11 Marzo | Marzo 11

11 marzo 2024

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El presidente se sirvió dos veces sin medirse en los elogios, y le encantaron las tajadas fritas de plátano maduro y la ensalada de aguacate, aunque no compartió las nostalgias. Lazara se conformó con escuchar hasta los postres, cuando Homero se atascó sin que viniera a cuento en el callejón sin salida de la existencia de Dios.
         —Yo sí creo que existe —dijo el presidente—, pero que no tiene nada que ver con los seres humanos. Anda en cosas mucho más grandes.
         —Yo sólo creo en los astros —dijo Lazara, y escrutó la reacción del presidente—
         —¿Qué día nació usted?
         —Once de marzo.
         —Tenía que ser —dijo Lazara, con un sobresalto triunfal, y preguntó de buen tono—: ¿No serán demasiado dos Piséis en una misma mesa?

Gabriel García Márquez, Buen viaje, Señor Presidente, Doce cuentos peregrinos, 1992

Il presidente si servì due volte senza risparmiare lodi, e andò in sollucchero per le fette di banana matura fritta e per l’insalata di avocado, anche se non spartì le nostalgie.  Lázara si rassegnò ad ascoltare fino al dolce, quando Homero si infilò senza che venisse a proposito nel vicolo cieco dell’esistenza di Dio. 
“Io ci credo che esiste” disse il presidente, “ma non ha nulla a che vedere con gli   esseri umani. E’ preso da cose molto più importanti.
 “Io credo solo negli astri” disse Lázara. E scrutò la reazione del presidente.
“Lei in  che giorno è nato?”
“Undici marzo.”
“Così doveva essere” disse Làzara con un sussulto trionfale, e domandò con garbo:
“Non saranno troppi due Pesci alla stessa tavola?”

Gabriel García Márquez, Buon viaggio, signor presidente, 1992, tr. it. A. Morino in Dodici racconti raminghi, Mondadori 1992, p.29

A Ginevra, a tavola di due connazionali emigrati, un ex presidente in esilio e in disgrazia – giunto in Svizzera dalla Martinica per curare una seria malattia – ripercorre le alterne fortune della sua vita: i rovesci politici, la lontananza dalla patria, la condizione di esule. Fuori è autunno e già freddo, mentre il cibo in tavola evoca i Caraibi e la conversazione dirige verso lo zodiaco e il destino. Lázara, la moglie dell’autista d’ambulanza che ha invitato il presidente – prima sperando di trarne qualche vantaggio economico e poi affezionandosi all’anziano malato che interroga i fondi di caffè – “aveva una fiducia cieca nei suoi pronostici astrali”. Dentro di sé ha indovinato che il presidente è del segno dei Pesci.  Come lo è, del resto, lo stesso scrittore Gabriel García Márquez.

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10 Marzo

10 marzo 2024

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Mi sbagliavo nel credere che non l’avremmo mai persa. Il dieci marzo, il suo compleanno, telefonò da Santa Cruz per dirci che lei e Rick si erano sposati quel pomeriggio, e che stavano andando in Canada. La notizia mi lasciò stordito e incredulo, non potevo credere di aver sbagliato i miei calcoli e ripensai alle mie colpe  verso di lei. Per parafrasare la canzone, era così bello avere una ragazza in casa, e  ora se n’era andata. Era stata importante nel tessuto delle nostre vite, il filo luminoso che dava il colore, adorata e rispettata dai suoi fratelli, incensata e viziata da sua madre e un bellissimo mistero per suo padre

John Fante, A ovest di Roma (Il mio cane stupido), 1986 (post.) tr. it. A. Osti, Fazi Editore, Roma, 1998, p. 92

Point Dume, la “punta più a nord che forma la baia di Santa Monica”, “agglomerato suburbano” in cui il protagonista – dopo vent’anni che ci abita – ancora si perde se c’è la nebbia, è il luogo in cui lo scrittore Henry Molise vive con la sua famiglia. Nell’inverno di un anno imprecisato si susseguono incontri e abbandoni: l’arrivo di un cane di grossa taglia, inviso alla moglie, alla prole e ai vicini e l’allontanarsi dei figli, ormai cresciuti. Dopo diverse brevi fughe con il furgone del fidanzato Rick, Tina se ne va definitivamente, sposandosi il giorno del suo compleanno, il 10 marzo, una data su cui Henry Molise si trova a meditare, nella stanza della figlia, diventata ormai “una parte della casa spiritualmente morta, un luogo di tristi fantasmi”.

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9 Marzo

9 marzo 2024

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io, Leonardo Sinsigalli, figlio di Vito e di Carmina Lacorazza, nato a Montemurro il 9 marzo 1908, sofferente di sciatica al ginocchio, giacevo febbricitante sopra i negri mattoni. Avevo appoggiato la testa sul braccio e mi lamentavo debolmente. Mi lamentavo della mia sorte di pellegrino

Leonardo Sinisgalli, Zinzigorro, in Prose di memoria e d’invenzione, Leonardo da Vinci, Bari, 1964, p. 195

Dicono del libro
“Queste prose di Sinisgalli, scritte sulla traccia della memoria, rievocano momenti e luoghi della sua coscienza, nel tentativo di costruirsi una propria saldezza, di ritrovare la propria innocenza, di ‘fabbricarsi un’anima’.
Nate da un’esperienza chiusa, da una condizione di esilio, esse serbano a distanza di anni dal tempo della loro prima edizione, una suggestione e un fascino ancora vivi e autentici, per quel sapore di confessione che traspare un po’ ovunque”
(dalla bandella dell’ed. citata)

 

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8 Marzo | 8 Mars

8 marzo 2024

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Le 8 mars, à six heures du matin, le marquis, revêtu de ses insignes, se faisait dicter, par son fils aîné, le brouillon d’une troisième dépêche politique; il s’occupait avec gravité à la transcrire de sa belle écriture soignée, sur du papier portant en filigrane l’effigie du souverain. Au même instant, Fabrice se faisait annoncer chez la comtesse Pietranera.
—Je pars, lui dit-il, je vais rejoindre l’Empereur, qui est aussi roi d’Italie; il avait tant d’amitié pour ton mari! Je passe par la Suisse. Cette nuit, à Menagio, mon ami Vasi, le marchand de baromètres, m’a donné son passeport; maintenant donne-moi quelques napoléons, car je n’en ai que deux à moi; mais s’il le faut, j’irai à pied. La comtesse pleurait de joie et d’angoisse

Stendhal, La Chartreuse de Parme, 1839

L’otto marzo, alle sei della mattina, con addosso tutte le sue decorazioni, stava facendosi dettare da Ascanio la minuta di una lettera a Vienna – era già la terza – e si dava da fare con grande austerità e applicazione a scriverla in bella calligrafia su un foglio di carta con il ritratto di Sua Maestà in filigrana. Nello stesso momento Fabrizio entrò nella stanza della contessa Pietranera.
“Parto,” le disse, “vado dall’Imperatore, che è anche re d’Italia. Aveva tanta amicizia per tuo marito! Passerò per la Svizzera. Vasi, quel mio amico, quello che vende barometri, mi ha dato il suo passaporto, stanotte, a Menaggio. E adesso dammi un po’ di soldi, perché ho solo due napoleoni. Ma se occorre andrò a piedi.”
La contessa si mise a piangere. Era spaventata, e felice

Stendhal, La Certosa di Parma1839, tr. it. E. Tadini, Garzanti, 1983, p. 24

Lasciata l’isola d’Elba, dove era stato confinato, Napoleone è sbarcato sulla costa francese il primo marzo del 1815, dando inizio a quelli che sarebbero stati chiamati i “cento giorni” del suo ritorno. La notizia si diffonde velocemente e arriva – nella storia narrata da Stendhal – nella dimora del marchese del Dongo, fedele servitore degli Austriaci. Mentre l’anziano marchese scrive a Vienna, la stessa mattina dell’8 marzo il giovane Fabrizio, vicino agli ideali napoleonici, decide di raggiungere il suo eroe, di cui vedrà la sconfitta, il 18 giugno, nella battaglia di Waterloo. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Con la Certosa Stendhal riprende il  tema fondamentale delle sue opere maggiori: il conflitto tra reazione e rivoluzione nella società del suo tempo. Dopo la Francia postnapoleonica (Il rosso e il nero) e quella di Luigi Filippo (Lucien Leuwen), è ora la volta dell’Italia smembrata e oppressa dai governi dispotici restaurati dalla Santa Alleanza. Teatro dell’azione è un’immaginaria Parma retta da una dinastia (i Farnese) in realtà estinta da un secolo”
(dall’introduzione di P. Bellocchio, ed. Garzanti, op. cit.)

 

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7 Marzo | 7 Mars

7 marzo 2024

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Il est vrai qu’il serait fort possible d’abord que Ravaillac n’eût pas de complices, ensuite que ses complices, si par hasard il en avait, ne fussent pour rien dans l’incendie de 1618. Il en existe deux autres explications très plausibles. Premièrement, la grande étoile enflammée, large d’un pied, haute d’une coudée, qui tomba, comme chacun sait, du ciel sur le Palais, le 7 mars après minuit

Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831, I, 1

È vero che sarebbe possibile, innanzitutto, che Ravaillac non avesse avuto complici, e poi che i suoi complici, se per caso ne avesse avuti, non fossero per niente implicati nell’incendio del 1618. Esistono poi dell’accaduto altre due spiegazioni perfettamente plausibili. Per prima cosa, la grande stella fiammeggiante, larga un piede e alta un braccio che, come ciascuno sa, cadde dal cielo sul Palazzo, il 7 marzo dopo mezzanotte

Victor Hugo, Nostra Signora di Parigi, 1831 

Dicono del libro
Un classico senza tempo. Un classico popolare. La grandiosa rivisitazione di una Parigi tardomedioevale in cui si mescolano lo spettrale profilo della basilica di Notre-Dame, abitata dal gobbo Quasimodo, e la notturna Corte dei Miracoli, dove risplende la bellezza di Esmeralda. Come in un grande melodramma, forze del bene e forze del male si scontrano facendo fulcro intorno all’attrazione, alla sensualità, all’innocenza della bella zingara. Romanzo del diverso, del perverso e dell’amore contrastato, Notre-Dame de Paris non ha mai smesso di sedurre l’immaginazione di registi (memorabile il film del 1939 di William Dieterle, con Charles Laughton nelle vesti di Quasimodo), musicisti (recentissimo è il musical di grande successo di Riccardo Cocciante), e naturalmente quella dei lettori. “Hugo non dimentichiamolo, scrive Notre-Dame a ventott’anni, nel 1830, e lo dà alle stampe l’anno dopo: Notre-Dame ha della gioventù o della prima maturità gli entusiasmi della scoperta, la foga dei messaggi“. (Goffredo Fofi sul sito Feltrinelli)

 

 

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6 Marzo

6 marzo 2024

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Il 6 marzo del 1953 il maestro Bonanni disse a mia madre: “Questo bambino le darà  grandi soddisfazioni”. Mi piacciono molto le date: sono chiare e vere. Ma questa data è né più né meno che una combinazione alfabetica irrobustita da qualche cifra. Quale marzo, che 6, quale millenovecentocinquantatré? E’ un giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto: Anche la frase del maestro Bonanni è stata davvero pronunciata.  Ma il loro contatto su questo foglio è arbitrario: mi serve solo per evocare una storia che è lunga poche righe

Domenico Starnone, Fuori registro, 1991, Feltrinelli, p. 32

A scuola la scansione del tempo è tutto: la “gelatina delle ore” è stabilita dall’orario definitivo e i giorni scorrono uno dopo l’altro, insieme ai registri e alle “pile di carte grigie” , che si vanno accumulando negli anni di scuola del protagonista del racconto, prima allievo e poi a sua volta insegnante.  Arbitrarie ed evocative, le date si rincorrono, e il narratore richiama il giorno del suo ingresso in prima elementare, il I ottobre del 1948, per poi tornare a quel 6 marzo 1953, un “giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto”. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Tra tutti i ripetenti, l’insegnante è il più ripetente di tutti. Gli studenti, come sassi in una fionda, fanno un po’ di giri e poi fischiano via. L’insegnante resta, anno scolastico dietro anno scolastico, imbambolato dalla giostra su cui è salito a sei anni senza sapere che non sarebbe sceso più”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.) 

 

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5 Marzo

5 marzo 2024

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[… ]me propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem. Adsum tuos miserata casus, adsum favens et propitia. Mitte iam fletus et lamentationes omitte, depelle maerorem; iam tibi providentia mea inlucescit dies salutaris.Ergo igitur imperiis istis meis animum intende sollicitum. Diem, qui dies ex ista nocte nascetur, aeterna mihi nuncupavit religio, quo sedatis hibernis tempestatibus et lenitis maris procellosis fluctibus navigabili iam pelago rudem dedicantes carinam primitias commeatus libant mei sacerdotes. Id sacrum nec sollicita nec profana mente debebis opperiri.
Nam meo monitu sacerdos in ipso procinctu pompae roseam manu dextera sistro cohaerentem gestabit coronam. Incunctanter ergo dimotis turbulis alacer continuare pompam mea volentia fretus et de proximo clementer velut manum sacerdotis osculabundus rosis decerptis pessimae mihique iam dudum detestabilis belvae istius corio te protinus exue.

Apuleius, Metamorphoseon libri (Asinus aureus), XI, 5-6

 

“Iside mi chiamano, Iside regina. Sono qui, ora, dopo tutte le tue miserabili avventure – ci sono io ora, benevola, propizia. Basta con i pianti, dimentica i lamenti, scaccia la tristezza! Invece sta’ attento, attento a quanto ti ordino. Il giorno che nascerà proprio da questa notte, da sempre mi è sacro. Questo, sì, è il giorno in cui si placa il tempo d’inverno, in cui le tempeste d’onde del mare si quietano, in cui sulla calma distesa marina ora possono correre le navi e una nuova nave mi dedicano i miei sacerdoti, con tutto il suo carico di primizie. Questo giorno sacro tu devi attendere, senza ansia, sereno, fidandoti di me. Ci sarà un sacerdote in testa al corteo, e porterà un serto di rose in mano, insieme al sistro. Non esitare scosta la folla e, rapido, avvicinati al sacerdote, per baciargli la mano; strappagli le rose e, subito, ecco che sei libero della pelle di questa orribile bestia, odiosa da tempo anche a me” 

Apuleio, L’asino d’oro o Metamorfosi, XI, 5-6, traduzione di Monica Centanni

Il 5 marzo è, nel racconto di Apuleio, il giorno della liberazione di Lucio dalle sembianze d’asino in cui l’aveva imprigionato un incantesimo venuto male.
Dopo innumerevoli avventure, incontri, storie nelle storie (fra cui quella, bellissima, di Amore e Psiche), nell’XI libro dell’Asino d’oro o Metamorfosi – grazie all’intervento della dea Iside – Lucio ritorna finalmente se stesso. Il 5 marzo è la festa di Iside, la dea che percorre il mondo per rimettere insieme i pezzi sbranati del figlio Osiris, e infine riesce nell’impresa, inaugurando il culto misterico che dall’Egitto si diffonde in tutto il mondo ellenistico e romano. A Roma il 5 marzo è la festa del Navigium Isidis – il corteo al seguito di una nave ornata di fiori e di primizie che sfilava sul Tevere in mezzo a una folla mascherata e festosa, a festeggiare la fine dell’inverno e la rinascita della natura. Su quella festa guidata da un ‘currus navalis’ si sovrimporrà il calendario cristiano con il ‘carnevale’ che precede l’attesa della Pasqua di resurrezione. È questo, scrive Apuleio, un “giorno sereno, pieno di sole, tanto che gli uccelli rallegrati dal tepore primaverile si mettono dolcemente a cantare, festeggiando anch’essi con tutta la loro gioia la madre degli astri, la signora delle stagioni, la regina di tutto l’universo”. (m.c.)

Dicono del libro
Dicono del libro
“Più che alle opere oratorie e filosofiche la gloria di Apuleio è naturalmente affidata al suo romanzo: Metamorfosi o Asino d’oro (…) Composto nella piena maturità, il romanzo, in 11 libri, è intitolato nella tradizione manoscritta Metamorphoseon libri, cioè ‘Libri delle trasformazioni, delle metamorfosi’ o semplicemente ‘Metamorfosi’, ma fin dall’antichità è noto anche con il titolo, che secondo Sant’Agostino risalirebbe ad Apuleio stesso, di Asinus aureus, ‘Asino d’oro’, dove non sappiamo se l’epiteto aureo sia riferito al pregio letterario o all’utilità edificante dello scritto o se non indichi invece che l’asino di cui si tratta è una creatura eccezionale, un asino dotato di ragione”
(Federico Roncoroni, dall’introduzione all’ed. Garzanti, Milano 1974)

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4 Marzo | March 4

4 marzo 2024

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It was upon the 4th of March, as I have good reason to remember, that I rose somewhat earlier than usual, and found that Sherlock Holmes had not yet finished his breakfast. The landlady had become so accustomed to my late habits that my place had not been laid nor my coffee prepared. With the unreasonable petulance of mankind I rang the bell and gave a curt intimation that I was ready. Then I picked up a magazine from the table and attempted to while away the time with it, while my companion munched silently at his toast. One of the articles had a pencil mark at the heading, and I naturally began to run my eye through it

Arthur Conan Doyle, A Study in Scarlet, 1887

Era il 4 marzo (e io ho i miei buoni motivi per ricordarmene). Mi alzai un po’ prima del solito e trovai Sherlock Holmes che ancora non aveva finito la prima colazione. La padrona di casa si era tanto assuefatta alle mie abitudini di dormiglione che non mi aveva preparato il posto a tavola. Con l’irragionevole petulanza del genere umano, suonai il campanello e annunciai bruscamente che aspettavo il caffè, poi presi una rivista che era sulla tavola e tentai di ammazzare il tempo leggendo, mentre il mio compagno sbocconcellava in silenzio il pane tostato. Uno degli articoli aveva un segno a matita vicino al titolo e, naturalmente, cominciai a scorrerlo

Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso, 1887, tr.it. A. Tedeschi, Mondadori, 2012, p. 22

Il dottor John H. Watson, ex ufficiale medico dell’esercito britannico tornato dall’Afghanistan, al cui diario è affidata la narrazione di Uno studio in rosso, ha buoni motivi per ricordare la data del 4 marzo. Da alcune settimane è andato ad abitare al numero 221 B di Baker Street, condividendo l’alloggio con Sherlock Holmes, di cui ancora non ha individuato la professione. Il 4 di marzo ha l’occasione di vedere per la prima volta all’opera Holmes, chiamato a collaborare dalla polizia londinese alle indagini per un omicidio accaduto nella notte. Passo dopo passo, Watson è coinvolto e ammirato dal metodo di Holmes, basato sull’osservazione dei minimi dettagli, sulla scomposizione analitica dei fatti, sul dipanamento della “matassa incolore della vita”, da cui isolare – come un artista che dipinga – i fili rossi del crimine. Grazie a tale metodo, il tempo accaduto è ripercorso all’indietro, smontato e rimontato, e alcuni giorni (il 4 marzo, il 4 maggio, il 4 agosto) fanno da perno a questa ricostruzione, che porta la vicenda da Londra allo Utah e di nuovo a Londra, a quel 4 di marzo che tanto doveva colpire Watson.


Dicono del libro
Dicono del libro
“Il 1887 rappresenta una data di grande importanza per la letteratura poliziesca. Nel novembre di quell’anno, infatti, Arthur Conan Doyle, all’epoca sconosciuto medico di periferia, dava alle stampe Uno studio in rosso, il romanzo che vedeva l’esordio di due tra i più famosi personaggi letterari di tutti i tempi: il dottor Watson, sotto le cui modeste spoglie si celava un alter ego dell’autore, e il geniale e inimitabile Sherlock Holmes, il detective per antonomasia”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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3 Marzo | 3 Mars

3 marzo 2024

 

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Un mousse du haut de la vigie cria : Terre ! C’était le sol de la Grèce et les montagnes de la Morée que l’on apercevait à l’horizon. Un vent frais portait le vaisseau avec rapidité. Le nom de la Grèce réveilla le courage d’Octave : « Je te salue, se dit-il, ô terre des héros ! » Et à minuit, le 3 mars, comme la lune se levait derrière le mont Kalos, un mélange d’opium et de digitale préparé par lui délivra doucement Octave de cette vie qui avait été pour lui si agitée. Au point du jour, on le trouva sans mouvement sur le pont, couché sur quelques cordages. Le sourire était sur ses lèvres, et sa rare beauté frappa jusqu’aux matelots chargés de l’ensevelir. Le genre de sa mort ne fut soupçonné en France que de la seule Armance

Stendhal, Armance, 1827

Un mozzo dall’alto della coffa gridò: “Terra!”. Era il suolo della Grecia, con le montagne della Morea che si scorgevano all’orizzonte. Un vento fresco portava la nave, che correva veloce. Il nome della Grecia risvegliò il coraggio di Octave: “Ti saluto, “si disse “o terra degli eroi!”. E a mezzanotte, il 3 di marzo, mentre la luna sorgeva dietro il monte Kalos, una mistura d’oppio e di digitale preparata da lui stesso liberò dolcemente Octave da quella vita che era stata così agitata per lui. All’alba lo trovarono senza moto sul ponte, sdraiato su alcuni cordami. Aveva il sorriso sulle labbra, e la sua rara bellezza colpì persino i marinai incaricati di seppellirlo. La causa della sua morte fu sospettata in Francia dalla sola Armance

Stendhal, Armance, 1827, tr. it. M. Bonfantini, Einaudi 1976, p.180

Il tre marzo è la data che chiude la storia di una coppia di giovani francesi al tempo della Restaurazione. Lui è Octave de Malivert, “gentiluomo ventenne” affascinante e tormentato; lei è la cugina Armance de Zohiloff. La loro attrazione reciproca attraversa ostacoli esterni e interni. Dopo sposati, Octave decide di andare a combattere per la libertà del popolo greco, lasciando la moglie in Francia. Si darà la morte sulla nave che lo porta in Grecia, dopo aver scritto, ogni giorno del viaggio, una lettera. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Storia del tormentato amore tra due giovani, ‘Armance’ (1827) è il primo romanzo di Stendhal, che vi prova i temi che gli sono cari, gli abbandoni amorosi e poetici, l’arguzia sottile. Tanto da offrire un esempio tipico in ogni storia stendhaliana, del rapporto tra interessi sociali e politici, da un lato, e sfrenato individualismo, esclusiva passione d’amore, dall’altro”(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

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2 Marzo | March 2

2 marzo 2024

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Do you recognize the Green and in the middle the steeple, and the gate with a lion couchant on either side? Oh yes, it is Kew! Well, Kew will do. So here we are at Kew, and I will show you today (the second of March) under the plum tree, a grape hyacinth, and a crocus, and a bud, too, on the almond tree; so that to walk there is to be thinking of bulbs, hairy and red, thrust into the earth in October; flowering now

Virginia Woolf, Orlando, 1928

 

Non riconoscete il prato, e il campanile nel mezzo, e i cancelli fiancheggiati dai leoni araldici? Ah, sì, è Kew! Beh, vada per Kew: fermiamoci. Eccoci dunque a Kew; e oggi (il 2 marzo) vi mostrerò un grappolo di giacinto, sotto il prugno, e anche un croco, e anche un germoglio sul mandorlo; e passeggiando quaggiù, sarà come pensare a quei bulbi rossicci e pelosi che si mettono in terra, d’ottobre; e che fioriscono ora
Virginia Woolf, Orlando, tr. it. Grazia Scalero, Mondadori, 1986

 

 

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1 Marzo | Mars 1

1 marzo 2024

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Depuis longtemps déjà le mauvais temps avait cessé; la saison s’avançait; et brusquement les amandiers fleurirent. C’etait le premiers mars. Je descends au matin sur la place d’Espagne. Les paysans ont dépouillé de ses rameaux blancs la campagne et les fleurs d’amandiers charges les paniers des vendeurs. Mon ravissement est tel que j’en achète tout un bosquet. Trois hommes me l’apportent. Je rentre avec tout ce printemps. Les branches s’accrochent au portes, des pétales neigent sur le tapis

André Gide, L’Immoraliste, 1902

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Già da parecchio il tempo cattivo era finito; ci inoltravamo nella bella stagione e d’un tratto fiorirono i mandorli. Era il primo di marzo. Di mattina scendo in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato la campagna di tutti i suoi rami bianchi e i fiori di mandorlo riempiono le ceste dei venditori. L’incanto che provo è tale che ne compro tanti da riempire un giardino. Tre uomini me li portano a casa. Rientro con tutta questa primavera. I rami si impigliano nelle porte; alcuni petali cadono come neve sul tappeto

 André Gide, L’immoralista, 1902, tr. it. E. Scarpellini, Garzanti, ed. cons. 1982, p. 237

La data del primo marzo compare verso la fine del racconto che il protagonista, Michel, fa ad alcuni amici per spiegare gli ultimi decisivi avvenimenti della sua vita. Il matrimonio con Marceline, il soggiorno in Africa, fatto di lunghi “giorni senza ore”, la malattia ai polmoni da cui si è ripreso, la scoperta dell’omosessualità. E poi, in una specie di simmetria, la malattia della moglie che, incinta, perde il bambino, e di nuovo i viaggi, il lago di Como, Firenze, Roma, dove arrivano alle soglie della primavera, per proseguire ancora verso sud. 

Dicono del libro