14 Giugno

14 giugno 2013

« »

Lui spinse indietro la poltroncina per aprire il cassetto della scrivania. Ne trasse un foglio piegato e me lo porse. Lo spiegai e vidi che era un telegramma spedito da El Paso il 14 giugno alle 9 e 19 antimeridiane. Era indirizzato a Derace Kingsley, 965 Carson Drive, Beverly Hills e diceva:

Varco frontiera per ottenere divorzio messicano stop sposerò Chris stop buona fortuna e addio – Crystal

Raymond Chandler, In fondo al lago, 1943, tr. it. I. Omboni, in Tutto Marlowe investigatore, Mondadori 1982, p.651

Due donne molto somiglianti fra loro sono scomparse, in questo caso affidato all’investigatore Philip Marlowe. Muriel, la moglie di Bill Chess, il custode della tenuta di Punta Puma, è sparita il 12 giugno, poco prima di Crystal, la moglie di Kingsley, padrone della tenuta. Quando Marlowe comincia ad occuparsi del caso è passato un mese dalle ultime tracce, un biglietto d’addio di Muriel e un telegramma spedito – così sembra – da Crystal, il 14 giugno, dal confine con il Messico. Le due sparizioni sono molto più collegate di quello che sembri e molto diverse da ciò che appare. Lo svelamento – tragico e sorprendente – di questo legame porterà Marlowe a capire cosa è accaduto il mese prima e chi ha veramente spedito il telegramma quel 14 giugno. 

Dicono del libro
“1943. Va a Hollywood a lavorare con Billy Wilder alla sceneggiatura di Double Indemnity (il film che Billy Wilder trarrà dall’omonimo romanzo di James M. Cain). Firma un lungo contratto con la Paramount.

Quarto romanzo con Philip Marlowe protagonista, The Lady in the Lake, edito al solito da Knopf.”
(Dall’introduzione di Oreste del Buono all’ed. Mondadori, op. cit.)

13 Giugno

13 giugno 2013

« »

A Leningrado Vatanen fu alloggiato all’hotel Astoria, il tempo necessario per chiudere definitivamente il caso da parte sovietica. La giustizia sovietica rinunciò a ogni diritto su di lui e finalmente, il 13 giugno, Vatanen fu condotto alla stazione, al treno in partenza per la Finlandia. Il maggiore che l’accompagnava lo abbracciò calorosamente e lo baciò sulle due guance:
– Compagno, quando sarai libero, vot, vieni di nuovo all’Astoria, berremo un bicchierino insieme

Arto Paasilinna, L’anno della lepre, 1975, tr. it. E. Boella, Iperborea, Milano, 1994, p. 195

L’avventura dell’anno della lepre comincia in prossimità del solstizio d’estate, ai bordi di una foresta finlandese e si conclude dopo un anno, nella zona di confine fra Finlandia e Unione Sovietica e poi nella città che ancora – al tempo della storia – si chiamava Leningrado. Il protagonista, il giornalista Vatanen, dopo aver investito una lepre con la macchina, decide di lasciare lavoro, famiglia e vita cittadina per vivere alla giornata, lavorando come taglialegna, vaccaro, aiuto pompiere, sempre accompagnato dalla lepre. Ogni spostamento rivela a Vatanen qualcosa della natura, delle bestie, delle persone, della società: diffidenza e generosità, ottusità e una vena di follia, si alternano durante i mesi di questo vagabondaggio, finché Vatanen si trova a lottare con un grande orso, a inseguirlo oltre i confini della Finlandia, in territorio sovietico, da cui è rilasciato il 13 giugno, alle soglie del nuovo solstizio d’estate (e di una nuova fase della sua vita). 

Dicono del libro
“Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano.”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Iperborea, op. cit.; vedi anche: Cultfinlandia.it )

12 Giugno

12 giugno 2013

« »

Le dieci o dodici pagine successive erano riempite da una curiosa serie di annotazioni. C’era una data a un capo d’ogni riga, e all’altro capo una somma di danaro, come in un normale libro di conti; ma invece della causale c’era nel mezzo soltanto un numero variabile di croci. Al 12 giugno del 1745, per esempio, era annotata una somma di settanta sterline che evidentemente era dovuta a qualcuno, e non c’era nulla, a parte sei croci, che ne spiegasse il motivo. In qualche caso, però, era stato aggiunto il nome di una località, come “Al largo di Caraccas”, oppure una semplice indicazione di latitudine e longitudine: “62° 17′ 20″, 19° 2′ 40″”.

Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, 1883, tr. it. L. Maione, Feltrinelli 2001 (2010), p. 78

Dal pacchetto di tela cerata che il vecchio lupo di mare Billy Bones ha lasciato, morendo, nella locanda di Jim Hawkins, sono usciti un quaderno e una carta sigillata. Quest’ultima è la mappa di un’isola con tre croci in inchiostro rosso, la data di agosto 1750  e la scritta “Qui il grosso del tesoro”. Il quaderno è il libro dei conti del marinaio, che faceva parte dell’equipaggio del capitano Flint, il pirata. In un mondo in cui le date suggellano contratti, deposizioni, atti notarili, anche un pirata ha bisogno di mettere nero su bianco, con incerta scrittura, la parte del bottino che gli spetta, collegandola con esattezza al giorno del saccheggio. Come questo 12 giugno del 1745 in cui una nave sarà stata assalita e i poveretti che erano a bordo “si saranno tramutati da un pezzo in corallo”. 

Dicono del libro
“Tra l’ottobre del 1881 e il gennaio del 1882 il romanzo esce a puntate sulla rivista giovanile ‘Young Folks’ con il titolo L’isola del tesoro; o l’ammutinamento dell’Hispaniola (Treasure Island; or the Mutiny of Hispaniola). L’autore opta per uno pseudonimo: Captain George North. Il titolo originale, Il cuoco di bordo (The Sea Cook), viene accantonato su insistenza del direttore della rivista, James Henderson. Il romanzo non riscuote grande successo fino alla pubblicazione in volume nel 1883, con la Cassell & Company di Londra.”
(dall’Introduzione di L. Maioni all’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Cosa segnano certi orologi

What day of the month is it_1907Nel settimo capitolo del libro di Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie, Alice si accorge del buffo orologio del Cappellaio: “Segna il giorno del mese e non segna le ore!”, in inglese “It tells the day of the month, and doesn’t tell what o’clock it is!”.
Allo stupore della bambina, il Cappellaio replica con un paradosso: Perché un orologio dovrebbe segnare le ore?  Forse che l’orologio di Alice segna (dice) che anno è?  L’anno – risponde a sua volta Alice – dura un sacco di tempo di seguito. Ma non è lo stesso tempo misurato dall’orologio del Cappellaio, ammesso che la parola misurare abbia un senso.
La porta principale da cui si entra nel Paese delle Meraviglie è proprio quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’edizione Einaudi 2003, e nell’edizione di Alice annotata dal matematico Martin Gardner (tradotta in italiano da Longanesi nel 1971), i nonsense, le inversioni, gli orologi “strampalati”, le allusioni alle misure del tempo sono messe opportunamente in luce.
Un secolo dopo i paradossi di Lewis Carroll, l’artista Alighiero Boetti – che al tempo e all’impossibilità di misurare ciò che sembra scorrere ha dedicato opere straordinarie – ebbe l’idea di una serie di orologi annuali. Il quadrante riporta – al posto delle cifre delle ore 12, 3, 6, 9 – quelle dell’anno in corso. Il primo di questi orologi fu realizzato da una ditta milanese per il 1977 (Catalogo generale, II, n. 844): i quattro numeri 1, 9, 7, 7 sono posizionati in senso orario, così che la lettura convenzionale dell’orologio da polso è sospesa e sorpresa da questo scambio di misure.
Qualche anno prima, Boetti aveva cominciato a interessarsi allo scambio fra anno e giorni.
“Alla vigilia del 1974, poi sistematicamente all’avvicinarsi di ogni capodanno dal 1978 al 1994”, come racconta Annemarie Sauzeau in Shaman showman,  Boetti realizza dei calendari che riportano la cifra dell’anno che sta per arrivare, ottenuta usando i foglietti dei giorni di un calendario a blocchetto, quelli con il numero scritto in rosso su fondo bianco. Dei 365/366 giorni disponibili, ne sono scelti alcuni, con numeri (unità o decine) utili a comporre, a collage, la cifra dell’anno.
Sostituire, condensare, ricombinare: misure temporali di ordine diverso si scambiano di posto, innestandosi una nell’altra,  in un Wonderland dove il tempo che – come dice ancora Lewis Carroll – non sopporta di essere battuto, può essere almeno giocato. “A patto di non mettersi contro di lui -cosa che avviene piuttosto spesso – il tempo può far fare agli orologi tutto ciò che gli si chiede” (Catalogo Boetti. Quasi tutto, 2004, alla voce: Tempo)  (a.s.)

11 Giugno

11 giugno 2013

« »

“11 giugno. Oggi è il mio compleanno. Esattamente settanta anni fa precipitai dal ventre del grande Buio nella Luce e nella Vita. Mio Dio! Mio Dio! è più breve della rabbia di un’ora, più veloce di un sonno pomeridiano. Ul-Jabal mi ha fatto auguri calorosi, ne sembrava impaziente da tempo, e mi ha ricordato che settanta è uno dei numeri fatali, perché i suoi fattori sono sette, cinque e due: l’ultimo denota la dualità di nascita e morte, il cinque l’isolamento, il sette l’infinito. Lo ho informato che era anche il compleanno di mio padre, e di suo padre

Matthew Phipps Shiel, Il principe Zaleski (La pietra dei monaci di Edmundsbury) , 1895, tr. it. A. Carapezza, Sellerio 1986, p. 57

Una pietra preziosa che, se rubata o manomessa, porterebbe alla rovina la famiglia inglese che la possiede da secoli. Il seguace di un’antica setta orientale in cerca della stessa pietra, un tempo appartenuta al fondatore della setta. Il diario di Sir Jocelin Saul, ultimo discendente della famiglia, minacciato di morte. Intorno a tali elementi si svolge la storia di questo caso, risolto dal principe Zaleski, un detective di vasta cultura esoterica. E un velo di magia è posato su tutta la storia, anche sulla data che apre il diario, la data di nascita di Jocelin Saul, che si ripete fatalmente di padre e in figlio: l’undici di giugno.

 

10 Giugno

10 giugno 2013

« »

Il 10 giugno del 1940 era una giornata nuvolosa. Erano tempi che non avevamo voglia di niente. Andammo alla spiaggia lo stesso, io e un mio amico che si chiamava Jerry Ostero. Si sapeva che al pomeriggio avrebbe parlato Mussolini, ma non era chiaro se si sarebbe entrati in guerra o no. Ai bagni quasi tutti gli ombrelloni erano chiusi; passeggiammo sulla riva scambiandoci supposizioni e opinioni, con frasi lasciate a mezzo, e lunghe pause di silenzio

Italo Calvino, L’entrata in guerra, 1954, in Romanzi e racconti, I Meridiani Mondadori, vol. I, 1991 (ed. cons. 2003), p. 485

La mattina del 10 giugno del 1940, il ragazzo, protagonista di questo racconto, è al mare con un amico. Il tempo è nuvoloso, ma una schiarita permette di fare un giro in moscone, di tirare su col remo una medusa, di corteggiare una ragazza. Tutto cambia in poche ore: “Quando ci ritrovammo verso le sei, eravamo entrati in guerra. Era sempre nuvolo; il mare era grigio”. L’annuncio di Mussolini che l’Italia parteciperà al conflitto al fianco della Germania, spezza in due quella giornata, anniversario anche del delitto Matteotti, avvenuto sedici anni prima. E porta i primi allarmi aerei, le prime manovre militari, le corriere con i profughi, alloggiati nella scuola. Il ragazzo si darà da fare per dare una mano agli sfollati, passando così, in poche ore che sembrano giorni e giorni, dalla gita in pattino al “continente grigio” della guerra. 

Dicono del libro
“Qui la guerra è una cosa di cui ancora poco si sa: sono i primi tempi dell’intervento italiano in quello che si dirà il secondo conflitto mondiale; e il protagonista è un ragazzo sotto vari riguardi privilegiato, sottratto al dramma dei problemi urgenti e che – forse proprio per questo – poco sa ancora di se stesso. Ma i fatti narrati già contengono prefigurata e implicita in sé molta parte del futuro; e già in essi opera, col suo ritmo discontinuo, l’eterna interferenza tra le spinte della storia collettiva e il maturarsi delle singole coscienze.”

(I. Calvino, in Romanzi e Racconti, I Meridiani Mondadori, vol.  I, op. cit., p. 1317).

9 Giugno

9 giugno 2013

« »

Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese dell’anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l’usanza nostra ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme

Dante Alighieri, Vita nuova, XXIX (XXX), 1292-1293 (ed. Garzanti 1993, pp. 55-56)

La Beatrice di Dante è identificata, storicamente, con la figlia di Folco Portinari, morta nel giugno del 1290. Nella Vita nuova, Beatrice – incontrata per la prima volta quando il poeta ha nove anni e di nuovo a distanza di nove anni – è evocata come immagine dell’amore, cortese e cristiano, e come tramite di una riflessione sulla vocazione poetica e profetica dell’autore. Al numero nove, simbolo di perfezione in quanto prodotto del tre (la Trinità) per sé stesso, “si legano sia la figura di Beatrice che le vicende raccontate nella Vita Nuova”. Nel paragrafo XXIX, la data della morte della donna è restituita – comparando diversi calendari – attraverso questa cifra: secondo l’usanza d’Arabia, Beatrice è spirata nella prima ora del nono giorno di quello che – secondo l’usanza di Siria – è il nono mese dell’anno. Poiché i mesi “secondo l’uso siriano” si contano da ottobre, il nono mese è giugno; quanto al giorno, è passato il tramonto dell’8 e, “secondo l’usanza d’Arabia”, è la prima ora del giorno nono. “Questa donna fu accompagnata da questo numero del nove, a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo”, una “perfetta armonia numerica”.

Dicono del libro
“la prima opera certa deve considerarsi la Vita nuova (1292-93), composta di rime (25 sonetti, 4 canzoni, 1 ballata, 1 stanza di canzone) e di capitoli in prosa poetica, cui è affidata la duplice funzione di svolgere l’itinerario autobiografico da cui nascono i versi e di commentarli retoricamente. L’esile vicenda s’incentra intorno a un’esperienza d’amore idealizzata, quella del poeta per Beatrice, che Dante narra d’aver incontrato la prima volta a nove anni e d’aver rivisto soltanto nove anni dopo, quando salutandolo l’aveva lasciato smagato e confuso. Da questi incontri si snoda l’intimo memoriale, dapprima profano e ‘cortese’, poi sempre più agiografico, finché la morte di Beatrice non trasforma l’amata e quell’amore in mito cristiano, in Amore assoluto e mezzo di elevazione a Cristo”.
(dall’introduzione di E. Sanguineti all’ed. Garzanti, op. cit.)

8 Giugno

8 giugno 2013

« »

Mai una volta mi è saltato in mente di scoprire da dove veniva l’acqua di casa nostra. Si vede che c’è un pozzo. Te l’immagini! E abbiamo abitato qui fin da quando avevo dieci anni! L’8 giugno 1949. Io sono dei Gemelli. Il mughetto è il fiore del giorno della mia nascita. Lo sapevi che i mughetti sono molto velenosi? Facemmo il trasloco qui il giorno del mio compleanno. Niente festa. L’autotreno rimase incagliato fra i pali del cancello d’entrata proprio il giorno del trasloco

Saul Bellow, Il pianeta di Mr. Sammler, 1970, tr. it. L. Ciotti Miller, Feltrinelli 1981, p.216

Mentre l’amato nipote Elya sta morendo in un ospedale di New York, lo zio Arthur Sammler, un intellettuale polacco settantenne che è arrivato negli Stati Uniti dopo essere scampato alla guerra e all’olocausto, è a New Rochelle, nella casa del nipote. Shula, la figlia di Sammler, durante una conferenza, ha sottratto il manoscritto di un libro sul Futuro della Luna al professore indiano Govinda Lal, per darlo al padre, che da anni sta scrivendo un saggio sullo scrittore di fantascienza Herbert G. Wells. La restituzione di questo manoscritto riunisce in casa  diversi componenti della famiglia e scatena un vivace confronto di opinioni, credenze, aspettative e ricordi. Nel pieno della discussione, ecco che l’appartamento si allaga perché uno dei figli di Elya ha rotto un tubo dell’acqua cercando nelle tubature il denaro che forse il padre vi ha nascosto. L’incidente riporta alla memoria la vita della casa e nella casa, associazioni di pensieri e giornate di vent’anni prima, come l’8 giugno del 1949. Lo scrittore Saul Bellow (1915-2005) festeggiava il suo compleanno il 10 giugno. 

Dicono del libro
“Iniziato verso la fine degli anni Sessanta, Mr Sammler’s Planet raggiunge la sua forma definitiva nel 1969 nell’arco di alcuni mesi di lavoro frenetico e di spostamenti altrettanto frenetici da parte dell’autore: esce il 1° febbraio del 1970 per la Viking. (…) La vicenda del romanzo si svolge sullo sfondo di una società indulgente ed eccessiva, la cui rivoluzione sessuale in corso è vista come emblematica del declino della civiltà. Il protagonista, Sammler, un intellettuale settantaduenne che ama la letteratura inglese e in particolare H. G. Wells, è definito dallo stesso Bellow nel romanzo un individuo ‘al passato’.”
(dalle notizie ai testi in Romanzi, ed. I Meridiani Mondadori, 2008, II, p. 1912)

7 Giugno

7 giugno 2013

 

« »

il giorno sette di giugno, all’alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l’accaduto. Ancora, seppur parzialmente, sono Borges

Jorge Luis Borges, Lo Zahir (1947) in L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, I Meridiani Mondadori, 1985, I, p. 847

Dopo aver passato la notte vegliando l’amica Teodelina Villar, all’alba del 7 giugno, come resto di un’aranciata ordinata in una mescita di Buenos Aires, il narratore di questa storia – che si chiama Borges come l’autore- riceve una moneta da 20 centesimi. Da quel momento, il piccolo oggetto diventa un’ossessione, un pensiero a cui non si riesce a sfuggire, un’immagine forte come un incantesimo, a cui gli Arabi danno il nome di Zahir. Chi incontra lo Zahir – sotto qualunque forma – non può pensare ad altro, fino a dimenticare il mondo reale, guadagnando, però, forse, la visione di tutti i “futuri possibili”. Il 7 giugno torna in un altro racconto di Borges, dal titolo Tom Castro, l’impostore inverosimile.

 

6 Giugno

6 giugno 2013

« »

Abbiamo strappato via un bel po’ di carta da parati in cucina vicino al frigorifero e abbiamo scoperto che sotto vari strati di carta (margherite; aggeggi adesivi Peel’n Stick per deodorare il frigo) c’erano, in condizioni perfette come il giorno in cui erano state scritte, le parole:

Un giorno radioso
6 giugno 1974
Sono lontano ma la mia idea di pace rimane con voi
d. b.

Roba da hippy, ma mi è mancato il fiato quando l’ho letta. E per un attimo ho avuto la sensazione che un’idea sia più importante del semplice fatto di essere vivi, perché un’idea vive molto tempo dopo che te ne sei andato; poi la sensazione è svanita

Douglas Coupland, Microservi, 1995, tr. it. N. Vallorani e E. Guarneri, Feltrinelli, 1998, p. 68

La vita nella sede della Microsoft a Redmond, nei primi anni Novanta, è raccontata da Daniel Underwood, ventiseienne “individuatore di bug”, uno dei tanti giovani “Micro-servi”, impiegati  nella grande industria informatica di Bill Gates. I ritmi di lavoro pressanti e la costante concentrazione sul linguaggio di programmazione stravolgono anche il senso del tempo, che “non è necessariamente lineare”, ma sembra scorrere “in strani mucchi, fasci e mazzetti”, mentre la vita procede giorno per giorno, “una riga di codice senza bug alla volta”. Ogni tanto c’è il bisogno di guardare indietro ed è quello che Daniel fa un giovedì, fra libri e riviste degli anni Settanta. Proprio una data di quegli anni – 6 giugno 1974 – è emersa su una parete della cucina, in un messaggio di pace e serenità lasciato da un precedente abitante della casa e su cui si sono posati strati di carta da parati e di tempo. Di lì a poco, Daniel lascerà Redmond per la Silicon Valley. 

Dicono del libro
“Dopo aver trascorso qualche tempo nella più famosa industria informatica del mondo, la Microsoft, un gruppo di giovani dipendenti – i ‘microservi’ – decide di abbandonare la sicurezza del posto fisso e il loro amato-odiato padre-padrone, per fondare una propria società di software. Nel cuore della bizzarra e digitale Silicon Valley, in California, questi ventenni si trovano alle prese con la modernità e la vita, tra frammenti di esistenza quotidiana che evidenziano aspirazioni e sentimenti di una generazione in cerca d’identità in un mondo sempre più privo di riferimenti etici e morali.”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

5 Giugno

5 giugno 2013

« »

Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciter, alle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

Dicono del libro
“Come fa Glen Runciter, titolare di un’agenzia di anti-telepati a comunicare con sua moglie Ella per avere i suoi consigli dall’aldilà, da un mondo informe e allucinante di semi-vita o non-morte? E perché mai dopo ogni collegamento con Runciter la semi-vita di Ella si va affievolendo sempre più? Che cosa afferra improvvisamente Joe Chip dal suo mondo del 1992 e lo scaglia violentemente nell’America degli anni Trenta? E come è possibile che Joe riceva dei misteriosi e cupi messaggi dal suo capo (Come se fossero ironiche manifestazioni di un Dio biblico), quando questi è stato ormai ucciso da una bomba esplosa sulla Luna? In un’opera unica e irripetibile, che viene considerata unanimamente come il massimo capolavoro del suo autore Philip K. Dick, scrittore tra i più grandi e visionari che la fantascienza abbia mai avuto, ripropone le tematiche che lo resero così famoso: la vita oltre la morte, i poteri psi, e soprattutto la mancanza di un tessuto connettivo vero al di sotto della realtà apparente delle cose, la mancanza di un principio divino che si oppone all’entropia dell’universo”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Fanucci, op. cit.)

4 Giugno

4 giugno 2013

« »

 Alla maggior parte dei passeggeri di prima classe della Tobakoff, il pomeriggio del 4 giugno 1901, nell’Atlantico, sul meridiano dell’Islanda e alla latitudine di Ardis, non sembrava propizio agli svaghi all’aria aperta: il cielo di un vivido blu cobalto era solcato da continue folate d’aria gelida e l’acqua della vecchia piscina inondava ritmicamente le piastrelle verdi del bordo; ma Lucette era una ragazza intrepida, abituata ai venti corroboranti non meno che alla detestabile luce del sole

Vladimir Nabokov, Ada o ardore, 1969, tr. it. M. Crepax, Adelphi,  p. 492

La cronaca familiare raccontata da Nabokov nel romanzo Ada o ardore è intricata come un bosco. Le relazioni fra coniugi, cugini, genitori, figli e figlie, fratelli e sorelle, sono presentate all’inizio del libro in un albero genealogico che, però, non dice tutta la verità sui legami di sangue. Nel corso della vicenda, ci si accorge che i due protagonisti principali – Van e Ada, legati da un’attrazione prodigiosa – sono più che cugini. Anche lo spazio e il tempo non coincidono con le nozioni comuni: la Terra è una terra aumentata, dove luoghi esistenti si sovrappongono ad altri fantastici e il Tempo è addirittura l’oggetto di un racconto nel racconto. Le date sono scelte con cura da Nabokov, che nasconde il suo compleanno (23 aprile) e quello della moglie Vera (5 gennaio) nella trama.
Il 4 giugno – si è verso la fine della vicenda – Van è imbarcato su una nave, dove si trova anche la sorella minore di Ada, Lucette, che va incontro al suo destino.

Dicono del libro
Quest’opera di Nabokov è stata rappresentata dalla bottega teatrale Fanny & Alexander, di Chiara Lagani e Luigi De Angelis, in una serie di spettacoli che seguono diverse tracce nella mole complessa del romanzo. Sul 4 giugno, l’ultimo giorno di Lucette, Chiara Lagani ha scritto questo commento per Diconodioggi:
“Pour Elle (Poor L.)
4 giugno
Oggi è un giorno fatale, di prefigurazioni. Il giorno prima di oggi Van si è imbarcato sulla Tobakoff. Quando si imbarca Van non sa ancora che Lucette, innamorata infelice, è nella lista passeggeri. Oggi pomeriggio Van prenderà il sole sul ponte della nave, con lei. Mentre prende il sole Van non sa ancora che questa sarà l’ultima luce-Lucette. Il cielo è vivido, cobalto. Quel cielo, solcato di gelo, non sa ancora d’esser specchio di un mare solcato di lucette intermittenti. L’acqua della piscina inonda il bordo verde. Non sa l’acqua gelida d’alludere a un abisso. Oggi Lucette si tufferà, nella piscina. Non sa che quel tuffo è il preludio a un altro tuffo, definitivo, in cui resterà impigliata, piccola luce nel nero. Oceanus Nox.”  (c.l.)

 

“Quel fatale 3 luglio” nel Castello di Kafka

 

KafkaFranz Kafka era nato a Praga il 3 luglio del 1883 e sarebbe morto il 3 giugno del 1924.
Raramente, nei suoi scritti, fa riferimento a giorni del calendario, di più alle ore, alle stagioni o ai mesi (“marzo stava ormai per finire” quando Gregor Samsa esala l’estremo respiro). Ma la data del suo compleanno, il 3 luglio, risalta solitaria nel Castello, il romanzo incompiuto pubblicato postumo nel 1926. “Quel fatale 3 luglio” (Calasso, K.) è anche protagonista di un curioso episodio in una delle traduzioni italiane del romanzo.
La vicenda del Castello si svolge in giornate invernali, durante le quali il protagonista K., giunto al villaggio fra nebbie e nevi, cerca conferma della sua nomina ad agrimensore. Il 3 luglio compare nel resoconto – che viene fatto a K. – di un episodio accaduto tre anni prima, durante la Festa dei Pompieri. In quell’occasione una delle ragazze del villaggio, Amalia, è caduta in disgrazia insieme a tutta la sua famiglia. Con indosso una blusa di pizzi e una collana di granati di Boemia, Amalia aveva attratto l’attenzione di un funzionario del Castello, l’appartato Sortini, da non confondere con il collega Sordini. Dopo la festa, questo Sortini aveva fatto recapitare ad Amalia un invito oltraggioso a raggiungerlo all’Albergo dei Signori. Il rifiuto di Amalia, che straccia la lettera, precipita pian piano la famiglia in un disperato isolamento. Tutto questo è accaduto tre anni prima – racconta a K. la sorella di Amalia, Olga – il tre di luglio: “Es war am dritten Juli”. Il 3 luglio, la data di nascita di Kafka, è incastonata in una storia all’interno della storia, nella storia di un nucleo familiare, di un incontro impari e fatale, delle sue inarrestabili conseguenze nel tempo, per tutti.
Nell’edizione italiana del Castello apparsa nei Romanzi per i Meridiani Mondadori (1969, ed. cons. 1998, p. 767) così come nel volume edito nella collana Oscar (1979, ed. cons. 1994, p. 204), questa data incorre in una modifica: non il 3 luglio – vi si legge – ma il 3 giugno. Un cambio di consonante trasforma Juli in Juni (un cambio di consonante l’aveva proposto lo stesso Kafka poche righe prima, presentando i due funzionari distinti solo dalla diversa dentale del cognome, Sordini/Sortini).
Ma passando da luglio a giugno, quella versione italiana passa anche dalla data di nascita di Kafka a quella che – nel 1924, dopo due anni dalla stesura del Castello sarebbe stata la data della sua morte, il 3 giugno, in un cortocircuito lapidario fra una stessa cifra e due mesi contigui.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)
Il tema è ripreso nell’articolo Lapsus kafkiano (“L’Espresso” n. 26, 4 luglio 2013, p. 143) di Stefano Bartezzaghi, a cui si deve l’anagramma: Giorno 3 di luglio = lo dirò il 3 giugno.


3 Giugno

3 giugno 2013

« »

Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi al buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo estremamente categorico, la seguente: “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. Giunti, 1994, p. 15

Nei suoi tentativi di smettere di fumare – che lo hanno portato anche in una casa di cura – Zeno Cosini annette una grande importanza alla data dell’ultima sigaretta. “Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. Le date delle tante ultime sigarette sono segnate sulle pareti, sui libri, sulla ghiaia: sono collegate ad avvenimenti storici, anniversari pubblici e privati o sono scelte in base a concordanze e relazioni fra le cifre, come questa del 3. 6. 12 ore 24, in cui la sequenza aritmetica è ironicamente (e inutilmente) salutata come un buon segno per la riuscita del proposito. 

Dicono del libro
“Il libro è composto di lunghi episodi. Zeno è un malato immaginario, un abulico pieno di buon senso, un uomo che si lascia vivere ma in realtà imbocca sempre la via più giusta. Fumatore accanito accetta di entrare in una casa di cura per disintossicarsi, ma poi riesce a evadere e riprende a fumare. Ricco e quasi disoccupato decide di sposarsi. Frequenta la famiglia Malfenti dove sono disponibili tre ragazze da marito. È respinto dalla più giovane, ferma il suo interesse sulla più bella, Ada”

(dalla prefazione di Eugenio Montale all’ed. Dall’Oglio 1976)

2 Giugno

2 giugno 2013

« »

Adesso Quinn  non era in nessun luogo.  Non aveva niente, non sapeva niente. Non soltanto era stato rimandato alla partenza; ora si trovava prima della partenza, in un punto così antecedente alla partenza da essere peggio di qualunque arrivo immaginabile.
Il suo orologio faceva quasi le sei. Tornò a casa per la stessa strada dell’andata, allungando il passo di isolato in isolato. Prima di raggiungere la sua via, aveva incominciato a correre. È il due di giugno, disse fra sé. Cerca di ricordarlo. Questa è New York, e domani sarà il tre di giugno. Se tutto va bene, l’indomani sarà il quattro giugno. Ma niente è sicuro

Paul Auster, Città di vetro, 1985, tr. it. M. Bocchiola, Trilogia di New York, Einaudi, 1996, p. 109

La vicenda di Daniel Quinn, scrittore di romanzi gialli che firma con lo pseudonimo di William  Wilson (nome tratto da un racconto di Edgar Allan Poe), è iniziata nel mese di maggio. In una telefonata notturna, Quinn è stato interpellato col nome di Paul Auster e incaricato- come fosse un detective – di una strana inchiesta. Deve proteggere un uomo, Peter Stillman, dal padre – omonimo – che lo ha tenuto segregato per anni per fare degli esperimenti sul linguaggio. Pedinamenti, ricerche, dialoghi fra persone e personaggi, nomi e pseudonimi, hanno luogo nella città di New York all’insegna del doppio e del dubbio, mentre maggio diventa giugno e offre, con la sequenza dei giorni, un appiglio, forse. 

Dicono del libro
“In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un’inchiesta misteriosa e dall’esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di un detective sconosciuto.”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

1 Giugno

1 giugno 2013

« »

Il primo di giugno dell’anno scorso Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica. Il due di giugno, il tre di giugno, il quattro di giugno, Fontamara continuò a rimanere senza illuminazione elettrica. Così nei giorni seguenti e nei mesi seguenti, finché Fontamara si riabituò al regime del chiaro di luna. Per arrivare dal chiaro di luna alla luce elettrica, Fontamara aveva messo un centinaio di anni, attraverso l’olio di oliva e il petrolio. Per tornare dalla luce elettrica al chiaro di luna bastò una sera

Ignazio Silone, Fontamara, 1933-34 (1953), Mondadori 1988, p. 15

Nel piccolo paese della Marsica a cui lo scrittore Ignazio Silone dà il nome di Fontamara, il tempo è scandito dai lavori dei campi e della pastorizia, e da poche feste religiose. L’avvento del Fascismo – che sostituisce il vecchio sindaco col podestà – peggiora il gramo bilancio delle vite degli abitanti del paese, esasperando i soprusi dei proprietari nei confronti dei cafoni al punto da instillare – da ultimo – un seme di rivolta. La vicenda, narrata da più voci che si danno il cambio nei diversi capitoli, ha inizio il primo di giugno, quando la corrente elettrica, la cui bolletta nessuno poteva più pagare, viene staccata. Altre brutte sorprese – fra cui la deviazione del ruscello per irrigare i campi – attendono i fontamaresi, in quel mese di giugno già arido e polveroso. 

Dicono del libro
“La vicenda si inquadra nei primi anni della dittatura fascista a Fontamara, ‘un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago Fucino’. La scala sociale del paese conosce solo due condizioni: quella dei ‘cafoni’ – i ‘braccianti, i manovali, gli artigiani poveri’ – e quella dei piccoli proprietari, ma sono solo i primi a subire i soprusi e le ingiustizie, divenuti per loro così antichi da sembrare naturali come la neve e il vento. Fontamara registra la scintilla della ribellione, personificata da Berardo Viola, che assurge a emblema di un nuovo, seppure ancora impreciso e velleitario, livello di dignità.”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

31 Maggio

31 maggio 2013

 

« »

Non posso rispondere a una lettera di un 31 maggio, il numero 31 non si deve assolutamente usare né profanare. Cosa crede questo signore di Monaco? Come può richiamare la mia attenzione sul 31 maggio! che gli importa del mio 31 maggio! Esco svelta dalla stanza, la signorina Jellinek non deve accorgersi che comincio a piangere, deve catalogare e ordinare, non deve dare proprio nessuna risposta a questo signore. Per tutte le risposte c’è tempo, c’è tempo fin dopo l’estate, in bagno mi viene in mente un’altra volta, io, con una tremenda angoscia, con una fretta pazzesca, scriverò oggi un’altra lettera decisiva, implorante, ma da sola. La signorina Jellinek deve fare il conto delle ore, non ho tempo adesso, ci auguriamo una buona estate. Suona il telefono, ma la signorina Jellinek deve andare. Di nuovo, buona estate! Buone vacanze! Molti saluti al dott. Krawanja, anche se non lo conosco personalmente. Il telefono squilla

Ingeborg Bachmann, Malina, 1971, tr. it. M. G. Manucci, Adelphi 1973 (ed. cons.1987), p.132

Dopo aver presentato i personaggi della storia: Ivan, i due bambini, Malina e sé stessa, la narratrice presenta il luogo: Vienna, e il tempo: Oggi. “Solo sulla data ho dovuto riflettere a lungo, perché è quasi impossibile per me dire ‘oggi’, sebbene ogni giorno si dica, anzi si debba dire ‘oggi’”. L’impossibilità di concepire e nominare quest’unità di tempo è un tema importante della narrazione, fatta di pensieri, memorie, sogni, trascrizioni di telefonate, dialoghi e lettere, lettere ricevute e inviate, come questa arrivata il 31 maggio, data che scatena di nuovo l’angoscia del tempo e una catena di riflessioni su oggi, ieri, domani. “Ma non è ancora domani. Prima che emergano ieri e domani debbo farli tacere in me. È oggi. Sono qui e oggi.”

Dicono del libro
Malina si presenta come la storia di un abnorme triangolo amoroso e di un abnorme assassinio. Due vertici del triangolo sono qui, di fatto, la stessa persona: ciascuna è il Doppio dell’altra; quanto all’assassinio, non lascia nessuna traccia e avviene in circostanze che nessun romanzo poliziesco ammetterà mai. La scena è Vienna, oggi: rapide deviazioni nel tempo e nello spazio ci mostrano le ultime reliquie della squisita Austria aristocratica o i foschi sfondi della Vienna del dopoguerra, dedita a un mercato nero generalizzato, alla pratica della ‘prostituzione universale’. Della narratrice si sa, indirettamente, che scrive; l’uomo che è il suo Doppio, Malina, e che vive silenziosamente con lei, è anch’egli scrittore, ma ‘per potersi mimetizzare’, lavora al Museo dell’Esercito, il luogo che condensa la passata gloria dell’Impero”

(dal risvolto di copertina dell’ed. Adelphi, op. cit.)

30 Maggio

30 maggio 2013

 

« »

Oggi è il 30 maggio, stasera alla televisione c’è la partita Roma-Liverpool. Peccato che dovrò guardarla in francese, se mettessi sul canale italiano gli altri sarebbero furiosi. Il cielo è pieno di nuvole bianche, la finestra è aperta e guardo la gru immobile. Tutto quello che ho davanti sta per scomparire. Ho buttato giù i foglietti del calendario da tavolo, e ho guardato i giorni svolazzare al rallentatore coi loro numerini rossi

  Beppe Sebaste, Café Suisse e altri luoghi di sosta, 1992, Feltrinelli 1992, p.133

Le giornate – in questa narrazione – non sono solo la cornice dove collocare le esperienze una dopo l’altra, ma hanno un loro preciso carattere e una loro evanescente consistenza. Lo scrittore le osserva e le attraversa al pari della città in cui si trova, dei locali, dei luoghi aperti e chiusi. “È buona l’aria” in questo 30 maggio che, finché non diventa un foglietto del calendario da staccare, riserva le grandi e piccole prodigiose sorprese di ogni giorno. 

Dicono di libro
“Il libro di Sebaste parla ininterrottamente del mondo che ci sta attorno, nei suoi aspetti più sensibili, meno astratti, attraverso l’ascolto e la visione. Sono tanti numerini d’un composito cabaret, che valgono come luoghi di sosta effettivi, cioè luoghi dove fermarsi sospesi nell’abbandono del momento. L’esigenza del libro di Sebaste è questa, che sia possibile trovare lo stato sospeso della visione nello scorrere della vita. In questo senso il suo tema di fondo ci riguarda tutti da vicino. E’ la possibilità di abitare il mondo in cui viviamo senza sentirci in esilio, nel grande prodigio della sua (del mondo) esistenza”

(G. Celati, dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

29 Maggio

29 maggio 2013

« »

Manca ancora un’epopea (no, non è vero, ne mancano ancora molte): quella delle lucciole. Per esempio ieri, nella notte tra il 29 e il 30 maggio 1988, tra Cormòns e il paese di Brazzano, in Friuli, “all’improvviso” ne comparvero varie su una strada che passa attraverso i campi. Non erano incandescenti, ma si limitavano a scintillare; restavano immobili lungo la strada, a illuminare e a rischiarare per terra con i loro addomi lucenti, per poi dirigersi come aeroplani anche nell’erba folta e là lampeggiare tra i fili. Una di esse si posò sul palmo della mano del passeggiatore notturno: gli illuminava le linee, gettando una luce intensa proprio accanto a quella della vita

Peter Handke, Epopea delle lucciole, 1990, tr. it. L. Salerno in Epopea del baleno,  Guanda, 1993, p. 27

L’epopea, tradizionalmente, è la narrazione di gesta eroiche e per estensione, secondo il vocabolario, la parola indica una serie di fatti degni, appunto, di essere immortalati in un poema. Il narratore di queste pagine registra con accuratezza diverse cose di cui è stato testimone: nevicate; bagliori nel cielo; incontri con piccoli animali. Per ognuna di queste personali epopee, concentrate sui dettagli della vita, segnala la data, perché il carattere della giornata in cui il fatto è accaduto non vada perso. Come l’incontro inaspettato con le lucciole (e con il ricordo di Pasolini) nella campagna friulana, alla fine di maggio. 

Dicono del libro
“Il volo di due farfalle una mattina di primavera; un balenio fantasmagorico nel cielo dell’isola iugoslava di Veglia; l’incontro di un viaggiatore  con un lustrascarpe sul lungomare di Spalato; una fitta nevicata sul paesaggio incantato del Giappone; un luminoso frullar di lucciole in una notte di maggio vicino a Cormòns, in Friuli: Peter Handke è tra gli scrittori di oggi, forse, quello che sa osservare con più chiarezza e precisione i fenomeni naturali e l’aspetto fisico degli eventi”

(dalla bandella dell’ed. Guanda, op. cit.)

28 Maggio

28 maggio 2013

« »

“Lei conosce Cappellini Arturo detto Bube?”
“Sì.”
“Lo conosce bene?”
“Certo: è il mio fidanzato.”
“Quanto tempo è che lo conosce?”
“L’ho conosciuto l’anno scorso di questi tempi. No, un po’ dopo…”
“E in che modo vi siete conosciuti?”
“Lui era partigiano insieme a mio fratello Sante, che è stato ammazzato dai tedeschi; e così, dopo il passaggio della guerra, è venuto a conoscere la mia famiglia.” Era stato il padre a istruirla così: “Digli che sei sorella di un partigiano caduto; è sempre una cosa che gli fa impressione, a quei brutti musi.”
“Quando l’ha visto l’ultima volta?”
“Saranno … quindici giorni.”
“Mi dica il giorno preciso.”
“Era… di venerdì.”
“Venerdì 28 maggio?”
“Sì” rispose Mara.

Carlo Cassola, La ragazza di Bube, 1960, Mondadori, 1968, p. 135

Appena finita la seconda guerra mondiale, il giovane ex partigiano Bube, detto il Vendicatore, è rimasto coinvolto in una rissa con un maresciallo e ha ucciso il figlio di questi. Mentre la polizia lo cerca e i compagni del partito comunista coprono i suoi spostamenti, Bube incontra Mara Castellucci, sorella di un suo amico rimasto ucciso durante la lotta per la Liberazione. Mara ha sedici anni e non immagina che l’incontro segnerà la sua intera vita, mettendola di fronte a scelte coraggiose, che la porteranno nelle aule di giustizia e nei parlatori delle carceri. E anche nella Tenenza del paese di Colle, dove è interrogata lei stessa sulla giornata del 28 maggio, una giornata come tante della primavera toscana, che diventa una data trascritta in un verbale. 

Dicono del libro
“Nella Ragazza di Bube, sullo sfondo di una Toscana ancora sconvolta dalla guerra, si racconta la storia d’amore tra Mara, una contadina semplice e istintiva del volterrano, e Bube, un ex partigiano che nel clima arroventato di quegli anni si rende colpevole di un delitto ormai assurdo. Sebbene la guerra sia finita, egli si sente ancora un ‘vendicatore’ – così lo chiamavano da partigiano – e uccide, convinto di dover continuare a riparare individualmente a tutte le ingiustizie.”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)