10 Giugno

10 giugno 2013

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Il 10 giugno del 1940 era una giornata nuvolosa. Erano tempi che non avevamo voglia di niente. Andammo alla spiaggia lo stesso, io e un mio amico che si chiamava Jerry Ostero. Si sapeva che al pomeriggio avrebbe parlato Mussolini, ma non era chiaro se si sarebbe entrati in guerra o no. Ai bagni quasi tutti gli ombrelloni erano chiusi; passeggiammo sulla riva scambiandoci supposizioni e opinioni, con frasi lasciate a mezzo, e lunghe pause di silenzio

Italo Calvino, L’entrata in guerra, 1954, in Romanzi e racconti, I Meridiani Mondadori, vol. I, 1991 (ed. cons. 2003), p. 485

La mattina del 10 giugno del 1940, il ragazzo, protagonista di questo racconto, è al mare con un amico. Il tempo è nuvoloso, ma una schiarita permette di fare un giro in moscone, di tirare su col remo una medusa, di corteggiare una ragazza. Tutto cambia in poche ore: “Quando ci ritrovammo verso le sei, eravamo entrati in guerra. Era sempre nuvolo; il mare era grigio”. L’annuncio di Mussolini che l’Italia parteciperà al conflitto al fianco della Germania, spezza in due quella giornata, anniversario anche del delitto Matteotti, avvenuto sedici anni prima. E porta i primi allarmi aerei, le prime manovre militari, le corriere con i profughi, alloggiati nella scuola. Il ragazzo si darà da fare per dare una mano agli sfollati, passando così, in poche ore che sembrano giorni e giorni, dalla gita in pattino al “continente grigio” della guerra. 

Dicono del libro
“Qui la guerra è una cosa di cui ancora poco si sa: sono i primi tempi dell’intervento italiano in quello che si dirà il secondo conflitto mondiale; e il protagonista è un ragazzo sotto vari riguardi privilegiato, sottratto al dramma dei problemi urgenti e che – forse proprio per questo – poco sa ancora di se stesso. Ma i fatti narrati già contengono prefigurata e implicita in sé molta parte del futuro; e già in essi opera, col suo ritmo discontinuo, l’eterna interferenza tra le spinte della storia collettiva e il maturarsi delle singole coscienze.”

(I. Calvino, in Romanzi e Racconti, I Meridiani Mondadori, vol.  I, op. cit., p. 1317).

9 Giugno

9 giugno 2013

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Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese dell’anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l’usanza nostra ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme

Dante Alighieri, Vita nuova, XXIX (XXX), 1292-1293 (ed. Garzanti 1993, pp. 55-56)

La Beatrice di Dante è identificata, storicamente, con la figlia di Folco Portinari, morta nel giugno del 1290. Nella Vita nuova, Beatrice – incontrata per la prima volta quando il poeta ha nove anni e di nuovo a distanza di nove anni – è evocata come immagine dell’amore, cortese e cristiano, e come tramite di una riflessione sulla vocazione poetica e profetica dell’autore. Al numero nove, simbolo di perfezione in quanto prodotto del tre (la Trinità) per sé stesso, “si legano sia la figura di Beatrice che le vicende raccontate nella Vita Nuova”. Nel paragrafo XXIX, la data della morte della donna è restituita – comparando diversi calendari – attraverso questa cifra: secondo l’usanza d’Arabia, Beatrice è spirata nella prima ora del nono giorno di quello che – secondo l’usanza di Siria – è il nono mese dell’anno. Poiché i mesi “secondo l’uso siriano” si contano da ottobre, il nono mese è giugno; quanto al giorno, è passato il tramonto dell’8 e, “secondo l’usanza d’Arabia”, è la prima ora del giorno nono. “Questa donna fu accompagnata da questo numero del nove, a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo”, una “perfetta armonia numerica”.

Dicono del libro
“la prima opera certa deve considerarsi la Vita nuova (1292-93), composta di rime (25 sonetti, 4 canzoni, 1 ballata, 1 stanza di canzone) e di capitoli in prosa poetica, cui è affidata la duplice funzione di svolgere l’itinerario autobiografico da cui nascono i versi e di commentarli retoricamente. L’esile vicenda s’incentra intorno a un’esperienza d’amore idealizzata, quella del poeta per Beatrice, che Dante narra d’aver incontrato la prima volta a nove anni e d’aver rivisto soltanto nove anni dopo, quando salutandolo l’aveva lasciato smagato e confuso. Da questi incontri si snoda l’intimo memoriale, dapprima profano e ‘cortese’, poi sempre più agiografico, finché la morte di Beatrice non trasforma l’amata e quell’amore in mito cristiano, in Amore assoluto e mezzo di elevazione a Cristo”.
(dall’introduzione di E. Sanguineti all’ed. Garzanti, op. cit.)

8 Giugno

8 giugno 2013

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Mai una volta mi è saltato in mente di scoprire da dove veniva l’acqua di casa nostra. Si vede che c’è un pozzo. Te l’immagini! E abbiamo abitato qui fin da quando avevo dieci anni! L’8 giugno 1949. Io sono dei Gemelli. Il mughetto è il fiore del giorno della mia nascita. Lo sapevi che i mughetti sono molto velenosi? Facemmo il trasloco qui il giorno del mio compleanno. Niente festa. L’autotreno rimase incagliato fra i pali del cancello d’entrata proprio il giorno del trasloco

Saul Bellow, Il pianeta di Mr. Sammler, 1970, tr. it. L. Ciotti Miller, Feltrinelli 1981, p.216

Mentre l’amato nipote Elya sta morendo in un ospedale di New York, lo zio Arthur Sammler, un intellettuale polacco settantenne che è arrivato negli Stati Uniti dopo essere scampato alla guerra e all’olocausto, è a New Rochelle, nella casa del nipote. Shula, la figlia di Sammler, durante una conferenza, ha sottratto il manoscritto di un libro sul Futuro della Luna al professore indiano Govinda Lal, per darlo al padre, che da anni sta scrivendo un saggio sullo scrittore di fantascienza Herbert G. Wells. La restituzione di questo manoscritto riunisce in casa  diversi componenti della famiglia e scatena un vivace confronto di opinioni, credenze, aspettative e ricordi. Nel pieno della discussione, ecco che l’appartamento si allaga perché uno dei figli di Elya ha rotto un tubo dell’acqua cercando nelle tubature il denaro che forse il padre vi ha nascosto. L’incidente riporta alla memoria la vita della casa e nella casa, associazioni di pensieri e giornate di vent’anni prima, come l’8 giugno del 1949. Lo scrittore Saul Bellow (1915-2005) festeggiava il suo compleanno il 10 giugno. 

Dicono del libro
“Iniziato verso la fine degli anni Sessanta, Mr Sammler’s Planet raggiunge la sua forma definitiva nel 1969 nell’arco di alcuni mesi di lavoro frenetico e di spostamenti altrettanto frenetici da parte dell’autore: esce il 1° febbraio del 1970 per la Viking. (…) La vicenda del romanzo si svolge sullo sfondo di una società indulgente ed eccessiva, la cui rivoluzione sessuale in corso è vista come emblematica del declino della civiltà. Il protagonista, Sammler, un intellettuale settantaduenne che ama la letteratura inglese e in particolare H. G. Wells, è definito dallo stesso Bellow nel romanzo un individuo ‘al passato’.”
(dalle notizie ai testi in Romanzi, ed. I Meridiani Mondadori, 2008, II, p. 1912)

7 Giugno

7 giugno 2013

 

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il giorno sette di giugno, all’alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l’accaduto. Ancora, seppur parzialmente, sono Borges

Jorge Luis Borges, Lo Zahir (1947) in L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, I Meridiani Mondadori, 1985, I, p. 847

Dopo aver passato la notte vegliando l’amica Teodelina Villar, all’alba del 7 giugno, come resto di un’aranciata ordinata in una mescita di Buenos Aires, il narratore di questa storia – che si chiama Borges come l’autore- riceve una moneta da 20 centesimi. Da quel momento, il piccolo oggetto diventa un’ossessione, un pensiero a cui non si riesce a sfuggire, un’immagine forte come un incantesimo, a cui gli Arabi danno il nome di Zahir. Chi incontra lo Zahir – sotto qualunque forma – non può pensare ad altro, fino a dimenticare il mondo reale, guadagnando, però, forse, la visione di tutti i “futuri possibili”. Il 7 giugno torna in un altro racconto di Borges, dal titolo Tom Castro, l’impostore inverosimile.

 

6 Giugno

6 giugno 2013

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Abbiamo strappato via un bel po’ di carta da parati in cucina vicino al frigorifero e abbiamo scoperto che sotto vari strati di carta (margherite; aggeggi adesivi Peel’n Stick per deodorare il frigo) c’erano, in condizioni perfette come il giorno in cui erano state scritte, le parole:

Un giorno radioso
6 giugno 1974
Sono lontano ma la mia idea di pace rimane con voi
d. b.

Roba da hippy, ma mi è mancato il fiato quando l’ho letta. E per un attimo ho avuto la sensazione che un’idea sia più importante del semplice fatto di essere vivi, perché un’idea vive molto tempo dopo che te ne sei andato; poi la sensazione è svanita

Douglas Coupland, Microservi, 1995, tr. it. N. Vallorani e E. Guarneri, Feltrinelli, 1998, p. 68

La vita nella sede della Microsoft a Redmond, nei primi anni Novanta, è raccontata da Daniel Underwood, ventiseienne “individuatore di bug”, uno dei tanti giovani “Micro-servi”, impiegati  nella grande industria informatica di Bill Gates. I ritmi di lavoro pressanti e la costante concentrazione sul linguaggio di programmazione stravolgono anche il senso del tempo, che “non è necessariamente lineare”, ma sembra scorrere “in strani mucchi, fasci e mazzetti”, mentre la vita procede giorno per giorno, “una riga di codice senza bug alla volta”. Ogni tanto c’è il bisogno di guardare indietro ed è quello che Daniel fa un giovedì, fra libri e riviste degli anni Settanta. Proprio una data di quegli anni – 6 giugno 1974 – è emersa su una parete della cucina, in un messaggio di pace e serenità lasciato da un precedente abitante della casa e su cui si sono posati strati di carta da parati e di tempo. Di lì a poco, Daniel lascerà Redmond per la Silicon Valley. 

Dicono del libro
“Dopo aver trascorso qualche tempo nella più famosa industria informatica del mondo, la Microsoft, un gruppo di giovani dipendenti – i ‘microservi’ – decide di abbandonare la sicurezza del posto fisso e il loro amato-odiato padre-padrone, per fondare una propria società di software. Nel cuore della bizzarra e digitale Silicon Valley, in California, questi ventenni si trovano alle prese con la modernità e la vita, tra frammenti di esistenza quotidiana che evidenziano aspirazioni e sentimenti di una generazione in cerca d’identità in un mondo sempre più privo di riferimenti etici e morali.”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

5 Giugno

5 giugno 2013

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Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciter, alle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

Dicono del libro
“Come fa Glen Runciter, titolare di un’agenzia di anti-telepati a comunicare con sua moglie Ella per avere i suoi consigli dall’aldilà, da un mondo informe e allucinante di semi-vita o non-morte? E perché mai dopo ogni collegamento con Runciter la semi-vita di Ella si va affievolendo sempre più? Che cosa afferra improvvisamente Joe Chip dal suo mondo del 1992 e lo scaglia violentemente nell’America degli anni Trenta? E come è possibile che Joe riceva dei misteriosi e cupi messaggi dal suo capo (Come se fossero ironiche manifestazioni di un Dio biblico), quando questi è stato ormai ucciso da una bomba esplosa sulla Luna? In un’opera unica e irripetibile, che viene considerata unanimamente come il massimo capolavoro del suo autore Philip K. Dick, scrittore tra i più grandi e visionari che la fantascienza abbia mai avuto, ripropone le tematiche che lo resero così famoso: la vita oltre la morte, i poteri psi, e soprattutto la mancanza di un tessuto connettivo vero al di sotto della realtà apparente delle cose, la mancanza di un principio divino che si oppone all’entropia dell’universo”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Fanucci, op. cit.)

4 Giugno

4 giugno 2013

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 Alla maggior parte dei passeggeri di prima classe della Tobakoff, il pomeriggio del 4 giugno 1901, nell’Atlantico, sul meridiano dell’Islanda e alla latitudine di Ardis, non sembrava propizio agli svaghi all’aria aperta: il cielo di un vivido blu cobalto era solcato da continue folate d’aria gelida e l’acqua della vecchia piscina inondava ritmicamente le piastrelle verdi del bordo; ma Lucette era una ragazza intrepida, abituata ai venti corroboranti non meno che alla detestabile luce del sole

Vladimir Nabokov, Ada o ardore, 1969, tr. it. M. Crepax, Adelphi,  p. 492

La cronaca familiare raccontata da Nabokov nel romanzo Ada o ardore è intricata come un bosco. Le relazioni fra coniugi, cugini, genitori, figli e figlie, fratelli e sorelle, sono presentate all’inizio del libro in un albero genealogico che, però, non dice tutta la verità sui legami di sangue. Nel corso della vicenda, ci si accorge che i due protagonisti principali – Van e Ada, legati da un’attrazione prodigiosa – sono più che cugini. Anche lo spazio e il tempo non coincidono con le nozioni comuni: la Terra è una terra aumentata, dove luoghi esistenti si sovrappongono ad altri fantastici e il Tempo è addirittura l’oggetto di un racconto nel racconto. Le date sono scelte con cura da Nabokov, che nasconde il suo compleanno (23 aprile) e quello della moglie Vera (5 gennaio) nella trama.
Il 4 giugno – si è verso la fine della vicenda – Van è imbarcato su una nave, dove si trova anche la sorella minore di Ada, Lucette, che va incontro al suo destino.

Dicono del libro
Quest’opera di Nabokov è stata rappresentata dalla bottega teatrale Fanny & Alexander, di Chiara Lagani e Luigi De Angelis, in una serie di spettacoli che seguono diverse tracce nella mole complessa del romanzo. Sul 4 giugno, l’ultimo giorno di Lucette, Chiara Lagani ha scritto questo commento per Diconodioggi:
“Pour Elle (Poor L.)
4 giugno
Oggi è un giorno fatale, di prefigurazioni. Il giorno prima di oggi Van si è imbarcato sulla Tobakoff. Quando si imbarca Van non sa ancora che Lucette, innamorata infelice, è nella lista passeggeri. Oggi pomeriggio Van prenderà il sole sul ponte della nave, con lei. Mentre prende il sole Van non sa ancora che questa sarà l’ultima luce-Lucette. Il cielo è vivido, cobalto. Quel cielo, solcato di gelo, non sa ancora d’esser specchio di un mare solcato di lucette intermittenti. L’acqua della piscina inonda il bordo verde. Non sa l’acqua gelida d’alludere a un abisso. Oggi Lucette si tufferà, nella piscina. Non sa che quel tuffo è il preludio a un altro tuffo, definitivo, in cui resterà impigliata, piccola luce nel nero. Oceanus Nox.”  (c.l.)

 

3 Giugno

3 giugno 2013

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Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi al buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo estremamente categorico, la seguente: “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. Giunti, 1994, p. 15

Nei suoi tentativi di smettere di fumare – che lo hanno portato anche in una casa di cura – Zeno Cosini annette una grande importanza alla data dell’ultima sigaretta. “Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. Le date delle tante ultime sigarette sono segnate sulle pareti, sui libri, sulla ghiaia: sono collegate ad avvenimenti storici, anniversari pubblici e privati o sono scelte in base a concordanze e relazioni fra le cifre, come questa del 3. 6. 12 ore 24, in cui la sequenza aritmetica è ironicamente (e inutilmente) salutata come un buon segno per la riuscita del proposito. 

Dicono del libro
“Il libro è composto di lunghi episodi. Zeno è un malato immaginario, un abulico pieno di buon senso, un uomo che si lascia vivere ma in realtà imbocca sempre la via più giusta. Fumatore accanito accetta di entrare in una casa di cura per disintossicarsi, ma poi riesce a evadere e riprende a fumare. Ricco e quasi disoccupato decide di sposarsi. Frequenta la famiglia Malfenti dove sono disponibili tre ragazze da marito. È respinto dalla più giovane, ferma il suo interesse sulla più bella, Ada”

(dalla prefazione di Eugenio Montale all’ed. Dall’Oglio 1976)

2 Giugno

2 giugno 2013

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Adesso Quinn  non era in nessun luogo.  Non aveva niente, non sapeva niente. Non soltanto era stato rimandato alla partenza; ora si trovava prima della partenza, in un punto così antecedente alla partenza da essere peggio di qualunque arrivo immaginabile.
Il suo orologio faceva quasi le sei. Tornò a casa per la stessa strada dell’andata, allungando il passo di isolato in isolato. Prima di raggiungere la sua via, aveva incominciato a correre. È il due di giugno, disse fra sé. Cerca di ricordarlo. Questa è New York, e domani sarà il tre di giugno. Se tutto va bene, l’indomani sarà il quattro giugno. Ma niente è sicuro

Paul Auster, Città di vetro, 1985, tr. it. M. Bocchiola, Trilogia di New York, Einaudi, 1996, p. 109

La vicenda di Daniel Quinn, scrittore di romanzi gialli che firma con lo pseudonimo di William  Wilson (nome tratto da un racconto di Edgar Allan Poe), è iniziata nel mese di maggio. In una telefonata notturna, Quinn è stato interpellato col nome di Paul Auster e incaricato- come fosse un detective – di una strana inchiesta. Deve proteggere un uomo, Peter Stillman, dal padre – omonimo – che lo ha tenuto segregato per anni per fare degli esperimenti sul linguaggio. Pedinamenti, ricerche, dialoghi fra persone e personaggi, nomi e pseudonimi, hanno luogo nella città di New York all’insegna del doppio e del dubbio, mentre maggio diventa giugno e offre, con la sequenza dei giorni, un appiglio, forse. 

Dicono del libro
“In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un’inchiesta misteriosa e dall’esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di un detective sconosciuto.”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

1 Giugno

1 giugno 2013

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Il primo di giugno dell’anno scorso Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica. Il due di giugno, il tre di giugno, il quattro di giugno, Fontamara continuò a rimanere senza illuminazione elettrica. Così nei giorni seguenti e nei mesi seguenti, finché Fontamara si riabituò al regime del chiaro di luna. Per arrivare dal chiaro di luna alla luce elettrica, Fontamara aveva messo un centinaio di anni, attraverso l’olio di oliva e il petrolio. Per tornare dalla luce elettrica al chiaro di luna bastò una sera

Ignazio Silone, Fontamara, 1933-34 (1953), Mondadori 1988, p. 15

Nel piccolo paese della Marsica a cui lo scrittore Ignazio Silone dà il nome di Fontamara, il tempo è scandito dai lavori dei campi e della pastorizia, e da poche feste religiose. L’avvento del Fascismo – che sostituisce il vecchio sindaco col podestà – peggiora il gramo bilancio delle vite degli abitanti del paese, esasperando i soprusi dei proprietari nei confronti dei cafoni al punto da instillare – da ultimo – un seme di rivolta. La vicenda, narrata da più voci che si danno il cambio nei diversi capitoli, ha inizio il primo di giugno, quando la corrente elettrica, la cui bolletta nessuno poteva più pagare, viene staccata. Altre brutte sorprese – fra cui la deviazione del ruscello per irrigare i campi – attendono i fontamaresi, in quel mese di giugno già arido e polveroso. 

Dicono del libro
“La vicenda si inquadra nei primi anni della dittatura fascista a Fontamara, ‘un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago Fucino’. La scala sociale del paese conosce solo due condizioni: quella dei ‘cafoni’ – i ‘braccianti, i manovali, gli artigiani poveri’ – e quella dei piccoli proprietari, ma sono solo i primi a subire i soprusi e le ingiustizie, divenuti per loro così antichi da sembrare naturali come la neve e il vento. Fontamara registra la scintilla della ribellione, personificata da Berardo Viola, che assurge a emblema di un nuovo, seppure ancora impreciso e velleitario, livello di dignità.”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)