tadeo Isidoro Cruz

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“… 6 febbraio, 1953 …Lui faceva un gioco che si chiamava sett’ e mezz’, puntando solo pochi spiccioli…”
Don DeLillo, Underworld

pittura

Marcel Duchamp, Rendez-vous du Dimanche 6 Février 1916, 1916 Philadelphia Museum of art

 

pittura
“…Oggi, 6 febbraio 1971, dichiaro di non essere Emilio Isgrò…”
(segnalazione di Roberta Malaussène)

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“…Era il giorno 6 febbraio, Lugano era alle spalle…”
Kaso e Maxi B, 6 febbraio (segnalazione di Michele Brescia)

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Tra il momento in cui ho smesso di scrivere, nel maggio scorso, e ora, 6 febbraio ’91, il previsto conflitto tra l’Irak e la coalizione occidentale è scoppiato. Una guerra “pulita” secondo la propaganda, benché siano già cadute sull’Irak “più bombe che sulla Germania durante tutta la durata della seconda guerra mondiale” (Le Monde di stasera) e testimoni dicano di aver veduto a Bagdad dei bambini, resi sordi dalle deflagrazioni, camminare per le vie come ubriachi. Non si fa altro che aspettare avvenimenti annunciati che non arrivano, l’offensiva terrestre degli “alleati”, un attacco chimico da parte di Saddam Hussein, un attentato alle Galeries Lafayette. E’ la stessa angoscia del tempo della passione, lo stesso desiderio – e impossibilità – di sapere la verità. L’affinità si ferma qui. Non v’è sogno né immaginazione

Annie Ernaux, Passione semplice,  1991, tr. it. I. Landolfi, Rizzoli 1992, p.68

La storia di una passione fra uno straniero sposato e una donna, che scrive queste annotazioni, si rivela una riflessione sul tempo e sulla sua percezione. Poiché la relazione è fatta di attese, di incontri a termine e di lontananze, la donna si interroga continuamente sulla natura del presente, sulla fuga degli istanti. Alcune date emergono nella narrazione, date private e date pubbliche come questo 6 febbraio del 1991. E ogni data è motivo per riandare a date analoghe nel tempo trascorso, con il desiderio di ritornare indietro, di “forzare il presente a ridiventare passato”.
[…] mi domandavo perché non è possibile passare in quel giorno, in quel momento, allo stesso modo in cui si passa da una stanza all’altra”. 

Dicono del libro
“Una donna racconta l’irrompere nella sua vita di una passione violenta e totale. Le attese febbrili, la vertigine del desiderio, il delirio dei sensi, la sofferenza angosciosa del vuoto. Un resoconto essenziale, lucido, teso, che mette impietosamente a nudo le emozioni più profonde e segrete dell’esperienza amorosa”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

 

5 Febbraio

5 febbraio 2013

 

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5 febbraio. Il ricatto è cominciato. Questa mattina, all’uscita della scuola, un ragazzino mi ha dato una grande busta beige. Dentro c’è un montaggio fotografico apparentemente ben fatto: sul corpo di una ragazza nuda lui ha messo la mia testa. La ragazza è carponi, a quattro zampe. Un’altra foto – e quella non è un montaggio – ci mostra, lui e me, vicino a una fontana. La sua mano è appoggiata leggermente sulla mia spalla. Era il giorno in cui l’ho incontrato per la prima volta. Gli avevo portato le mie poesie perché le leggesse ed eventualmente le pubblicasse sulla sua rivista. Non sapevo che fosse un modo che lui utilizzava per prendere in trappola le ragazze

 Tahar Ben Jelloun,  A occhi bassi, 1991, tr. it. E. Volterrani, Einaudi 1993, pp.173-174

La data del 5 febbraio fa parte del Libro di Zina, il diario di una giovane marocchina, scritto con “calligrafia piccola e meticolosa”, che la narratrice della storia legge a casa di uno scrittore francese. Anche lei – la voce narrante – viene dal Marocco, ha lasciato dietro di sé una vita senza orologi né scrittura e a Parigi, con sforzo, ha imparato a misurare il tempo e a coniugare i verbi al passato e al futuro. Nel racconto della sua trasformazione, le date esplicite sono raramente fauste. Anche nel Libro di Zina, un racconto nel racconto, le date hanno una funzione di testimonianza, convenzioni oggettive della linea del tempo.

Dicono del libro
“Centro focale del romanzo è la voce in prima persona della protagonista, che racconta la sua vita dall’infanzia alla maturità. La sua è un’evoluzione intensa e determinata da una forte volontà, che trasforma una pastorella berbera dell’Alto Atlante in una donna moderna e aggressiva, inserita, anche se a disagio, nella società e nella cultura metropolitana occidentale; una donna che di sicuro non sa e non vuole tenere ‘gli occhi bassi'”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“…Il Pharaon è partito da Calcutta il 5 febbraio, e dovrebbe essere qui già da un mese…”
Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo

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“…5 febbraio. Fra le sue amiche brutte, l’Adalgisa ne ha una, una soltanto carina…”
Achille Campanile, Il diario di Gino Cornabò

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“… Nato? (…) Pisa, cinque febbraio millennovecentosessantanove – Grazie. Professione? – Barrista…”
Marco Malvaldi, La briscola in cinque

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5 febbraio, Sant’ Agata, patrona di Catania, celebrata  con dolci a forma di mammelle (minne). Su questa festa il libro di
Giuseppina Torregrossa, Il conto delle minne (segnalazione di Silvia Veroli)

 

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“…February 5th, Friday morning, purple dawn, broke a yawn…”
Mat Kearney, Undeniable (segnalazione di Michele Brescia)

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“…Il giorno dopo, 5 febbraio, alle nove della mattina, ora (invernale) di Manhattan, dirigendosi verso lo studio dell’avvocato di Dan…”
Vladimir Nabokok, Ada o ardore

 

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5 febbraio. Il ricatto è cominciato. Questa mattina, all’uscita della scuola, un ragazzino mi ha dato una grande busta beige. Dentro c’è un montaggio fotografico apparentemente ben fatto: sul corpo di una ragazza nuda lui ha messo la mia testa. La ragazza è carponi, a quattro zampe. Un’altra foto – e quella non è un montaggio – ci mostra, lui e me, vicino a una fontana. La sua mano è appoggiata leggermente sulla mia spalla. Era il giorno in cui l’ho incontrato per la prima volta. Gli avevo portato le mie poesie perché le leggesse ed eventualmente le pubblicasse sulla sua rivista. Non sapevo che fosse un modo che lui utilizzava per prendere in trappola le ragazze

 Tahar Ben Jelloun,  A occhi bassi, 1991, tr. it. E. Volterrani, Einaudi 1993, pp.173-174

La data del 5 febbraio fa parte del Libro di Zina, il diario di una giovane marocchina, scritto con “calligrafia piccola e meticolosa”, che la narratrice della storia legge a casa di uno scrittore francese. Anche lei – la voce narrante – viene dal Marocco, ha lasciato dietro di sé una vita senza orologi né scrittura e a Parigi, con sforzo, ha imparato a misurare il tempo e a coniugare i verbi al passato e al futuro. Nel racconto della sua trasformazione, le date esplicite sono raramente fauste. Anche nel Libro di Zina, un racconto nel racconto, le date hanno una funzione di testimonianza, convenzioni oggettive della linea del tempo.

Dicono del libro
“Centro focale del romanzo è la voce in prima persona della protagonista, che racconta la sua vita dall’infanzia alla maturità. La sua è un’evoluzione intensa e determinata da una forte volontà, che trasforma una pastorella berbera dell’Alto Atlante in una donna moderna e aggressiva, inserita, anche se a disagio, nella società e nella cultura metropolitana occidentale; una donna che di sicuro non sa e non vuole tenere ‘gli occhi bassi'”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

4 Febbraio

4 febbraio 2013

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4 febbraio. 
Grande novità!
Stanotte, dopo lungo e paziente lavoro, dovendo fare in modo di non far rumore per non svegliare i compagni del dormitorio, son riuscito finalmente a fare un buco nella parete in fondo all’armadietto che è nel vano del muro a capo del mio lettino.
Subito è apparso un chiarore, una luce opaca che veniva dall’altra parte, ma riparata da qualche cosa che era frapposta al di là della parete. Spingendo lo scalpello fuori del buco sentii che l’ostacolo era cedevole e dopo averne studiata per un pezzo la natura, mi convinsi che doveva essere un quadro attaccato nella parete che avevo forata. 
Ma se la tela mi vietava la vista non mi impediva l’udito; e io sentivo, sebbene non riuscendo ad afferrar le parole, la voce del signor Stanislao e della signora Geltrude che parlavano tra di loro

Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, 1912 , Giunti, 1994, p. 153

 

Il diario di Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, ha avuto inizio il 20 settembre 1905, quando la mamma gli ha regalato il giornalino di tela verde per i suoi nove anni e lui teme di non avere niente da scrivere sulle pagine bianche. Ma di settimana in settimana, sotto le date, Gian Burrasca ha registrato le sue avventure e disavventure. È il febbraio dell’anno nuovo: Gian Burrasca è stato mandato nel collegio Pierpaoli da pochi giorni e sta già tramando la sua ribellione. Il 4 febbraio è una data fitta di avvenimenti, di scoperte e di decisioni, prese nella riunione della Società segreta degli allievi del collegio. 

Dicono del libro
“Ogni giorno Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse. E, certo, combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l’anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei ‘grandi’. Non per nulla Vamba dedicò il Giornalino ‘ai ragazzi d’Italia perché lo facciano leggere ai loro genitori'”
(dalla scheda del libro su Ibs)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… il 4 febbraio del 1754, mi trovai finalmente davanti alla mia divina, in abiti monacali…”
Giacomo Casanova, Storia della mia vita

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… Il sabato 4 febbraio 1967 alle ore 9 davanti al n. 4 bis di via del Pane di Borgo c’ero soltanto io…”
Paolo Volponi, Altre notizie di Olimpia

 

 

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4 febbraio. 
Grande novità!
Stanotte, dopo lungo e paziente lavoro, dovendo fare in modo di non far rumore per non svegliare i compagni del dormitorio, son riuscito finalmente a fare un buco nella parete in fondo all’armadietto che è nel vano del muro a capo del mio lettino.
Subito è apparso un chiarore, una luce opaca che veniva dall’altra parte, ma riparata da qualche cosa che era frapposta al di là della parete. Spingendo lo scalpello fuori del buco sentii che l’ostacolo era cedevole e dopo averne studiata per un pezzo la natura, mi convinsi che doveva essere un quadro attaccato nella parete che avevo forata. 
Ma se la tela mi vietava la vista non mi impediva l’udito; e io sentivo, sebbene non riuscendo ad afferrar le parole, la voce del signor Stanislao e della signora Geltrude che parlavano tra di loro

Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, in volume 1912 , ed. cons. Giunti, 1994, p. 153

Il diario di Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, ha avuto inizio il 20 settembre 1905, quando la mamma gli ha regalato il giornalino di tela verde per il suo compleanno ed egli teme di non avere niente da scrivere sulle pagine bianche. Ma di settimana in settimana, sotto le date, Gian Burrasca ha registrato le sue avventure e disavventure. È il febbraio dell’anno nuovo: Gian Burrasca è stato mandato nel collegio Pierpaoli da pochi giorni e sta già tramando la sua ribellione. Il 4 febbraio è una data fitta di avvenimenti, di scoperte e di decisioni, prese nella riunione della Società segreta degli allievi del collegio. 

Dicono del libro
“Ogni giorno Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse. E, certo, combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l’anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei ‘grandi’. Non per nulla Vamba dedicò il Giornalino ‘ai ragazzi d’Italia perché lo facciano leggere ai loro genitori'”

(dalla scheda del libro su Ibs)