11 Gennaio
11 gennaio 2016 |
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11 gennaio, 1955. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei
Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. Delfina Vezzoli, Einaudi, 1999, p.572,580
Questa frase segna la conclusione del lungo incontro che Nick Shay, uno dei personaggi-chiave di Underworld, ha avuto con padre Paulus, nel college sperimentale dei Gesuiti, in campagna, dove si trova, appena maggiorenne, dopo il riformatorio. Una frase di padre Paulus lo aveva particolarmente colpito quell’11 gennaio: “Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano”.