E’ il 17, nonvedi?
Su Twitter, il suo account è Quello che non vedi @chiarabottini; sul web, il suo sito si chiama Quello che non vedi. Un po’ più di twitter, un po’ meno di un blog: l’autrice è Chiara Bottini, che nelle bio accenna al suo lavoro “dentro sale congressi e aule di formazione”, alla sua attività di scrittura e al suo segno distintivo: notare sempre l’ora alle 17 e 17.
“Se perdo di vista l’orologio, ci puoi mettere la mano sul fuoco che lo rivedrò alle 17.17. Credo che il mio corpo si sia ormai settato nel percepire questo orario” – racconta lei stessa di questa ossessione pomeridiana che ha anche una dimensione social – “nel web è diventato una specie di incrocio tra l’anatema e la barzelletta macabra: se non lo posto io, qualcuno su Twitter lo fa per me. Un curioso fenomeno di aggregazione spontanea ossessivo-compulsiva che amo molto. È onesta, non pilotata”.
Accompagnato da una superstizione legata – come hanno spiegato Giampaolo Dossena e Stefano Bartezzaghi – al fatto che in cifre latine il numero si scrive XVII e basta uno spostamento per ottenere la parola VIXI (vissi), il 17 è un motivo ricorrente nei testi di Chiara/@nonvedi. Non solo le cifre del tempo digitale, o le lancette dei quadranti, insistono per lei su questo numero, ma vi converge anche il foglietto del calendario, con coincidenze e ritorni.
Nel suo post Il mio 17 (lo leggete qui di seguito), Chiara racconta alcune di queste ricorrenze, scelte nel corso del tempo: quel che conta non sono gli anni, che si dispongono e si sommano su una linea progressiva, ma i giorni, che danno l’illusione di ripetersi ciclicamente, restando uguale la forma della loro cifra, il 17:
Il mio 17 di @nonvedi
Mi voltai e c’era quest’uomo robusto con gli occhi chiari. Mi sorrise come se avesse recuperato l’energia per farlo in quel momento, dopo secoli di broncio e mi chiese cosa ci facessi lì. Mi affrettai a darmi un tono, come mi succede sempre quando vengo presa alla sprovvista. Lo divertì. “Mi interessava questa conferenza, e lei? Perché, lei non è qui per lo stesso motivo?” “Se devo dirla tutta, signorina, credo di aver approfittato di questo evento per nascondermi per un po’”. Mesi dopo mi ha confessato che non si è mai saputo spiegare perché gli fosse venuto istintivo raccontarmi la verità, raccontarmi più della verità, raccontarmi una sua debolezza. È così ancora oggi: non ci sappiamo spiegare perché, sappiamo solo che è. Era il 17 gennaio 1999.
La cosa della corona d’alloro in testa io proprio no. Uno che si laurea deve rendersi ridicolo da subito? Così, tutti gli altri sembravano novelli Gesucristi e io, molto semplicemente, cercavo di far star su il vestito grigio che era troppo largo. Non ho mai saputo scegliere gli abiti per le occasioni speciali. Ma cercai di darmi un tono, come sempre mi capita quando vengo presa alla sprovvista. Ricordo di aver pronunciato la parola “filmetto”, durante la discussione. Ricordo il caldo della sala e l’applauso finale. Ricordo la foto, col capo piegato da un lato e un mazzo di fiori in mano. Tulipani. Era il 17 dicembre 2003.
Presi il pullman. Cosa altro potevo fare? Non avevo ancora la macchina e a quel colloquio di lavoro ci tenevo come la vita. La mia via d’uscita, l’unica che avevo in quegli anni. Non potevo fallire. Stavolta avevo scelto una giacca scura che, però, si stava pericolosamente sgualcendo, ficcata com’ero dentro i sedili di quel coso con le ruote. Posto 17. Al 18, una signora anziana che ha sgranato un rosario per tutte e tre le ore di viaggio. Ogni tanto salivo a bordo della sua preghiera pure io. Avevo preparato una presentazione Power Point interattiva del mio curriculum. Qualcosa andò storto e non si aprì, ma cercai di darmi un tono, come sempre mi capita quando vengo presa alla sprovvista e la recitai. Ebbi il lavoro.
Era il 17 marzo 2004.Il 17 mi segue come un cane fedele, io lo accarezzo e lascio che morda gli altri.
(Courtesy Chiara Bottini – @ChiaraBottini, dal suo sito Quello che non vedi)
Antonella Sbrilli (@asbrilli)