28 Maggio
28 maggio 2013 |
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“Lei conosce Cappellini Arturo detto Bube?”
“Sì.”
“Lo conosce bene?”
“Certo: è il mio fidanzato.”
“Quanto tempo è che lo conosce?”
“L’ho conosciuto l’anno scorso di questi tempi. No, un po’ dopo…”
“E in che modo vi siete conosciuti?”
“Lui era partigiano insieme a mio fratello Sante, che è stato ammazzato dai tedeschi; e così, dopo il passaggio della guerra, è venuto a conoscere la mia famiglia.” Era stato il padre a istruirla così: “Digli che sei sorella di un partigiano caduto; è sempre una cosa che gli fa impressione, a quei brutti musi.”
“Quando l’ha visto l’ultima volta?”
“Saranno … quindici giorni.”
“Mi dica il giorno preciso.”
“Era… di venerdì.”
“Venerdì 28 maggio?”
“Sì” rispose Mara.
Carlo Cassola, La ragazza di Bube, 1960, Mondadori, 1968, p. 135
Appena finita la seconda guerra mondiale, il giovane ex partigiano Bube, detto il Vendicatore, è rimasto coinvolto in una rissa con un maresciallo e ha ucciso il figlio di questi. Mentre la polizia lo cerca e i compagni del partito comunista coprono i suoi spostamenti, Bube incontra Mara Castellucci, sorella di un suo amico rimasto ucciso durante la lotta per la Liberazione. Mara ha sedici anni e non immagina che l’incontro segnerà la sua intera vita, mettendola di fronte a scelte coraggiose, che la porteranno nelle aule di giustizia e nei parlatori delle carceri. E anche nella Tenenza del paese di Colle, dove è interrogata lei stessa sulla giornata del 28 maggio, una giornata come tante della primavera toscana, che diventa una data trascritta in un verbale.
Dicono del libro
“Nella Ragazza di Bube, sullo sfondo di una Toscana ancora sconvolta dalla guerra, si racconta la storia d’amore tra Mara, una contadina semplice e istintiva del volterrano, e Bube, un ex partigiano che nel clima arroventato di quegli anni si rende colpevole di un delitto ormai assurdo. Sebbene la guerra sia finita, egli si sente ancora un ‘vendicatore’ – così lo chiamavano da partigiano – e uccide, convinto di dover continuare a riparare individualmente a tutte le ingiustizie.”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)