11 Ottobre

11 ottobre 2014

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Per qualche secondo la luce crebbe d’intensità, ella vide le cose sempre più chiare e nette, l’orologio ticchettò più forte, finché una tremenda esplosione giunse proprio all’orecchio di Orlando. Ella balzò, come se avesse ricevuto un violento colpo al capo. Per dieci volte fu colpita. Erano le dieci del mattino. Era l’11 ottobre. Era l’anno 1928. Era l’epoca presente.Nessuno si meraviglierà che Orlando trasalisse, che si premesse la mano sul cuore, che impallidisse. Quale rivelazione avrebbe potuto essere più terrificante di quella della nostra epoca? Se noi sopravviviamo all’urto, è solo perché il passato ci fa argine da una parte e il futuro dall’altra

Virginia Woolf, Orlando, 1928, tr. it G. Scalero, Mondadori, Milano, 1993, pp. 290-291

L’orologio, con la sua misurazione del tempo convenzionale, sembra essere in questo romanzo l’antagonista di Orlando, la cui esperienza interiore e biografica esula dal tempo reale. L’11 ottobre del 1928 è il giorno in cui fu pubblicato per la prima volta in Inghilterra questo romanzo della Woolf, che si conclude  proprio al “dodicesimo colpo di mezzanotte, giovedì undici ottobre millenovecentoventotto”. La coincidenza rivela una particolare attenzione della scrittrice per il tema del tempo, cui dedicò innovative riflessioni in tutta la sua opera. In questo romanzo la Woolf sfida e scardina la nozione convenzionale del tempo ed anche la nozione di genere e le convenzioni letterarie di romanzo e biografia, in un dialogo diretto e sottilmente ironico con il lettore. La storia ha inizio verso la fine del XVI secolo e Orlando, che quando incontriamo nelle prime pagine è un giovane di sedici anni, alla fine del romanzo è una donna di trentasei anni, con alle spalle una serie di avventure che l’hanno portato/a nell’arco di quasi quattro secoli dalla corte della regina Elisabetta all’ambasciata a Costantinopoli, in un campo nomadi in Turchia e infine di nuovo a Londra, proprio nell’anno in cui le donne inglesi – la cui causa stava così a cuore alla scrittrice – per la prima volta possono votare. In un quadro così ricco e talvolta surreale non sfugge al lettore la valenza simbolica della aristocratica dimora di Orlando, una casa tanto grande da imprigionare il vento, che vi soffia in tutte le stagioni, e con ben 365 stanze da letto e 52 scaloni, tanti quanti i giorni e le settimane di un anno. (Commento di Sandra Muzzolini)

Dicono del libro
“Nella produzione letteraria di Virginia Woolf questo romanzo imprevedibile e smagliante è un episodio davvero singolare, una straordinaria vacanza che la scrittrice si è concessa e ha regalato ai suoi lettori. Al centro del racconto – scintillante concatenazione di eventi su uno sfondo storico che ha i colori di volta in volta teneri e cupi, vellutati e metallici di un prezioso arazzo rinascimentale – orlando, che trascorre lieve attraverso i secoli trasformandosi da giovanotto seducente in aggraziatissima dama, e riassume in sé, sul fondo di una immaginazione ariostesca, profili e destini di una nobile casata”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Santa Sofia de la Piedad gli chiese, come tutte le mattine, che giorno della settimana era e lui rispose che era martedì undici ottobre…”
Gabriel García MárquezCent’anni di solitudine

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“… Oggi, 11 ottobre, Mme Aubry-Abrivard tornerà molto tardi, ma tornerà sicuramente…”
André Breton, Nadja

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“… Martedì 11 ottobre 1988. Il Jason Taverner Show durò trenta secondi meno del solito…”
Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto

 

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“… L’undici ottobre del 1968 diventai cittadino americano. Erano passati cinque anni dal nostro arrivo a Berkeley…”
Mario Soldati, La sposa americana

10 Ottobre

10 ottobre 2014

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Il 10 ottobre seguente ci imbarcavamo sull’Impossibile. Eravamo in otto, se ve ne ricordate: Arthur Beaver, proprietario dello yacht; Pierre Sogol, capo della spedizione, Ivan Lapse, il linguista; i fratelli Hans e Karl; Judith Pancake, la pittrice d’alta montagna; mia moglie e io. Era inteso che non avremmo reso noto fra gli amici lo scopo esatto della spedizione, perché ci avrebbero presi per pazzi o, cosa più probabile, avrebbero creduto che raccontassimo delle storie per dissimulare il vero scopo della nostra impresa, sul quale si sarebbero fatte ogni sorta di supposizioni. Avevamo dichiarato che andavamo a esplorare alcune isole dell’Oceania, le montagne del Borneo e le Alpi australiane. Ciascuno di noi aveva predisposto le cose in vista di una lunga assenza dall’Europa

René Daumal, Il Monte Analogo, 1944 (1952, postumo), tr. it. C. Rugafiori, Adelphi 1991, p.67

La data centrale di questo racconto incompiuto di René Daumal (il cui titolo è Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche)  è quella del 10 ottobre. È il giorno in cui il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome l’Impossibile. La spedizione è diretta verso il Monte Analogo, una montagna – sfuggita finora all’osservazione –  la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”, mentre la base è accessibile agli esseri umani. Misteriosamente situato in una zona rinchiusa “in un guscio di spazio curvo”, il Monte Analogo segna l’accesso all’invisibile e alla conoscenza di sé, raccontato attraverso un viaggio via mare, col suo libro di bordo, iniziato un 10 ottobre. 

 

Dicono del libro
“Sotto le parvenze di un romanzo d’avventura, Il Monte Analogo ci offre una «metafisica dell’alpinismo» che è anche un itinerario minuzioso, lentamente maturato nelle esperienze dell’autore, verso un centro, verso una vetta dove ciascuno possa diventare ciò che è. Il Monte Analogo è stato pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1952″
(Dalla scheda del libro nel sito Adelphi)

Leggi Popinga, La scienza nel Monte Analogo

Altre storie che accadono oggi

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“… Ah, oggi è proprio il 10 ottobre, la festa della Repubblica. Qui però non è segnato!..”
Lu Hsün, Fuga sulla luna 

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“… Poi fu il dieci ottobre e il tempo pioveva….”
Elio Vittorini, Il garofano rosso

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“… Ti scriverò per spiegarti tutto. 10 del 10 del 10 (due giorni prima della scoperta dell’America)…”
Antonio Tabucchi, Il gatto dello Cheshire

9 Ottobre

9 ottobre 2014

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Quel mercoledì 9 ottobre alle undici del mattino, doveva approdare a Suez il piroscafo Mongolia, della Compagnia Peninsulare e Orientale. Era un vapore di ferro, a elica, con il ponte coperto. Il Mongolia stazzava duemilaottocento tonnellate e sviluppava una forza di cinquecento cavalli; compiva regolarmente il tragitto Brindisi-Bombay attraverso il canale di Suez. Era uno dei bastimenti più veloci della Compagnia, e aveva sempre superato le velocità regolamentari, fissate in dieci miglia all’ora nel tratto Brindisi-Suez,  in nove miglia e mezzo nel tratto Suez-Bombay. (…) Quel metodico itinerario teneva conto di tutto, e mister Fogg sapeva sempre se era in anticipo o in ritardo. Così, quel giorno, mercoledì 9 ottobre, riportò il suo arrivo a Suez: concordava in pieno con l’orario ufficiale, e dunque il bilancio restava in pareggio

Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, 1873, tr. it. V. Beggio, ed. cons. De Agostini, 2010, pp. 34, 42-43

Il racconto del viaggio intorno al mondo dell’inglese Phileas Fogg e del suo servitore Passepartout – frutto di una scommessa sulla possibilità di compierlo in 80 giorni- è tutto incentrato sulle date. Calendari, orari, orologi, fogli e tabelle di viaggio scandiscono la storia giorno dopo giorno, quasi minuto per minuto. La partenza da Londra è avvenuta mercoledì 2 ottobre 1872 e la prima tappa del lungo itinerario – da Londra a Suez via Moncenisio e Brindisi – viene percorsa in una settimana. Quando il piroscafo Mongolia arriva a Suez è di nuovo mercoledì, il 9 ottobre. Phileas Fogg annota puntualmente  l’arrivo nella sua tabella di viaggio, dove tiene il conto delle distanze percorse e del tempo impiegato, con precisi calcoli delle perdite e dei guadagni.  Ancora non sa che, andando verso est, inconsapevolmente, guadagnerà un giorno decisivo per la sua scommessa. 


Dicono del libro

“Phileas Fogg, gentiluomo inglese assai flemmatico, scommette con i soci del suo club che riuscirà a compiere in ottanta giorni il giro del mondo. Parte seguito dal suo fedelissimo servo Giovanni detto Passepartout. Gli è però alle calcagna un poliziotto che si affanna a seguirlo nelle tappe dell’eccezionale itinerario perché Fogg è sospettato di un grosso furto perpetrato in una banca inglese. Questo è l’avvio del romanzo che Verne pubblicò nel 1873 e che costituisce da più di un secolo uno dei più duraturi successi in tutte le lingue. E’ una storia sospesa di continuo tra avventura e ironia”.
(Dalla scheda del libro sul sito libreriauniversitaria.it)

Altre storie che accadono oggi

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“… trovo che Lione fu presa il 9 ottobre 1793. Fu pertanto in quell’estate del 1793  a dieci anni che io venivo ad ascoltare quel cannone…”
Stendhal, Vita di Henry Brulard

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“… La notte del 9 ottobre – rammentava ancora molto bene quella data – aveva sentito battere pesanti colpi alla porta…”
Victor Van Hagen, Le quattro stagioni di Manuela

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“… Parigi, 9 ottobre 1951. Lettera di papà. Ce l’avevo sul tavolo da dieci giorni…”
Mordecai Richler, La versione di Barney (segnalazione di Sandra Muzzolini)

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“… La notte del 9 ottobre – rammentava ancora molto bene quella data – aveva sentito battere pesanti colpi alla porta…”
Victor Van Hagen, Le quattro stagioni di Manuela

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“… Parigi, 9 ottobre 1951. Lettera di papà. Ce l’avevo sul tavolo da dieci giorni…”
Mordecai Richler, La versione di Barney (segnalazione di Sandra Muzzolini)

8 Ottobre

8 ottobre 2014

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Quella mattina dell’8 ottobre, come tutte le mattine, la vecchia lappone Skolt Naska Mosnikoff si era alzata, si era fatta il caffè, aveva sbriciolato nella tazza un pezzo di delizioso formaggio lappone ed era poi andata dietro l’angolo della casa per i suoi bisogni mattutini. Durante la notte era nevicato e la casupola, appena più grande di una casetta per i giochi dei bambini del sud, si era graziosamente coperta di una coltre bianca. (…)
Naska si ricordò che quel giorno avrebbe dovuto compiere novant’anni, se era davvero l’8 ottobre. E così doveva essere

Arto Paasilinna, Il Bosco delle Volpi, 1983, tr. it. E. Boella, Iperborea, ed. cons. 2003, p.141

A metà della vicende raccontate nel Bosco delle Volpi – la fuga di un ladro di lingotti d’oro, che cerca riparo nella solitudine della Lapponia, dove incontra un maggiore dell’esercito anch’egli in fuga dalla sua esistenza precedente – fa la sua comparsa una vecchia lappone, una delle ultime rappresentanti dell’etnia Skolt. Il giorno del suo novantesimo compleanno, l’8 di ottobre, con la scusa di festeggiarla, gli assistenti sociali del suo villaggio cercano di portarla in una casa di riposo. Ma Naska Mosnikoff riesce a scappare, con il suo gatto, a resistere al viaggio nella neve e a trovare infine riparo nel rifugio dei due uomini. Testimone di guerre, rivoluzioni, spostamenti di confini nelle terre che si affacciano sul Mar Glaciale Artico, Naska misura il tempo con le feste religiose ortodosse. Anche quell’8 di ottobre ringrazia san Dimitri per tutti i giorni che le sono stati concessi, non immaginando l’avventura e le novità che ancora la attendono quel giorno e i seguenti.

Dicono del libro
“Così, è nella capanna dei boscaioli del monte Kuopsu, vicino all’inquietante Bosco delle Volpi, in uno sperduto angolo della foresta lappone, che casualmente si ritrovano Oiva Juntunen con i suoi lingotti d’oro, Sulo Remes, maggiore alcolizzato in congedo sabbatico, e Naska Mosniikoff,gagliarda ultranovantenne evasa dal ricovero per vecchi. Non è un caso se è sempre la fuga il destino dei protagonisti di Paasilinna”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Iperborea, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 8 ottobre 1846. Cari e venerati genitori! Il sottoscritto si trova nella gradita situazione di annunziar loro il parto felice, avvenuto mezz’ora fa, della loro figlia…”
Thomas Mann, I Buddenbrook

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“… nel giorno 8 ottobre e consumato nella stessa data con la conseguente nascita d’un erede di sesso femminile…”
James Joyce, Ulisse

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“… L’8 ottobre raggiungemmo l’alto corso del fiume Kennebec…”
Gore Vidal, Burr

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“… Più progredivano col lavoro, più il lavoro li avrebbe resi liberi. L’otto di ottobre posarono la millesima pietra…”
Paul Auster, La musica del caso

 

7 Ottobre

7 ottobre 2014

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Leonida squarciò la lettera con risolutezza. Ma lo strappo non era ancora profondo due centimetri e già le sue mani si fermarono. Accadde ora il contrario di ciò che era accaduto quindici anni prima a Sankt Gilgen. Allora, volendo aprire la lettera, l’aveva strappata. Ora, volendola strappare, la aprì. Dal foglio ferito, l’intera personalità della scrittura femminile azzurro pallido, che si poteva espandere in diverse righe, lo guardava sarcastica. Sopra, in testa alla lettera, con tratti rapidi e precisi, era scritta la data: ” 7 ottobre 1936″. Ecco l’esattezza della donna matematica, fu il giudizio di Leonida, Amelie non ha mai datato una lettera in tutta la sua vita. Poi lesse: “Egregio signor capodivisione!”

Franz Werfel, Una scrittura femminile azzurro pallido, 1941, tr. it. R. Colorni, Adelphi, Milano, 1991, p. 30

A Vienna, durante un ottobre tanto tiepido da sembrare aprile, l’alto funzionario Leonida, che ha da poco compiuto cinquant’anni ed è stato nominato capodivisione ministeriale, trova – nella posta – una lettera scritta a mano da una grafia femminile. È sposato con Amelie e non pensa più a Vera, dottoressa in filosofia, l’amante che ha lasciato malamente molti anni prima e di cui aveva distrutto, senza leggerla, una lettera. Questa nuova lettera, arrivata “nel bel mezzo di una luminosa giornata di ottobre” , mette in moto una catena di ricordi, di ipotesi, di rimorsi che riguardano le conseguenze nel tempo di azioni lontane, che verranno chiarite in un’altra giornata di quell’ottobre speciale.

 

Dicono del libro
“Siamo a Vienna, nel 1936. Un alto funzionario ministeriale, sposato a una bella e ricca dama viennese, apre una mattina una lettera. Sulla busta riconosce una scrittura femminile azzurro pallido. Quella lettera si insinua immediatamente, come una lama, nella sua vita troppo levigata e la disarticola dall’interno. Apparentemente, in poche righe molto formali, la scrivente chiede l’aiuto del potente funzionario per trasferire in una scuola viennese un giovane tedesco di diciotto anni. Ma, per il destinatario, quelle righe cifrate significano il riaffiorare di un amore di molti anni prima, un amore cancellato con ogni cura. E il giovane ignoto non sarà forse un figlio ignorato? (…) Questa storia dalla forma perfetta, pubblicata da Werfel in esilio a Buenos Aires, nel 1941, si legge oggi come un amaro gesto di congedo da Vienna e da tutta la civiltà mitteleuropea, quasi una naturale prosecuzione dei racconti dell’ultimo Schnitzler”.
(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Ma il sette ottobre, giornata di sole dolce come vino, ebbe un crepuscolo che parve di cupo inverno…”
Anna Banti, Artemisia

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“… Solo quando aprì la porta e si chinò in avanti come al solito per scendere il gradino, seppe che era il 7 ottobre…”
Georges Simenon, Il ranch della Giumenta perduta

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“… Poi non c’è più nulla fino al 7 ottobre, dove scrive: “Luna all’ultimo quarto alle 05,04…”
Javier Marias, Tutte le anime

6 Ottobre

6 ottobre 2014

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Ma il barone Paolo dichiarò lealmente che, sebbene queste triglie fossero ottime, egli continuava a rimpiangere le triglie che aveva mangiato in casa della nuora il 6 ottobre 1902. “Io non capisco più come devo friggerle”, disse la signora Marietta, “ho provato in tutti i modi, ma non riesco mai ad accontentare papà”. “Non è esatto quello che dici”, ribatté il barone, “sono contentissimo di come tu fai friggere le triglie. Queste di oggi, per esempio, sono eccellenti, ma le triglie che ho mangiato a casa tua il 6 ottobre 1902…”, il barone socchiuse gli occhi facendo del presente la luce che si vede al di là di un tunnel, mentre nell’ombra della memoria riappariva una tavola imbandita sotto la pergola, e circondata da gente in gran parte defunta, “avevano qualcosa… io non so bene… un sapore così delicato e insieme così stuzzicante… si sentiva il mare e si sentiva pure la buona frittura…”

Vitaliano Brancati, Paolo il caldo, 1955 (post.), Mondadori 1976, p.60

A Catania, nel palazzo della famiglia Castorini si consuma il pranzo dell’una, fra discussioni politiche e portate di carne e di pesce. A tavola siede il vecchio barone Paolo – il nonno di quel Paolo che, con la sua ossessione erotica, dà il titolo al libro; è un uomo in grado di bere cinque bicchieri di vino di seguito, a differenza del figlio Michele, che si è già ritirato dalla tavola per tornare nel suo studio. Intorno a un piatto di triglie fritte le lingue si sciolgono “come la campane del sabato santo” e una data precisa del passato – un 6 di ottobre di molti anni prima – è richiamata al presente nella conversazione: si tratta di un ricordo suscitato nel barone dai sapori e dagli odori, con un meccanismo tipico della memoria, che è in grado di associare le sensazioni ad alcune date.

Dicono del libro
“Paolo il caldo è la storia di un giovane meridionale invasato di ‘gallismo’ che cerca prima in Sicilia e poi a Roma lo sfogo alla propria sensualità. Sullo sfondo delle sue avventure, ora tragiche ora grottesche, sta il decadimento fisico di una famiglia, mentre nel gioco della sensibilità amorosa, nelle delizie e nelle inquietudini della carne s’insinua l’esperienza della corruzione e della vecchiaia, il senso del peccato e della morte”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 6 ottobre. Volendo evitare di vagabondare troppo a lungo, esco verso le 4 del pomeriggio…”
André Breton, Nadja

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“… Il 6 ottobre il presidente Sadat era stato assassinato…”
Murakami Haruki, 1Q84

5 Ottobre

5 ottobre 2014

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Interrompo questo diario, come lo interruppi allora, con stupore, il 5 ottobre, alle dodici di notte, accorgendomi che tutto ciò che Porfiria aveva scritto nel suo diario quasi un anno prima stava verificandosi. Roberto Cárdenas era venuto a mangiare quella sera per la prima volta. E lì avevo, davanti ai miei occhi, la data incredibile, 5 ottobre, scritta sulla pagina del diario, come una testimonianza magica, infernale. Il quaderno era stato in mio potere per tutto quel tempo

Silvina Ocampo, Il diario di Porfiria Bernal, 1961, tr. it. L. Bacchi Wilcock, in Porfiria, Einaudi, 1973, p. 275

Il 5 ottobre è la data in cui il racconto di Antonia Fielding – istitutrice inglese al servizio della famiglia Bernal a Buenos Aires – e il diario della sua piccola allieva Porfiria, si incontrano per un istante nel tempo “reale”, rivelando le doti premonitrici della bambina. Come se vedesse dentro le persone che passano per la sua casa, intuendone i segreti, la piccola Porfiria annota giorno dopo giorno gli accadimenti, le immaginazioni, le visioni, finché la sua voce copre quella del racconto di Antonia, che si è accorta con stupore del potere di quel diario.

Dicono del libro
“Il diario di Porfiria Bernal: una signorina inglese entra in una ricca famiglia d’un quartiere elegante di Buenos Aires come istitutrice d’una bambina. Tra la zitella romantica e repressa e la bambina ai cui occhi nulla sfugge e tutto viene registrato e trasfigurato, si forma come un campo magnetico di impulsi aggressivi e di stregonerie, e la minuta cronaca familiare s’accende di colori visionari”
(I. Calvino, dalla bandella dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 5 ottobre. Erano circa le sei di sera: il cielo era ingombro di vapori, tra i quali un bel sole d’autunno filtrava i suoi raggi d’oro…”
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo

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“… Ho una notizia, vecchio mio, Anna e io ci sposeremo, il 5 ottobre…”
Françoise Sagan, Bonjour tristesse,

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“… scrivo da una strada che ha nome Speranza, dove si riunirono per l’ultima volta i congiurati del 5 ottobre…”
José Saramago, Una lettera con inchiostro di lontano

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“… Minnie avrebbe potuto commettere un errore solo se avesse dato il suo appuntamento il 5 ottobre del 1582!
E perché?
La riforma gregoriana del calendario! Ma è naturale. Nel 1582 entra in vigore la riforma gregoriana che corregge il calendario giuliano, e per ristabilire l’equilibrio abolisce dieci giorni del mese di ottobre, dal 5 al 14!…”
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Bompiani 1988 (segnalato da Sandra Muzzolini)

4 Ottobre

4 ottobre 2014

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Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi

Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1975, p. 7.

Comincia così, in un’Italia divisa dall’armistizio dell’8 settembre 1943, il lungo racconto del viaggio di ritorno di ‘Ndrja Cambrìa a Cariddi, dopo aver attraversato a piedi le coste della Calabria, il «paese delle Femmine». A traghettarlo clandestinamente lungo le acque dello Stretto, in una notte senza luna popolata da visioni, sarà la figura ammaliante della «femminota» Ciccina Circè, espressione, già nel suo nome omerico, di una femminilità potente e trasgressiva come il suo linguaggio che ‘Ndrja fa fatica a comprendere («Io, parola mia, non vi riesco a penetrare tutta…»). Il mare dello «scill’e cariddi», quello attraversato e quello che fa da sfondo alle storie di uomini e donne che vivono lungo le sue rive, è il vero polo d’attrazione del romanzo: luogo fisico e mentale, è infatti lingua, letteratura, tempo e memoria. In questo mare-mondo, che contiene l’origine e la fine di tutto, che è genesi e apocalisse, il traghettamento del protagonista tra i contrari della vita ha un alto valore simbolico e figurale. All’arrivo in Sicilia, ‘Ndrja troverà una terra stravolta, devastata dalla guerra, quasi irriconoscibile ai suoi occhi, offesi dal dolore per tanto degrado e tanta miseria. Per di più, il suo nostos coinciderà con quello dell’Orca, il Leviatano simbolo di morte, con cui sembra condividere la parabola esistenziale: quattro giorni impiega ‘Ndrja per arrivare al paese delle femmine, che sarà l’inizio della sua fine, e per quattro giorni l’Orca si aggira nello «scill’e cariddi» prima di “riassommare” e di andare incontro alla morte.

Il tempo reale entro il quale prendono corpo le 1257 pagine del romanzo si dispiega biblicamente lungo l’arco temporale della creazione, sette giorni, nel corso dei quali le peripezie fisiche e mentali vissute da ‘Ndrja assumono il valore di un’esperienza conoscitiva, che avrà la sua acme nell’incontro con un vecchio «spiaggiatore», «linguto e occhiuto». A lui lo scrittore affida di esporre la sua teoria della conoscenza della vita, fondata su tre diversi gradi: l’ingannevole e infondato «sentitodire», il solido e concreto «vistocogliocchi» e l’immaginifico e fantastico «visto cogli occhi della mente»: «Voi, amico del sole, vi dovete immaginare di vedere…». Allora, se vedi con gli occhi della mente tutto diventa possibile, le distanze tra lingue e culture si annullano e quella lingua di mare dello «scill’e cariddi» è sì Calabria e Sicilia, ma è anche Grecia, Africa, mille e una notte. Tutto diventa possibile perché l’«andamento epico-magico» (M. Corti) della scrittura di D’Arrigo attiva un fervore espressivo che gioca sulla sovrapposizione dei registri stilistici e sulla contaminazione espressionistica di lingua e dialetto. È necessaria una nuova lingua per dire l’indicibile, per raccontare il tempo impastato della storia dell’uomo, anche a rischio che essa diventi un labirinto per il lettore, che deve cercare in vocabolari immaginari o nella memoria di lingue ignote il senso delle parole che il racconto fa fiorire per gemmazione. D’Arrigo è un narratore lirico. L’ultima conferma è nelle parole che chiudono il romanzo: «La lancia saliva verso lo scill’e cariddi, fra i sospiri rotti e il dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare». Parole che riecheggiano simbolicamente i versi epici di una sua più antica poesia, dove il destino del personaggio si conclude oniricamente nello stesso mare in cui ‘Ndrja avrebbe trovato la morte:

«Qui, dove m’assomiglio, in patria,
sui prati, ora in cenere, d’Omero,
io da una guerra reduce, e da quante
un gran figlio mi ricorda mia madre,
perduto con lo scudo o sullo scudo,
desidero tornare spalla a spalla
coi miei amici marinai che vanno
sempre più dentro nei versi, nel mare».
(Sui prati, ora in cenere, d’Omero)

Commento di Gianfranco Crupi

Dicono del libro
“Horcynus Orca è un mitico e epico poema della metamorfosi. La concezione del mondo come metamorfosi affonda le sue radici nella religiosità mediterranea… Per questo D’Arrigo ha potuto creare un epos moderno, riprendendo, come Joyce nell’Ulisse, un tema mitico: perché in un’età in cui il mito dominante è quello di dissolvere i miti arcaici, solo la tragedia incommensurabile della loro perdita può essere il tema della tragedia. (Giuseppe Pontiggia)”
(Dalla scheda dell’ed. Rizzoli nel sito ibs)

 

Altre storie che accadono oggi

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“…Il 4 ottobre scorso, alla fine di uno di quei pomeriggi completamente inoperosi e piuttosto tetri di cui ho il segreto, mi trovavo in rue Lafayette…”
André Breton, Nadja

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“… E così alla fine comprò la palla da baseball, – disse Brian. – E ne ricostruii la storia fino al 4 di ottobre, il giorno dopo la partita…”
Don DeLillo, Underworld

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“… 4 ottobre Oggi è la sua festa. Avrei voluto essergli amico, a Francesco d’Assisi…”
Aurelio Picca, L’esame di maturità

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“… Il quattro di ottobre, per essere precisi. Nessuno azzeccava il numero vincente da molte settimane…”
Paul Auster, La musica del caso

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“… Il 4 ottobre 1957, l’Unione Sovietica lanciò dalla base spaziale di Baykonur, Repubblica del Kazakistan, il primo satellite artificiale della storia…”
Murakami Haruki, La ragazza dello Sputnik

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“… La mattina del 4 ottobre ero alla fermata Odéon ad aspettare il metrò. Mancava poco alle otto…”
Alexander Maksik, Non ti meriti nulla (segnalazione di Sandra Muzzolini)

3 Ottobre

3 ottobre 2014

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Edgar fissa la data odierna. 3 ottobre 1951. Registra la data. Se la imprime nella mente. Sa che la cosa non è del tutto inaspettata. È la seconda esplosione atomica dei russi. Ma è una notizia dura da incassare, lo mette in agitazione, lo costringe a pensare alle spie che hanno trasmesso i segreti, alla possibilità di testate nucleari inviate alle forze comuniste in Corea. Se li sente alle spalle, sempre più vicini, che guadagnano terreno, sorpassano. La cosa lo turba, lo cambia fisicamente mentre se ne sta lì impalato, la pelle tesa sulla faccia, lo sguardo fisso.
Rafferty è più in basso sulla rampa rispetto a Hoover.
Sì, Edgar si imprime in testa la data. Pensa a Pearl Harbor, meno di dieci anni prima, anche quel giorno era a New York, e la notizia era stata un bagliore nell’aria, lo scatto di un flash su ogni cosa, oggetti comuni caldi e carichi di elettricità.
Il rumore della folla esplode sopra di loro

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. D. Vezzoli, ed. cons. Einaudi, 1999, p. 19

Il 3 ottobre 1951 è la data d’avvio delle vicende – a volte intrecciate e conseguenti, a volte parallele e contigue – del romanzo Underworld. L’Edgar citato nel brano è il capo dell’FBI, il celebre Edgar Hoover: si trova allo stadio, a vedere la partita di baseball fra i Giants e i Dodgers, quando viene a sapere che l’Unione Sovietica ha compiuto un esperimento nucleare. Intanto, un memorabile evento sportivo sta per avere luogo mentre Edgar è preso dalle sue preoccupazioni di stato. La squadra dei Giants vince la partita e la palla della vittoria – con i suoi passaggi di proprietà – sarà d’ora in avanti uno dei fili conduttori della storia. Così come la data – 3 ottobre – le cui cifre sono legate al 13, numero fatale, soprattutto negli Stati Uniti: “I Giants hanno incominciato la corsa al campionato con tredici partite e mezzo meno dei Dodgers. Il mese e il giorno della partita di ieri. Tre del dieci. Somma le cifre e ottieni tredici”.

Dicono del libro
“Il 3 ottobre 1951, al Polo Grounds di New York, si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla con cui viene battuto l’altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria e il campionato ai Giants si impadronisce un ragazzino nero di Harlem. La palla viene via via rubata, venduta, regalata: la ritroveremo anni dopo in possesso di Nick Shay, un waste manager, un dirigente dell’industria del riciclaggio di origine italiana che nel ’51 era a sua volta un ragazzino, un passo piú in là, nel Bronx.
Nel romanzo di DeLillo i passaggi di mano della mitica palla sono il filo narrativo per la costruzione di un gigantesco quadro dell’America dall’inizio della guerra fredda fino al crollo dell’Unione Sovietica”.
(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)

Altre storie che accadono oggi

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“… gli scabini della città daranno una festa il 3 di ottobre. La cosa si combina a perfezione…”
Alexandre Dumas, I Tre Moschettieri

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“… il giorno delle nozze, fissato per il 3 ottobre, si avvicinava…”
Theodor Fontane, Effi Briest

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“… Il 3 ottobre 1961 ha il presentimento di incontrare, in piazza del Campo a Siena, la sua donna…”
Giuseppe Pontiggia, Vite di uomini non illustri

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“… È il 3 ottobre 1869, Morris lascia in eredità al mondo il suo telaio con metà dell’arazzo di foglie di acanto e metà dei fili in attesa…”
Marisa Volpi, L’intrepido William Morris (Fuoco inglese)

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“… La canzone seguente era Early Autumn, cantata da Woody Herman. La sveglia sul tavolo segnava le 7 e 25. Le 7 e 25 del mattino del 3 ottobre…”
Murakami Haruki, La fine del mondo e il paese delle meraviglie

Vai a Tempo frattale. L’infinito nascosto nell’infinitesimo (di Valerio Eletti)

2 Ottobre

2 ottobre 2014

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Arrotolai il sacco a pelo, lo ficcai nello zaino, misi lo zaino sulle spalle, camminai fino alla stazione e lì chiesi all’impiegato come dovevo fare per tornare a Tokyo a quell’ora. Guardò l’orario dei treni e disse che se prendevo un treno notturno sarei arrivato a Osaka la mattina e da lì avrei potuto prendere lo Shinkansen per Tokyo. Ringraziai e con i cinquemila yen che mi aveva regalato il pescatore comprai un biglietto per Tokyo. Aspettando il treno comprai un giornale e guardai la data. Era il 2 ottobre 1970. Il mio viaggio era durato giusto un mese. Coraggio, torniamo alla realtà, mi dissi

Murakami Haruki, Norwegian Wood. Tokyo Blues, 1987, tr. it. G. Amitrano, ed. cons. Einaudi, 2006, p. 352

Su un aereo per Amburgo, ascoltando una versione orchestrale di Norwegian Wood dei Beatles, un uomo – un giapponese di trentasette anni – è preso dai ricordi del passato, dalle immagini di una ragazza, Naoko, frequentata una ventina di anni prima. Ha inizio così un percorso nella memoria e nel tempo, che si allunga “come le ombre al tramonto”. La prima immagine che rievoca è quella di un paesaggio autunnale, un prato attraversato dal vento di ottobre, una conversazione con Naoko. Gli anni sono quelli fra il 1968 e il 1970: la vita nel collegio per studenti a Tokyo, le manifestazioni all’università, le letture, i rapporti con i rari amici e le ragazze, i dubbi, le scomparse. Dopo la morte della ragazza, il narratore è partito per un viaggio senza una meta precisa, che si conclude – con la decisione di tornare a Tokyo – il 2 di ottobre.

 

Dicono del libro
“Norwegian Wood è anche un grande romanzo sull’adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di essere integrati nel mondo degli ‘altri’ per entrare vittoriosi nella vita adulta e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi, costi quel che costi. Come il giovane Holden, Tōru è continuamente assalito dal dubbio di aver sbagliato o di poter sbagliare nelle sue scelte di vita o di amore, ma è anche guidato da un ostinato e personale senso della morale e da un’istintiva avversione per tutto quello che sa di finto e costruito”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 2 ottobre, di buon mattino, si pianta davanti alla caserma e attende con tutta calma che il tenente esca…”
Arthur Schnitzler, Verso la libertà

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“… È il 2 ottobre (anniversario della nascita di chissà chi)…”
Alessandro Bergonzoni, È già mercoledì e io no

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“…Il toro Saragoza … il 2 ottobre 1898, scappò dalla gabbia e inseguì e ferì molta gente…”
Ernest Hemingway, Morte nel pomeriggio (segnalazione di Sandra Muzzolini)

I Ottobre

1 ottobre 2014

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L’ottobre venne come sogliono venire i nuovi mesi; il suo è un arrivo modesto e silenzioso sotto tutti i rapporti, senza segni esteriori, un muto insinuarsi dunque, che sfugge facilmente all’attenzione se questa non mantiene un ordine severo. Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, ed anche a quello del nuovo secolo; siamo soltanto noi uomini che spariamo e tuoniamo. Nel caso di Giovanni Castorp, il primo giorno di ottobre fu identico agli ultimi giorni di settembre, fu altrettanto immusonito e freddo come quelli e come gli altri che lo seguirono

Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. G. Giachetti-Sorteni, Dall’Oglio 1930 (1976), vol. I, p.249

Sulla montagna incantata (o magica, secondo una recente traduzione), il tempo è chiamato continuamente in causa. Sia il tempo meteorologico, poiché su quella montagna delle Alpi svizzere si trova il sanatorio per le malattie dei polmoni, i cui ospiti sono i protagonisti del romanzo, sia – soprattutto – il tempo del calendario. Il soggiorno del giovane ingegnere Giovanni Castorp – in visita a un cugino – doveva durare meno di un mese, e invece – scopertosi malato – si prolunga per anni, trasformando abitudini e aspettative. Mentre le stagioni cambiano, i giorni avanzano come le lancette di un enorme orologio, e il tempo è sentito come una beffa, un mistero, un trucco senza spiegazione.

Dicono del libro
“Così il gruppo di ricchi cosmopoliti del sanatorio di Davos, affetti da quella che era allora la malattia per eccellenza, la tubercolosi, diventa il simbolo della condizione umana per la quale il dolore sta a fondamento dell’amore e la morte è in sostanza un’iniziazione alla vita: tutto il romanzo diventa così, per usare le parole di Mann, un romanzo di iniziazione”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Dall’Oglio, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il primo ottobre, allo spuntare del giorno, il colonnello Aureliano Buendia, con mille uomini bene armati attaccò Macondo…”
Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine

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“… il primo ottobre, un mercoledì, è una giornata che non dimenticherò. Anzitutto, Riley mi svegliò schiacciandomi le dita con un piede …”
Truman Capote, L’arpa d’erba

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“… c’era anche il progresso del calendario e forse questo contava più di ogni altra cosa. Adesso erano entrati in ottobre…”
Paul Auster, La musica del caso

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“…in macchina faceva caldo. 37 gradi, il primo ottobre più caldo dal 1906…”
Charles Bukowski, Il capitano è fuori a pranzo (segnalazione di Michele Brescia)

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“…Poiché Baldabiou aveva deciso così, Hjervé Joncour ripartì per il Giappone il primo giorno d’ottobre…”
Alessandro Baricco, Seta (segnalazione di Laura Serranti)